FEB. 2, 2015
On Monday, President Obama will call for a significant increase in spending, reversing the harsh cuts of the past few years. He won’t get all he’s asking for, but it’s a move in the right direction. And it also marks a welcome shift in the discourse. Maybe Washington is starting to get over its narrow-minded, irresponsible obsession with long-run problems and will finally take on the hard issue of short-run gratification instead.
O.K., I’m being flip to get your attention. I am, however, quite serious. It’s often said that the problem with policy makers is that they’re too focused on the next election, that they look for short-term fixes while ignoring the long run. But the story of economic policy and discourse these past five years has been exactly the opposite.
Think about it: Faced with mass unemployment and the enormous waste it entails, for years the Beltway elite devoted almost all their energy not to promoting recovery, but to Bowles-Simpsonism — to devising “grand bargains” that would address the supposedly urgent problem of how we’ll pay for Social Security and Medicare a couple of decades from now.
And this bizarre long-termism isn’t just an American phenomenon. Try to talk about the damage wrought by European austerity policies, and you’re all too likely to encounter lectures to the effect that what we really need to discuss is long-term structural reform. Try to discuss Japan’s effort to break out of its decades-long deflationary trap, and you’re sure to encounter claims that monetary and fiscal policy are sideshows, and that deregulation and other structural changes are what’s important.
Am I saying that the long run doesn’t matter? Of course not, although some forms of long-termism don’t make sense even on their own terms. Think about the notion that “entitlement reform” is an urgent priority. It’s true that many projections suggest that our major social insurance programs will face financial difficulties in the future (although the dramatic slowing of increases in health costs makes even that proposition uncertain). If so, at some point we may need to cut benefits. But why, exactly, is it crucial that we deal with the threat of future benefits cuts by locking in plans to cut future benefits?
Anyway, even where the long-term issues are real, it’s truly strange that they have so often taken center stage in recent years. We are, after all, still living through the aftermath of a once-in-three-generations financial crisis. America seems, finally, to be recovering — but Bowles-Simpsonism had its greatest influence precisely when the United States economy was still mired in a deep slump. Europe has hardly recovered at all, and there’s overwhelming evidence that austerity policies are the main reason for that ongoing disaster. So why the urge to change the subject to structural reform? The answer, I’d suggest, is intellectual laziness and lack of moral courage.
About laziness: Many people know what John Maynard Keynes said about the long run, but far fewer are aware of the context. Here’s what he really said: “But this long run is a misleading guide to current affairs. In the long run we are all dead. Economists set themselves too easy, too useless a task if in tempestuous seasons they can only tell us that when the storm is long past the ocean is flat again.” Quite. All too often, or so it seems to me, people who insist that questions of austerity and stimulus are unimportant are actually trying to avoid hard thinking about the nature of the economic disaster that has overtaken so much of the world.
And they’re also trying to avoid taking a stand that will expose them to attack. Discussions of short-run fiscal and monetary policy are politically charged. Oppose austerity and support monetary expansion and you’ll be lambasted by the right; do the reverse and you’ll be criticized and maybe ridiculed by the left. I understand why it’s tempting to dismiss the whole debate and declare that the really important issues involve the long run. But while people who say that kind of thing like to pose as brave and responsible, they’re actually ducking the hard stuff — which is to say, being craven and irresponsible.
Which brings me back to the president’s new budget.
It goes without saying that Mr. Obama’s fiscal proposals, like everything he does, will be attacked by Republicans. He’s also, however, sure to face criticism from self-proclaimed centrists accusing him of irresponsibly abandoning the fight against long-term budget deficits.
So it’s important to understand who’s really irresponsible here. In today’s economic and political environment, long-termism is a cop-out, a dodge, a way to avoid sticking your neck out. And it’s refreshing to see signs that Mr. Obama is willing to break with the long-termers and focus on the here and now.
La scusa del lungo periodo, di Paul Krugman
New York Times 2 febbraio 2015
Lunedì il Presidente Obama si pronuncerà per un significativo aumento della spesa pubblica, con una inversione rispetto ai duri tagli degli anni passati. Non otterrà tutto quello che chiede, ma è una iniziativa nella direzione giusta. E segna anche uno spostamento del dibattito che è benvenuto. Forse Washington sta cominciando a sbloccarsi dalla sua ristretta, irresponsabile ossessione sui problemi del lungo periodo e finalmente affronterà invece il tema difficile del soddisfare i bisogni più urgenti.
E’ vero, sto sfidando la sorte per attrarre la vostra attenzione. Tuttavia, lo dico abbastanza seriamente. Si dice spesso che il problema con gli uomini politici è che sono troppo concentrati sulle prossime elezioni, che guardano agli accorgimenti di breve periodo mentre ignorano la lunga prospettiva. Ma la storia della politica economica e il dibattito di questi cinque anni passati è stato esattamente l’opposto.
Riflettiamoci: di fronte ad una disoccupazione di massa ed agli enormi sprechi che comporta, per anni le classi dirigenti della Capitale hanno rivolto quasi tutte le loro energie non a promuovere la ripresa, bensì al “Bowles-Simpsonismo” [1] – a ideare “grandiose misure” che avrebbero affrontato il problema che si presumeva urgente di come avremmo pagato la previdenza sociale e Medicare tra una ventina d’anni.
E queste bizzarre scadenze a lungo termine non sono state soltanto un fenomeno americano. Cercate di discutere sul danno provocato dalle politiche europee dell’austerità, ed è del tutto probabile che andrete a sbattere in ramanzine secondo le quali quello di cui abbiamo realmente bisogno di discutere sono le riforme strutturali a lungo termine. Cercate di ragionare sullo sforzo del Giappone di sfuggire alla sua trappola deflazionistica durata decenni, e state certi che vi troverete dinanzi a pretese secondo le quali la politica della finanza pubblica e monetaria sono aspetti marginali, e che le cose importanti sono la deregolamentazione ed altri cambiamenti strutturali.
Sto dicendo che il lungo periodo non è importante? Naturalmente no, sebbene alcune forme di questo interesse per le scadenze lontane non hanno senso neppure in se stesse. Si pensi al concetto secondo il quale la “riforma dei programmi assistenziali” è una priorità urgente. E’ vero che molte previsioni indicano che i nostri principali programmi assicurativi affronteranno difficoltà finanziarie nel futuro (sebbene lo spettacolare rallentamento degli incrementi nei costi della sanità renda persino tale proposizione incerta). Se sarà così, in qualche momento avremo bisogno di tagliare i sussidi. Ma perché, esattamente, è fondamentale che ci misuriamo con la minaccia di tagli futuri ai sussidi bloccandoci su programmi per tagliare sussidi futuri?
In ogni modo, anche laddove i temi del lungo periodo sono reali, è davvero strano che essi abbiano avuto il posto centrale negli anni recenti. Dopo tutto, stiamo ancora vivendo i postumi di una crisi finanziaria che si manifesta ogni tre generazioni. Sembra che l’America, finalmente, si stia riprendendo – ma il “Bowles-Simpsonismo” ha avuto la sua massima influenza quando l’economia degli Stati Uniti era ancora impantanata in una recessione profonda. L’Europa non si sta affatto riprendendo facilmente, e ci sono prove schiaccianti che le politiche di austerità siano la principale ragione di quel perdurante disastro. Perché, dunque, l’urgenza di cambiare il tema con le riforme strutturali? Direi che la risposta è la pigrizia intellettuale e la mancanza di coraggio morale.
A proposito della pigrizia: molti sanno quello che John Maynard Keynes disse a proposito del lungo periodo, ma molti meno sono consapevoli del contesto. Ecco quello che disse realmente: “Ma questo lungo periodo è una guida fuorviante per i problemi attuali. Nel lungo periodo saremo tutti morti. Gli economisti si affidano un compito troppo semplice e discretamente inutile se nei periodi tempestosi si riducono a dirci che quando la tempesta sarà da un bel po’ passata l’oceano diventerà nuovamente calmo.” Appunto. Molto frequentemente, o così pare a me, la gente che ripete che le questioni dell’austerità e del sostegno all’economia non sono importanti, in effetti stanno cercando di evitare il ragionamento complesso sulla natura del disastro economico che ha interessato tanta parte del mondo.
E stanno anche cercando di evitare di prendere una posizione che li esporrebbe ad attacchi. I dibattiti sulla politica della finanza pubblica e sulla politica monetaria sono politicamente impegnativi. Se vi opponete all’austerità e sostenete l’espansione monetaria sarete fustigati dalla destra; se fate il contrario, sarete criticati e messi in ridicolo dalla sinistra. Comprendo che questo induca a liquidare l’intera discussione e a dichiarare che i temi veramente importanti riguardano il lungo periodo. Ma mentre alle persone che dicono cose del genere può piacere atteggiarsi come coraggiose e responsabili, in realtà stanno schivando le cose difficili – che è come dire che si comportano in modo vile ed irresponsabile.
La qualcosa mi riporta al nuovo bilancio del Presidente.
Non è il caso di dire che le proposte di finanza pubblica di Obama, come tutto quello che fa, saranno attaccate dai repubblicani. Tuttavia, egli è anche sicuro di subire critiche dai sedicenti centristi, che lo accusano di abbandonare irresponsabilmente la battaglia contro i deficit di bilancio a lungo termine.
Dunque è importante comprendere chi, in questo caso, è davvero irresponsabile. Nel contesto economico e politico odierno, le questioni del lungo periodo sono una scusa, un espediente, un modo di evitare le critiche. Ed è confortante constatare che Obama ha intenzione di rompere con i fanatici del lungo periodo e concentrarsi sul ‘qua e subito’.
[1] Dai nomi dei due co-presidenti della Commissione sul deficit – Bowles e Simpson, il primo repubblicano ed il secondo democratico – che, insediata su particolare iniziativa di Obama, doveva fornire consigli per una politica di riequilibrio del bilancio (e che in effetti li fornì, nel senso di indilazionabili misure di austerità).
By mm
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