Blog di Krugman

Il dollaro e la ripresa (per esperti) (6 febbraio 2015)

 

The Dollar and the Recovery (Wonkish)

February 6, 2015 11:00 am

Good news in today’s jobs report, and the dollar shot higher. But a stronger dollar will make US goods less competitive, and act as a brake on further recovery. So how do we think about this? How much of the US recovery will be diffused to other countries via dollar strength and a bigger trade deficit?

Time for a bit of analytical thinking, which is good for the soul in any case. Not to keep you in suspense, here’s the punchline: the US economy reaps the bulk of the gains from rising demand relative to other countries if and only if that relative rise is perceived by markets as temporary. If it’s seen as permanent – if, say, investors see strong US demand but Europe stuck in secular stagnation – we should expect a strong dollar to undo a lot of the gains.

I could work this out in a fully specified intertemporal model, but I’m not in the mood, and anyway the intuition is the thing; so the full Obstfeld-Rogoffization is left as an exercise for readers.

So, let’s start by thinking about an economy in normal times, i.e., not at the zero lower bound (which is squishier than we thought, but still relevant.) It looks like this:

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We can think of demand as being determined by an IS curve, with real spending higher the lower the interest rate. What about the exchange rate and the trade balance? Hold off on that for a minute. And in normal times the central bank will adjust the interest rate to stabilize the economy, which for current purposes we can think of as meaning that it achieves full employment.

What happens if there is an increase in demand, say because household balance sheets have improved? The IS curve shifts right:

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But if the central bank was doing its job, the economy was already at full employment. So this increase in demand will be reflected not in higher output, but in a rise in interest rates.

Now, open economy: we expect capital flows to equalize expected returns across countries. But the rise in demand initially raises rates in our country but not abroad. So what happens? Our currency rises, which causes a larger trade deficit; demand for domestic goods falls, while demand abroad rises, reducing the gap in interest rates. If the initial shock is perceived as permanent, this process should go all the way: the rise in US demand leads to an equal rise in interest rates around the world, and most of the demand shock is effectively diffused abroad.

Next step: look at the abnormal times we currently live in. Monetary policy is constrained by the zero lower bound, so that we’re below full employment:

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What determines the exchange rate? If expected returns at home and abroad must be equal, and interest rates are zero both at home and abroad, the current exchange rate must equal the expected future exchange rate, which as we’ve seen is tied down by the requirement that the interest rates consistent with full employment be equalized.

Now consider two pure cases of rising US demand.

In case #1, everyone sees the relative strength of US spending as temporary – either they see it as a one-time blip that will go away, or they expect the rest of the world to exhibit a similar surge in demand in the not-too-distant future. In that case the dollar doesn’t move, and the bulk of the demand surge stays in the US.

In case #2, everyone sees the strength of US spending relative to the rest of the world as more or less permanent. In that case the dollar rises sharply, effectively sharing the rise in US demand more or less evenly around the world. It’s important to note, by the way, that this is not just ordinary leakage via the import content of spending; it works via financial markets and the dollar, and happens even if the direct leakage through imports is fairly small.

So, what’s actually happening? The dollar is rising a lot, which suggests that markets regard the relative rise in US demand as a fairly long-term phenomenon – which in turn should mean that a lot of the rise in US demand ends up benefiting other countries. In other words, the strong dollar probably is going to be a major drag on recovery.

 

 

Il dollaro e la ripresa (per esperti)

Buone notizie nel rapporto odierno sui posti di lavoro, e il dollaro è scattato più in alto. Ma un dollaro più forte renderà i beni statunitensi meno competitivi, ed avrà l’effetto di un freno su un ripresa ulteriore. Dunque, cosa pensare di tutto ciò? Quanto delle ripresa degli Stati Uniti si diffonderà agli altri paesi per il tramite del dollaro più forte e di un maggiore deficit commerciale?

E’ tempo di un po’ di pensiero analitico, che se non altro fa bene all’anima. Per non tenervi in sospeso, la storia va a finire in questo modo: l’economia degli Stati Uniti raccoglie la maggior parte dei guadagni dalla crescente domanda relativa ad altri paesi se e soltanto se la crescita relativa è percepita dai mercati come temporanea. Se essa è considerata permanente – se, ad esempio, gli investitori vedono gli Stati Uniti forti ma l’Europa bloccata in una stagnazione secolare – dovremmo aspettarci che un dollaro forte disfaccia gran parte dei guadagni.

Potrei elaborare tutto questo in un particolare modello intertemporale, ma non sono dell’umore giusto, e in ogni modo l’intuizione è quello che conta; dunque una modellazione sullo stile di Obstfeld-Rogoff la lascio come un esercizio per i lettori.

Consentitemi, dunque, di partire pensando ad un’economia in tempi normali, vale a dire non al livello inferiore dello zero dei tassi di interesse (che è una versione più morbida di quella che avevamo pensato [1], ma ancora rilevante). Appare in questo modo:

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Possiamo pensare alla domanda come se fosse una curva IS [2], con la spesa reale che sale quando il tasso di interesse diventa più basso. Cosa dire del tasso di cambio e della bilancia commerciale? Trattenetevi per un istante su questo aspetto. Inoltre, in tempi normali la banca centrale correggerà il tasso di interesse per stabilizzare l’economia, la qualcosa per gli scopi attuali possiamo considerarla come se essa realizzasse una condizione di piena occupazione.

Cosa accade se c’è un incremento nella domanda, ad esempio perché gli equilibri patrimoniali delle famiglie sono migliorati? La curva IS si sposta a destra:

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Ma se la banca centrale stava facendo il suo lavoro, l’economia era già in piena occupazione. Dunque, questo incremento della domanda non si rifletterà in una produzione più elevata, ma in una crescita dei tassi di interesse.

Ora, il caso dell’economia aperta: ci aspettiamo che i flussi dei capitali siano pari ai rendimenti attesi tra i vari paesi. Ma la crescita della domanda agli inizi eleva i tassi nel nostro paese e non all’estero. Cosa accade, dunque? La nostra valuta sale di valore, il che provoca un più ampio deficit commerciale; la domanda per i beni nazionali cade, mentre cresce la domanda verso l’estero, riducendo il differenziale nei tassi di interesse. Se lo shock iniziale è percepito come permanente, questo processo dovrebbe procedere sino in fondo: la crescita nella domanda degli Stati Uniti porta ad una pari crescita dei tassi di interesse nel mondo, e gran parte del balzo della domanda in sostanza si diffonde all’estero.

Prossimo passo: riferiamoci a tempi anormali, quali quelli nei quali viviamo attualmente. La politica monetaria è limitata dal limite inferiore dello zero (nei tassi di interesse), cosicché siamo al di sotto della piena occupazione:

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Cosa determina il tasso di cambio? Se i rendimenti attesi all’interno e all’estero debbono essere eguali, ed i tassi di interesse sono zero sia all’interno che all’estero, l’attuale tasso di cambio deve essere eguale al tasso di cambio atteso nel futuro, che come abbiamo visto è vincolato dalla necessità che i tassi di interesse coerenti con la piena occupazione siano resi uniformi.

Ora si considerino due puri casi di crescita della domanda statunitense.

Nel caso 1, tutti si rendono conto che la forza relativa della domanda americana è temporanea – sia che la si consideri come una variazione di un momento che scomparirà, sia che ci si aspetti che il resto del mondo mostri una crescita simile della domanda in un futuro non troppo lontano. In quel caso il dollaro non si muove, ed il grosso della crescita della domanda resta negli Stati Uniti.

Nel caso 2, tutti considerano la forza della spesa degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo come più o meno permanente. In quel caso il dollaro sale bruscamente, in sostanza distribuendo la crescita della domanda degli Stati Uniti più o meno uniformemente in tutto il mondo. E’ importante notare, per inciso, che questo non rappresenta soltanto la perdita ordinaria per il tramite del contenuto di spesa delle importazioni; esso opera attraverso i mercati finanziari ed il dollaro, ed avviene anche se la perdita diretta attraverso le importazioni è abbastanza modesta.

Dunque, cosa sta accadendo effettivamente? Il dollaro sta crescendo molto, la qualcosa suggerisce che i mercati considerano la crescita relativa della domanda negli Stati Uniti come un fenomeno di un periodo discretamente lungo – il che a sua volta dovrebbe significare che la crescita della domanda statunitense dovrebbe finir col beneficiare altri paesi. In altre parole, il dollaro forte è probabilmente destinato ad essere un fattore importante di resistenza sul cammino della ripresa.

 

 

[1] Nella connessione si trova un post interessante di Matthew Yglesias, sul recente fenomeno dei tassi di interesse negativi su bond di alcuni paesi europei (Danimarca, Svizzera e Germania) ed anche di alcune società come la Nestlé e la Shell, che interloquisce frequentemente con passati studi di Krugman. Questo post è in parte un dialogo con quei temi.

[2] La curva Investimenti/Risparmi.

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