By Simon Wren-Lewis
In reading this, which I will come back to, I thought something short and simple was required
In 2010 periphery Eurozone countries, including Greece, faced two problems: government deficits were too high, and as a result their economies had become uncompetitive. (Excessive deficits – public or subsequently socialised private – had allowed the economy to run too hot which pushed up inflation leading to a loss of competitiveness.)
The deficits needed to be reduced. Under flexible exchange rates this could have been done with relatively little cost in terms of unemployment because competitiveness could have adjusted to its appropriate level immediately via a nominal depreciation. The demand lost from lower public spending could be compensated for by more competitive exports. In a monetary union, this cannot happen, so a period of unemployment is inevitable to restore competitiveness.
The key macroeconomic question is how quick adjustment should be. Should competitiveness be restored quickly or slowly. Macroeconomics has a pretty clear answer which comes from the Phillips curve (of whatever variety) – slow is much more efficient. So it makes sense for some institution like the IMF to provide loans to the government to allow it to eliminate deficits gradually. There are lots of political and social reasons to make adjustment gradual as well, but this is just about the macro.
Those are general principles. When it came to Greece, the Eurozone made three key mistakes.
1). Too much austerity too quickly, violating the logic of the previous paragraph. Sharp austerity can almost appear self-defeating in deficit reduction terms, as it plunges the economy into severe depression, making adjustment of any kind more difficult. The Troika has to take direct responsibility for this mistake.
2). There was only partial (and delayed) default on Greek government debt (see below). This was clearly not in Greece’s interest, but it had benefits to other Eurozone countries.
3). Adjustment was required in an environment of Eurozone recession and deflation, caused by needless fiscal austerity in the non-periphery countries. Restoring competitiveness is much more difficult if the countries you are adjusting with respect to have very low/zero inflation (because people resist nominal wage cuts).
That is the past, but it has direct implications for today. (2) means that the Troika were demanding Greece ran large primary surpluses in the coming years to pay back the remaining debt and adjustment loans. This makes correcting the error in (1) much more difficult, because it implies yet more austerity. In terms of macroeconomics it is a clear mistake. (If Greece could eliminate its negative output gap, it would be running a primary surplus of over 7% according to the OECD, which would be enough for everyone.)
Now back to this Vox piece. It displays so much that is wrong with macro arguments coming out of the Eurozone at the moment. Examples:
a). “For an economy in the dismal Greek situation, it essentially made no difference that it remained a member of the Eurozone ..” This ignores the basic macro in the second paragraph above. This denial of the importance of wage and price rigidities, which leads to the key cost of being part of a monetary union, has typified the Eurozone project from the start.
b). “Since in all these cases painful adjustment was inevitable and costly, one should take the combination of the rescue packages and adjustment programmes as what they really are – a device helping to avoid a sudden fiscal and current account adjustment with even larger immediate pain.” It is of course true that with access to markets cut off, adjustment without any support from the IMF or elsewhere would in macro terms have been much more immediate and painful. But the implication is that the speed of adjustment matters, and in particular that it can still be too fast. The article makes no attempt to address this central issue. The message that comes across to Greece is that you should be lucky you got something.
c). “During the past five years Greece indeed underwent serious reforms and fiscal consolidation. Progress has been remarkable …” What is remarkable is the extent of the collapse in the Greek economy. Some kind of recession was inevitable, but not a complete collapse in GDP, where over half of young people are unemployed. The article tries to suggest that this is just par for the course, rather than a function of the amount of austerity imposed.
d). “A debt relief of public creditors could not substantially improve the comfortable state of the Greek government, let alone be justified easily vis-à-vis its lenders.” This is disingenuous. It is true that the effective interest rate on Greek debt is relatively low compared to other Eurozone countries, but nevertheless the lenders are demanding Greece run significant primary surpluses now, and they need not make this demand.
I could go on and on, but this is meant to be short. To sum up, the problems displayed by this article amount to a neglect of the importance of wage and price rigidities, and the impact that fiscal austerity can have on demand leading to a needless waste of resources. In other words, a denial of basic Keynesian ideas.
Grecia: una semplice guida macroeconomica
di Simon Wren-Lewis
Nel leggere questo articolo (in connessione) [1], al quale mi riferirò in seguito, ho pensato che poteva essere utile farlo precedere in breve e semplicemente da queste note.
Nel 2010, i paesi della periferia dell’eurozona, Grecia inclusa, erano dinanzi a due problemi: i deficit pubblici erano troppo alti, e di conseguenza le loro economie erano diventate non competitive (deficit eccessivi – pubblici o di conseguenza diffusi al settore privato – avevano consentito che le economie si surriscaldassero, il che aveva spinto in alto l’inflazione portando ad una perdita di competitività).
Quei deficit dovevano essere ridotti. Con tassi di cambio flessibili, questo avrebbe potuto essere realizzato con un costo relativamente modesto in termini di disoccupazione perché la competitività sarebbe immediatamente stata corretta attraverso un deprezzamento nominale. La domanda perduta per una spesa pubblica più bassa poteva essere compensata da esportazioni più competitive. In una unione monetaria questo non può avvenire, dunque per recuperare competitività è inevitabile un periodo di disoccupazione.
La questione cruciale da un punto di vista macroeconomico è la rapidità di questa correzione. La macroeconomia ha una risposta abbastanza chiara che deriva dalla curva di Phillips [2] (di qualunque genere) – la soluzione lenta è molto più efficace. Per questa ragione ha un significato che alcune istituzioni come il FMI forniscano prestiti ai governi per eliminare i deficit gradualmente. Ci sono anche molte ragioni sociali e politiche per rendere graduale la correzione, ma questo è esattamente l’aspetto che attiene alla macroeconomia.
Si tratta di principi generali. Nel caso della Grecia, l’eurozona fece tre errori fondamentali.
1). Troppa austerità in troppo poco tempo, in violazione del paragrafo precedente. Una brusca austerità può apparire quasi controproducente, in termini di riduzione dei deficit, dal momento che precipita l’economia in una grave depressione, rendendo qualsiasi genere di correzione più difficile. Per questo errore, la responsabilità diretta va attribuita alla troika.
2). Ci fu un default solo parziale (e ritardato) del debito pubblico greco (vedi sotto). Questo non fu chiaramente nell’interesse della Grecia, ma portò benefici ad altri paesi dell’eurozona.
3). Venne richiesta la correzione nel contesto di una recessione e di una deflazione nell’eurozona, provocata da una austerità che nei paesi non periferici non era necessaria. Recuperare competitività è molto più difficile se i paesi rispetto ai quali state operando la correzione hanno un’inflazione vicina o pari a zero (giacché le persone resistono a tagli nominali dei salari [3]).
Questo è il passato, che ha però dirette implicazioni sul presente. Il punto 2) significa che la troika stava chiedendo alla Grecia di gestire ampi avanzi primari negli anni a venire, per ripagare il debito restante ed adeguare i prestiti. Questa cosa rende molto più difficile la correzione dell’errore al punto 1), perché implica un’austerità ancora maggiore. In termini macroeconomici, si tratta di un errore evidente (se la Grecia potesse eliminare il suo differenziale di produzione negativo [4], essa starebbe realizzando secondo l’OCSE un avanzo primario superiore al 7 per cento, il che sarebbe sufficiente per tutti).
E adesso veniamo all’articolo apparso su Vox. Esso sfoggia gran parte degli argomenti macroeconomici sbagliati che provengono in questo momento dall’eurozona. Esempi:
a). “Per una economia nelle tristi condizioni della situazione greca, essenzialmente non ha fatto nessuna differenza che essa sia rimasta un membro dell’eurozona ….”. Questo ignora il fondamentale concetto economico di cui al secondo paragrafo precedente. Negare l’importanza della rigidità dei salari e dei prezzi, che costituisce il costo fondamentale derivante dal partecipare ad una unione monetaria, ha caratterizzato sin dagli inizi il progetto dell’eurozona.
b). “Dal momento che in tutti questi casi una correzione dolorosa era inevitabile e costosa, si doveva scegliere la combinazione dei pacchetti di salvataggio e dei programmi di correzione per quello che essi sono nella realtà – dispositivi che contribuiscono ad evitare una improvvisa correzione di finanza pubblica e nel conto corrente con una sofferenza anche più ampia”. E’ naturalmente vero che con il ricorso ai mercati il taglio, la correzione senza alcun sostegno da parte del FMI o in altri modi, in termini macroeconomici, sarebbe stata molto più immediata e dolorosa. Ma l’implicazione è che la velocità della correzione è importante, e in particolare che essa può ancora essere troppo veloce. L’articolo non fa alcun tentativo di esaminare questo tema centrale. Il messaggio che ne deriva per la Grecia è che dovreste ritenervi fortunati se avete ottenuto qualcosa.
c). “Durante i cinque anni passati la Grecia si è in effetti sottoposta a serie riforme ed a un serio consolidamento della finanza pubblica. Il progresso è stato considerevole …” Quello che è considerevole è il collasso dell’economia greca. Una qualche forma di recessione era inevitabile, ma non un completo collasso del PIL, per il quale più della metà dei giovani sono disoccupati. L’articolo cerca di suggerire che questo è niente altro che un andamento normale, piuttosto che una conseguenza della quantità di austerità imposta.
d). “Una attenuazione del debito da parte dei creditori pubblici non potrebbe sostanzialmente rendere più confortevole la situazione del Governo greco, a parte il fatto di poterlo giustificare facilmente nel confronto diretto con i suoi creditori”. Questo è ipocrita. E’ vero che il tasso di interesse in vigore sul debito greco è relativamente basso, a confronto con gli altri paesi dell’eurozona, nondimeno i creditori stanno chiedendo alla Grecia di gestire sul momento significativi avanzi primari, e non hanno alcuna necessità di chiederlo.
Potrei proseguire a lungo, ma avevo intenzione di essere breve. Per riassumere, i problemi che vengono in evidenza in questo articolo consistono nel trascurare l’importanza della rigidità dei salari e dei prezzi e nel trascurare l’impatto che l’austerità della finanza pubblica può avere sulla domanda, portando ad uno spreco inutile di risorse. In altre parole, la negazione delle idee keynesiane fondamentali.
[1] L’articolo sul quale Wren-Lewis torna nella seconda parte del post, è apparso sul blog Vox il 20 febbraio 2015. Gli autori sono: Lars P. Feld (Università di Friburgo), Christhoph M. Schmidt (Presidente del Centro di Ricerca di Politica economica), Isabel Schnabel (Università di Gutenberg), Benjamin Weigert (Segretario Generale del comitato di consulenti economici del Governo della Germania), Volker Wieland (Università Goethe di Francoforte).
[2] ”L’economista neozelandese Alban William Phillips (1914 – 1975), nel suo contributo del 1958 ‘The relationship between unemployment and the rate of change of money wages in the UK 1861-1957′ (La relazione tra disoccupazione e il tasso di variazione dei salari monetari nel Regno Unito 1861-1957), pubblicato su Economica, rivista edita dalla London School of Economics, osservò una relazione inversa tra le variazioni dei salari monetari e il livello di disoccupazione nell’economia britannica nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni vennero presto osservate in altri paesi e, nel 1960, Paul Samuelson e Robert Solow, a partire dal lavoro di Phillips, proposero un’esplicita relazione tra inflazione e disoccupazione: allorché l’inflazione era elevata, la disoccupazione era modesta, e viceversa. ” La società può permettersi un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione .“ (Robert Solow)
[3] Ovvero, recuperare competitività attraverso tagli salariali (e riduzioni dei prezzi) non è una cosa semplice, perché sia i lavoratori che, anche, gli imprenditori, e gli altri soggetti economici, hanno varie ragioni – che storicamente sono apparse evidenti in modo costante – per non operare il tal senso. Tali ragioni sono evidenti per il solo buonsenso nel caso dei lavoratori, ma caratterizzano anche gli imprenditori, che possono ben preferire un clima di maggiore coesione all’interno dei luoghi di lavoro. In generale, il punto è che non è sempre facile o logico pensare che i singoli attori si facciano carico di obbiettivi che pur appaiono ragionevoli per l’economia nel suo complesso. Questa è la ragione per la quale le “svalutazioni interne” sono sempre più difficili che quelle ottenute con il metodo di una riduzione del valore di una valuta nel tasso di cambio. Sennonché, per queste ultime è indispensabile avere una valuta, ovvero non far parte di una unione monetaria. Le “svalutazioni interne”, inoltre, sono evidentemente più difficili se i paesi con i quali si cerca di essere maggiormente competitivi, hanno una bassa inflazione (come abbiamo letto altre volte, in questi anni, per essere più competitivi della Germania, l’inflazione tedesca avrebbe dovuto essere attorno al 4 per cento).
[4] Ovvero, se avesse una produzione pari alle sue potenzialità.
By mm
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