Blog di Krugman

Il problema delle mentalità ristrette (27 febbraio 2015)

 

The Closed Minds Problem

February 27, 2015 10:36 am

 

When I was a young economist trying to build a career, I lived — or thought I lived — in a world in which ideas and those who championed them met in relatively open intellectual combat. Of course there were people who clung to their prejudices, of course style sometimes trumped substance. But I believed that by and large better ideas tended to prevail: if your model of trade flows or exchange rate fluctuations tracked the data better than someone else’s, or resolved puzzles that other models couldn’t, you could expect it to be taken up by many if not most researchers in the field.

This is still true in much of economics, I believe. But in the areas that matter most given the state of the world, it’s not true at all. People who declared back in 2009 that Keynesianism was nonsense and that monetary expansion would inevitably cause runaway inflation are still saying exactly the same thing after six years of quiescent inflation and overwhelming evidence that austerity affects economies exactly the way Keynesians said it would.

And we’re not just talking about cranks without credentials; we’re talking about founders of the Shadow Open Market Committee and Nobel laureates.

Obviously this isn’t just a story about economics; it covers everything from climate science and evolution to Bill O’Reilly’s personal history. But that in itself is telling: academic economics, which still has pretenses of being an arena of open intellectual inquiry, appears to be deeply infected with politicization.

So what should those of us who really wanted to be part of what we thought this enterprise was about do? That’s the question Brad DeLong has been asking.

I see three choices:

  1. Continue to write and speak as if we were still having a genuine intellectual dialogue, in the hope that politeness and persistence will make the pretense come true. I think that’s one way to understand Olivier Blanchard’s now somewhat infamous 2008 paper on the state of macro; he was, you could argue, trying to appeal to the better angels of freshwater nature. The trouble with this strategy, however, is that it can end up legitimizing work that doesn’t deserve respect — and there is also a tendency to let your own work get distorted as you try to find common ground where none exists.
  2. Point out the wrongness, but quietly and politely. This has the virtue of being honest, and useful to anyone who reads it. But nobody will.
  3. Point out the wrongness in ways designed to grab readers’ attention — with ridicule where appropriate, with snark, and with names attached. This will get read; it will get you some devoted followers, and a lot of bitter enemies. One thing it won’t do, however, is change any of those closed minds.

So is there a reason I go for door #3, other than simply telling the truth and having some fun while I’m at it? Yes — because the point is not to convince Rick Santelli or Allan Meltzer that they are wrong, which is never going to happen. It is, instead, to deter other parties from false equivalence. Inflation cultists can’t be moved; but reporters and editors who tend to put out views-differ-on-shape-of-planet stories because they think it’s safe can be, sometimes, deterred if you show that they are lending credence to charlatans. And this in turn can gradually move the terms of discussion, possibly even pushing the nonsense out of the Overton window.

And the inflation-cult story is, I think, a prime example. Yes, you still get coverage treating both sides as equivalent — but not nearly as consistently as in the past. When Paul hyperinflation-in-the-Hamptons Singer complains about the “Krugmanization” of the media, who have the impudence to point out that the inflation he and his friends kept predicting never materialized, that’s a sign that we’re getting somewhere.

It really would be nice not having to do things this way. But that’s the world we live in — and, as I said, there’s some compensation in the fact that one can have a bit of fun doing it.

 

Il problema delle mentalità ristrette

Quando ero un giovane economista che cercava di costruirsi una carriera, vivevo – o pensavo di vivere – in un mondo nel quale le idee e quelli che le professavano si incontravano in un combattimento relativamente aperto. Naturalmente, c’erano individui che si afferravano ai loro pregiudizi, ovviamente lo stile, talvolta, sopravanzava la sostanza. Ma io credevo che in generale le buone idee tendessero a prevalere; se il vostro modello dei flussi commerciali o delle fluttuazioni dei tassi di cambio si adattava ai dati meglio di quello di qualcun altro, oppure risolveva i misteri che i modelli dell’altro non potevano risolvere, potevate aspettarvi di essere presi in considerazione da molti ricercatori in quella disciplina, forse dalla maggioranza.

Credo che questo sia ancora vero, per gran parte della macroeconomia. Ma nelle aree che hanno la maggiore importanza, data la situazione del mondo, non è vero affatto. Le persone che nel passato 2009 affermavano che il keynesismo era un nonsenso e che l’espansione monetaria avrebbe inevitabilmente provocato una inflazione fuori controllo, stanno ancora esattamente dicendo la stessa cosa, dopo sei anni di inflazione quiescente e dopo prove schiaccianti che l’austerità influenza le economie esattamente nel modo in cui affermavano i keynesiani.

E non stiamo soltanto parlando di ciarlatani senza credenziali; stiamo parlando dei fondatori della Commissione Ombra sul Mercato Aperto [1] e di premi Nobel.

Evidentemente non si tratta di un tema che riguarda soltanto l’economia; riguarda tutto, dalla scienza del clima e dall’evoluzionismo sino alla storia personale di Bill O’Reilly [2]. Ma di per sé ci dice che l’economia accademica, che ha ancora pretese di essere una arena di indagine intellettuale senza pregiudizi, sembra essere profondamente contaminata dalla politicizzazione.

Dunque, cosa dovrebbero fare quelli tra noi che per davvero desideravano partecipare a quell’impresa, come se l’erano immaginata? E’ questa la domanda che Brad DeLong si sta ponendo.

Io vedo tre scelte:

1 Continuare a scrivere ed a parlare come se ancora avessimo un dibattito intellettuale genuino, nella speranza che le buone maniere e la tenacia facciano in modo che quella pretesa si avveri. Penso che questo sia un modo di intendere quello che oggi possiamo in qualche modo definire il famigerato articolo di Olivier Blanchard [3] del 2008 sulle condizioni della macroeconomia; egli, si potrebbe dire, cercava di appellarsi agli spiriti migliori della natura dell’economia dell’ “acqua dolce” [4]. Il guaio di quella strategia, tuttavia, è che può finire per legittimare un lavoro che non merita rispetto – e c’è anche una tendenza per la quale anche il vostro lavoro subisce una distorsione, quando cercate di trovare un terreno comune dove non esiste affatto.

2 Indicare gli errori, ma con pacatezza e rispetto. Questa avrebbe il vantaggio di essere una soluzione onesta, e utile a chiunque la legga. Ma non lo farà nessuno.

3 Mettere in evidenza gli errori con modalità rivolte ad afferrare l’attenzione dei lettori – ridicolizzando quando è il caso, con irriverenza, e con nomi e cognomi. In questo modo si verrà letti; si avranno seguaci affezionati, ed una gran quantità di nemici rancorosi. Una cosa che non si provocherà, tuttavia, è modificare in niente quelle mentalità ristrette.

C’è dunque una ragione per la quale io mi indirizzo verso la terza soluzione, oltre al fatto di dire la verità ed anche di divertirmi un po’ nel farlo? Sì – perché il punto non è quello di convincere Rick Santelli o Allan Meltzer che stanno sbagliando, cosa che non succederà mai. E’, invece, scoraggiare altre componenti dalle false equivalenze. I cultori dell’inflazione non possono essere dissuasi; ma i giornalisti e gli editori che tendono ad affidarsi ai racconti del genere dei “punti-di-vista-diversi-sulla-forma-del-pianeta” [5] perché pensano che siano sicuri, possono esserne dissuasi se mostrate loro che stanno dando credito a ciarlatani. E questo a sua volta può gradualmente spostare i termini delle discussione, forse persino spingendo le cose insensate fuori dalla ‘finestra di Overton” [6].

E la storia dei cultori dell’inflazione, penso, ne sia un esempio di prima grandezza. E’ vero, ancora c’è una tendenza a dare le notizie trattando gli opposti schieramenti come equivalenti – ma neanche lontanamente simile a quella del passato. Quando Paul Singer – quello della ‘iperinflazione ad Hamptons’ [7] – si lamenta sulla “krugmanizzazione” dei media, che hanno l’impudenza di mettere in evidenza che l’inflazione prevista da lui e dai suoi amici non si è mai materializzata, quello è un segno che stiamo ottenendo un qualche risultato.

Sarebbe davvero piacevole non doversi comportare in questo modo. Ma questo è il mondo nel quale viviamo – e, come ho detto, un qualche compenso viene dal fatto che a comportarsi in quel modo un po’ ci si diverte.

 

[1] Vedi la polemica nei posts dei giorni passati su Allan Meltzer.

[2] William James “Bill” O’Reilly, Jr. è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo di orientamento conservatore, sebbene con posizioni che spesso differiscono dalla ortodossia conservatrice.

[3] Noto economista, oggi direttore del FMI. In quell’articolo sosteneva, per l’appunto, in un anno fatale, le buone condizioni della ricerca economica, e in particolare la possibile convergenza di approcci nel passato opposti. Famigerato, perché evidentemente quegli approcci sono diventati con la crisi ancor più incompatibili.

[4] Una scuola della macroeconomia americana dei decenni passati. Vedi sulle note della traduzione, alla voce “freshwater and saltwater economics”.

[5] Antica ironia krugmaniana, inaugurata all’epoca di George Bush. Il senso era il seguente: il giornalismo centrista, che tende a legittimare le bugie di Bush per mera equidistanza, sarebbe capace – ove il Presidente se ne uscisse con l’affermazione che la Terra è piatta – di utilizzare titoli di giornali secondo i quali sarebbero stati espressi punti di vista diversi sulla forma del Pianeta.

[6] La “finestra di Overton” è una teoria politica – che prende il nome da Joseph Overton (1960-2003), che la inventò – secondo la quale la gamma delle idee che l’opinione pubblica può accettare può essere rappresentata come una ‘finestra stretta’. Esisterebbe, insomma, un contesto di quello che, nelle varie fasi, l’opinione pubblica considera ‘politicamente accettabile’, una medietas, e le posizioni che si collocano alle estremità di quella ‘finestra stretta’ – perché troppo originali, o radicali – non hanno le stesse possibilità di essere accolte di quelle che sono più aderenti a quel precedente senso comune. E questo è il politologo prematuramente scomparso:

z 529

 

 

 

 

 

[7] Paul Singer è un miliardario che aderisce all’idea del ‘complotto di Obama’ sull’inflazione, ovvero che ritiene che l’inflazione sia elevata, ma i dati governativi truccati. Nel 2014 ha espresso tale convincimento con un argomento abbastanza ridicolo; basterebbe, disse, dare un’occhiata ai prezzi degli immobili nel quartiere di East Hampton, per rendersi conto di quanto l’inflazione sia elevata. Quella località è famosa per una concentrazione di ville di miliardari. Krugman ironizzò su quell’argomento in un post del novembre 2014 (“Gli usi del ridicolo”).

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