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Nessuno capisce il debito, di Paul Krugman (New York Times 9 febbraio 2015)

 

Nobody Understands Debt

FEB. 9, 2015

Paul Krugman

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Many economists, including Janet Yellen, view global economic troubles since 2008 largely as a story about “deleveraging” — a simultaneous attempt by debtors almost everywhere to reduce their liabilities. Why is deleveraging a problem? Because my spending is your income, and your spending is my income, so if everyone slashes spending at the same time, incomes go down around the world.

Or as Ms. Yellen put it in 2009, “Precautions that may be smart for individuals and firms — and indeed essential to return the economy to a normal state — nevertheless magnify the distress of the economy as a whole.”

So how much progress have we made in returning the economy to that “normal state”? None at all. You see, policy makers have been basing their actions on a false view of what debt is all about, and their attempts to reduce the problem have actually made it worse.

First, the facts: Last week, the McKinsey Global Institute issued a report titled “Debt and (Not Much) Deleveraging,” which found, basically, that no nation has reduced its ratio of total debt to G.D.P. Household debt is down in some countries, especially in the United States. But it’s up in others, and even where there has been significant private deleveraging, government debt has risen by more than private debt has fallen.

You might think our failure to reduce debt ratios shows that we aren’t trying hard enough — that families and governments haven’t been making a serious effort to tighten their belts, and that what the world needs is, yes, more austerity. But we have, in fact, had unprecedented austerity. As the International Monetary Fund has pointed out, real government spending excluding interest has fallen across wealthy nations — there have been deep cuts by the troubled debtors of Southern Europe, but there have also been cuts in countries, like Germany and the United States, that can borrow at some of the lowest interest rates in history.

All this austerity has, however, only made things worse — and predictably so, because demands that everyone tighten their belts were based on a misunderstanding of the role debt plays in the economy.

You can see that misunderstanding at work every time someone rails against deficits with slogans like “Stop stealing from our kids.” It sounds right, if you don’t think about it: Families who run up debts make themselves poorer, so isn’t that true when we look at overall national debt?

No, it isn’t. An indebted family owes money to other people; the world economy as a whole owes money to itself. And while it’s true that countries can borrow from other countries, America has actually been borrowing less from abroad since 2008 than it did before, and Europe is a net lender to the rest of the world.

Because debt is money we owe to ourselves, it does not directly make the economy poorer (and paying it off doesn’t make us richer). True, debt can pose a threat to financial stability — but the situation is not improved if efforts to reduce debt end up pushing the economy into deflation and depression.

Which brings us to current events, for there is a direct connection between the overall failure to deleverage and the emerging political crisis in Europe.

European leaders completely bought into the notion that the economic crisis was brought on by too much spending, by nations living beyond their means. The way forward, Chancellor Angela Merkel of Germany insisted, was a return to frugality. Europe, she declared, should emulate the famously thrifty Swabian housewife.

This was a prescription for slow-motion disaster. European debtors did, in fact, need to tighten their belts — but the austerity they were actually forced to impose was incredibly savage. Meanwhile, Germany and other core economies — which needed to spend more, to offset belt-tightening in the periphery — also tried to spend less. The result was to create an environment in which reducing debt ratios was impossible: Real growth slowed to a crawl, inflation fell to almost nothing and outright deflation has taken hold in the worst-hit nations.

Suffering voters put up with this policy disaster for a remarkably long time, believing in the promises of the elite that they would soon see their sacrifices rewarded. But as the pain went on and on, with no visible progress, radicalization was inevitable. Anyone surprised by the left’s victory in Greece, or the surge of anti-establishment forces in Spain, hasn’t been paying attention.

Nobody knows what happens next, although bookmakers are now giving better than even odds that Greece will exit the euro. Maybe the damage would stop there, but I don’t believe it — a Greek exit is all too likely to threaten the whole currency project. And if the euro does fail, here’s what should be written on its tombstone: “Died of a bad analogy.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno capisce il debito, di Paul Krugman

New York Times 9 febbraio 2015

Molti economisti, inclusa Janet Yellen, considerano le difficoltà economiche a partire dal 2008 in larga parte come una storia di “riduzione dei rapporti di indebitamento” – un tentativo simultaneo da parte dei debitori di ridurre, quasi dappertutto, le loro passività. Perché la riduzione dell’indebitamento è un problema? Perché la mia spesa è il tuo reddito, e il tuo reddito è la mia spesa, cosicché se tutti abbattono le spese allo stesso tempo, i redditi scendono dappertutto.

Oppure, come si espresse la signora Yellen nel 2009, “Le precauzioni possono essere intelligenti per gli individui e le imprese – e sono in effetti essenziali per far ritornare l’economia in una condizione normale – nondimeno ingigantiscono le difficoltà dell’economia in quanto tale”.

Quanto progresso abbiamo fatto, dunque, nel far tornare l’economia a quella “condizione normale”? Proprio nessuno. Vedete, gli operatori politici sono venuti basando le loro azioni sul falso punto di vista secondo il quale tutto dipende dal debito, e i loro tentativi di attenuare il problema in effetti l’hanno peggiorato.

Partiamo dai fatti: la scorsa settimana il McKinsey Global Institute ha pubblicato un rapporto dal titolo “Debito e (non molta) riduzione dell’indebitamento”, con il quale si scopriva che nessuna nazione ha ridotto la sua percentuale del debito sul PIL. Il debito delle famiglie, in alcuni paesi, è sceso, in particolare negli Stati Uniti. Ma è salito in altri, e persino dove c’era stata una significativa riduzione del rapporto di indebitamento privato, il debito pubblico è salito più di quanto quello privato fosse calato.

Potreste pensare che la nostra incapacità nel ridurre le percentuali del debito mostra che non abbiamo provato con sufficiente impegno – che le famiglie ed i governo non stiano facendo uno sforzo serio per stringere le cinghie, e che ciò di cui il mondo ha bisogno è proprio una maggiore austerità. Ma, di fatto, abbiamo avuto una austerità senza precedenti. E come ha messo in evidenza il Fondo Monetario Internazionale, la spesa pubblica reale al netto degli interessi è caduta tra le nazioni ricche – ci sono stati tagli profondi da parte dei paesi dell’Europa meridionale, ma ci sono stati tagli anche in paesi, come la Germania e gli Stati Uniti, che possono indebitarsi con tassi di interesse tra i più bassi della storia.

Tutta questa austerità, tuttavia, ha soltanto peggiorato le cose – ed era prevedibile, perché le richieste che ognuno stringesse la propria cinghia erano basate su una incomprensione sul ruolo che il debito gioca nell’economia.

Potete vedere quella incomprensione all’opera ogni volta che qualcuno inveisce contro i deficit con slogan del tipo “ Basta rubare ai nostri ragazzi”. Sembra giusto, finché non ci si pensa: le famiglie che accrescono il loro debito si impoveriscono, non è dunque altrettanto vero quando guardiamo al debito complessivo della nazione?

No, non lo è. Famiglie indebitate devono denaro ad altra gente; l’economia mondiale nel suo complesso deve denaro a se stessa. E mentre è vero che i paesi possono indebitarsi con altri paesi, in effetti l’America, a partire dal 2008, si è venuta indebitando con l’estero meno di quello che non faceva in precedenza, e l’Europa è un prestatore netto verso il resto del mondo.

Dato che il debito è denaro che dobbiamo a noi stessi, esso non rende direttamente l’economia più povera (e il ripagarlo non ci rende più ricchi). E’ vero, il debito può costituire una minaccia alla stabilità finanziaria – ma la situazione non migliora se gli sforzi per ridurre il debito finiscono con lo spingere l’economia nella deflazione e nella depressione.

La qualcosa mi porta agli eventi in corso, giacché c’è una connessione diretta tra la complessiva incapacità a ridurre l’indebitamento e la crisi politica che si manifesta in Europa.

I dirigenti europei hanno completamente preso per buono il concetto secondo il quale la crisi economica era stata provocata da troppa spesa da parte di nazioni che vivevano al di sopra dei loro mezzi. La strada da percorrere, ha ripetuto la Cancelliera tedesca Angela Merkel, era un ritorno alla frugalità. L’Europa, affermava, avrebbe dovuto prendere l’esempio dalla frugale donna di casa sveva [1].

Questa è stata una ricetta per un disastro al rallentatore. I debitori europei avevano bisogno, in effetti, di stringere le cinghie – ma l’austerità alla quale sono stati costretti è stata incredibilmente severa. Nel frattempo, la Germania ed altre economie centrali – che dovevano spendere di più, per bilanciare le restrizioni della periferia – hanno cercato anch’esse di spendere di meno. Il risultato è stato quello di creare un contesto nel quale la riduzione delle percentuali del debito era impossibile: la crescita reale ha rallentato sino a procedere a passo d’uomo, l’inflazione è calata sino ad essere impercettibile ed una vera e propria deflazione si è impadronita delle nazioni che avevano subito i danni maggiori.

Gli elettori in sofferenza hanno sopportato questo disastro politico per un tempo considerevolmente lungo, credendo nelle promesse delle classi dirigenti, secondo le quali avrebbero presto visto la ricompensa ai loro sacrifici. Ma poiché la sofferenza è proseguita senza interruzioni e senza alcun visibile progresso, la radicalizzazione è stata inevitabile. Chiunque si sia sorpreso per la vittoria della sinistra in Grecia, o per la crescita di forze ostili alle classi dirigenti in Spagna, non era attento a quanto veniva accadendo.

Nessuno sa cosa avverrà prossimamente, sebbene in questo momento i bookmakers diano l’uscita della Grecia dall’euro più probabile che mai. Forse il danno si fermerà a quel punto, ma non lo credo – una uscita della Grecia è anche troppo probabile che sia una minaccia all’intero progetto valutario. E se l’euro fallisse, ecco quello che dovrebbe essere scritto sulla sua tomba: “Morto per una cattiva analogia”.

 

 

[1] Questo riferimento alla “casalinga sveva” è stato frequente nei discorsi della Merkel dal 2008 e molti giornali ne hanno parlato, tra gli altri il The Guardian, nella connessione nel testo inglese.

La Svevia (in latino Suēbĭa, in tedesco Schwaben o Schwabenland) è una regione storica e linguistica della Germania. La maggior parte della regione storica della Svevia fa oggi parte del Baden-Württemberg (lo stato storico del Württemberg e la provincia di Hohenzollern) e del distretto governativo bavarese di Svevia. Nel Medioevo, la Svevia comprendeva anche il Baden, lo stato federato austriaco del Vorarlberg, il Liechtenstein, i cantoni svizzeri di lingua tedesca e la regione francese dell’Alsazia. La regione linguistica comprende le zone in cui è parlato il tedesco alemanno e più propriamente quelle in cui è parlato lo Schwäbisch, lo svevo. Coincide più o meno con la zona storica, arrivando a lambire anche l’Italia, e più precisamente la Valle d’Aosta e la provincia del Verbano-Cusio-Ossola. (Wikipedia)

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