Blog di Krugman

Preveggenza col senno di poi (13 febbraio 2015)

 

Feb 13 10:36 am

20-20 Foresight

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Simon Wren-Lewis has a long-form discussion of the “austerity con” in the London Review of Books, which is well worth reading; he also has a sort of commentary on his commentary on the blog, which makes some good points about the difficulty in talking about macroeconomics to a general audience.

Another point he makes, however, is how successful mainstream Keynesian macro — it didn’t matter too much whether you were neo- or neo-paleo — has been:

The other thing that struck me writing both the LRB and NIER articles was how little depends on the benefits of hindsight … With the Coalition, the key mistake was obvious at the time. What has come with hindsight are in a sense details, albeit important ones: exactly why the Eurozone was special, the motivations behind the policy, and mediamacro.

That’s exactly right. Back in 2009 I was trying to explain why massive expansion of the monetary base wouldn’t cause inflation and why budget deficits wouldn’t cause soaring interest rates; in 2010, in the original “confidence fairy” piece, I was trying to explain why the case for austerity was nonsense and fiscal contraction would reduce output. And it all looks really good, four or five years later.

True, the usual suspects do everything they can to claim that people like me were wrong somewhere — that one year’s performance of one country somewhere wasn’t what Keynesian models predicted. But that’s no way to assess economic models, and surely the overall pattern of economic performance, not to mention this world of deflation and low or even negative interest rates we’ve arrived at, fits the Keynesian vision and makes nonsense of the other side’s claims.

And look at the contrast between people like Simon and me, able to acknowledge not having been perfect but by and large having no need to make excuses, with the desperate and, well, shameful efforts of inflation/interest scaremongers to claim that they never said what they said.

The point is that in a rational world these past five years would be viewed as a triumph for mainstream economic analysis; the world has behaved the way the models said it would. And in the long run I think it will be seen that way. But in the long run …

 

Preveggenza col senno di poi

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[1]

Simon Wren-Lewis pubblica un esteso intervento sull’ ‘imbroglio dell’austerità’ sulla London Review of Books, che merita davvero di esser letto; pubblica anche sul blog un commento sul suo commento, che avanza alcuni punti importanti sulla difficoltà di parlare di macroeconomia ad un vasto pubblico.

Un altro argomento che avanza, tuttavia, è relativo ai successi della convenzionale teoria economica keynesiana – non sono state così importanti le differenze tra la nuova teoria e la teoria ‘nuova e antica’ [2]:

“L’altra cosa che mi ha colpito nello scrivere sia l’articolo per la London Review of Books che quello per il NIER [3], è stata quanto poco dipenda dai benefici del senno di poi …. Con la Coalizione [4], l’errore fondamentale era evidente già a quel tempo. In un certo senso, ciò che è venuto col senso di poi sono dettagli, sebbene importanti: l’esatta ragione per la quale l’eurozona era un caso particolare, le motivazioni che stanno dietro le scelte politiche e la cosiddetta macroeconomia dei medi.”

Questo è assolutamente giusto. Ancora nel 2009 io stavo cercando di spiegare perché una massiccia espansione della base monetaria non avrebbe provocato inflazione e perché i deficit di bilancio non avrebbero spinto in alto i tassi di interesse: nel 2010, nell’originario articolo sulla “fata della fiducia”, stavo cercando di spiegare perché la tesi dell’austerità era un nonsenso e la contrazione della finanza pubblica avrebbe ridotto la produzione. E tutto ciò, quattro o cinque anni dopo, sembra davvero confermato.

E’ vero, i soliti noti fanno tutto quello che possono per sostenere che la gente come me da qualche parte sbagliasse – che l’andamento in un anno di un paese in qualche luogo non sia stato quello che i modelli keynesiani prevedevano. Ma non è quello il modo per controllare l’efficacia dei modelli economici, e certamente lo schema generale degli andamenti dell’economia, per non dire questo mondo di deflazione e di tassi di interesse bassi o persino negativi al quale siamo pervenuti, si adatta alla visione keynesiana e mostra l’illogicità degli altri argomenti.

E si guardi al contrasto tra persone come Simon e il sottoscritto, capaci di riconoscere di non essere stati perfetti ma in linea di massima di non dover accampare scuse, con gli sforzi disperati e, francamente, indegni degli allarmisti sull’inflazione e sui tassi di interesse, che affermano di non aver mai detto quello che hanno detto.

Il punto è che in un mondo razionale i cinque anni passati sarebbero stati considerati come un trionfo della analisi economica prevalente; il mondo si è comportato nel modo in cui i modelli dicevano sarebbe avvenuto. E io penso che nel lungo periodo le cose si vedranno in questo modo. Ma nel lungo periodo …..

 

 

[1] Da alcuni mesi Krugman spesso colloca un diagramma all’inizio di un post, anziché in un punto preciso della sua argomentazione, il che significa che i contenuti di quella informazione quantitativa informano un po’ tutto il post che la segue. Questa volta nel post non compare neppure una spiegazione o un rimando, nel senso che il nesso tra il dato quantitativo e l’argomentazione successiva dovrebbe essere evidente di per sé.

Il grafico presentato all’inizio viene definito “grafico di dispersione” e, in pratica, consiste nel riportare in uno spazio cartesiano il comportamento di vari soggetti (in questo caso le nazioni, ognuna delle quali si identifica con un quadratino celeste), rispetto a due variabili (in questo caso, sull’asse verticale, l’andamento del PIL e, sull’asse orizzontale, l’andamento delle spese da parte dei vari Governi). Frequentemente i soggetti singoli rappresentati in un grafico a dispersione non vengono neppure indicati, giacché quello che interessa è la rappresentazione nel suo complesso del fenomeno dell’andamento comparato di queste due variabili.

Come si nota, il baricentro sul quale si assesta la grande maggioranza delle esperienze dei vari paesi è in un’area nella quale a diminuzioni o a progressi minimi della spesa, corrisponde un progresso del PIL modestissimo, quando non negativo. Si consideri che il dato rappresenta l’andamento cumulativo di un quadriennio, dal 2010 al 2013. In sostanza, l’austerità ha nella maggioranza del casi bloccato l’andamento del PIL. Inoltre, nei casi nei quali l’andamento della spesa pubblica è stato caratterizzato da una cospicua diminuzione (i casi a sinistra in basso del grafico), ad esso ha corrisposto una diminuzione rilevante del PIL. In poche parole: se avessero funzionato le tesi sulla “austerità espansiva”, l’intero mucchietto degli andamenti nazionali avrebbe dovuto collocarsi più in alto – diciamo almeno attorno ad un +4% ed oltre.

[2] E’ un riferimento ad una complicata distinzione, della quale Krugman ha parlato in vari interventi nei mesi passati, tra una scuola neokeynesiana che sin dai decenni passati si affermò attorno a tentativi di riformulare quell’approccio basandosi su complessi nuovi modelli, che dovevano rispondere alle critiche sulle supposte inadeguatezze del keynesismo (ad esempio a proposito del ruolo degli aspetti intertemporali) – che sarebbe il neo keynesismo – ed una scuola diversa che ritiene tali aspetti meno rilevanti, e torna sulle idee fondamentali di Keynes, rivisitate con ‘senso pratico’ alla luce delle intuizioni di Hicks – che sarebbe il neo-paleo keynesismo, al quale vanno anche le simpatie di Krugman.

[3] National Institute of Economic and Social Research.

[4] Si riferisce alla Coalizione tra Tory e Liberaldemocratici nel Governo del Regno Unito, e alle sue scelte.

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