Feb 20 10:33 am
Jamelle Bouie has a very good article responding to Rudy Giulani’s attack on Obama’s patriotism, making the point that Obama, while clearly deeply patriotic, does talk about America a bit differently from his predecessors.
Oh, and read this about Giuliani.
But I’m not sure that Bouie has the whole story. He attributed Obama’s relatively chastened version of American exceptionalism to his personal identity — that as a black American he is more in touch with the areas of ambivalence in our history. That may well be true. But there are many Americans who love their country in pretty much the way the president does — seeing it as special, often an enormous force for good in the world, but also fallible and with some stains on its record. I’m one of them. So you don’t have to be black to see things that way.
What’s more, there have always been American patriots who could acknowledge flaws in the country they loved. For example, there’s the guy who described one of our foreign wars as “the most unjust ever waged by a stronger against a weaker nation.” That was Ulysses S. Grant — who long-time readers know is one of my heroes — writing about the Mexican-American War.
But now we (finally) have a president who is willing to say such things while in the White House. Why?
Maybe it’s history: the Greatest Generation is fading away, and the most recent war in our memories is Iraq — a war waged on false pretenses, whose enduring images are not of brave men storming Omaha Beach but of prisoners being tortured in Abu Ghraib. My sense is that Iraq has left a lasting shadow on our self-image; many people now realize that we, too, can do evil.
Maybe it’s just that we are becoming, despite everything, a more sophisticated country, a place where many people do understand that you can be a patriot without always shouting “USA! USA!” — maybe even a country where people are starting to realize that the shouters are often less patriotic than the people they’re trying to shout down.
All of this doesn’t change the fact that we really are an exceptional country — a country that has played a special role in the world, that despite its flaws has always stood for some of humanity’s highest ideals. We are not, in other words, just about tribalism — which is what makes all the shouting about American exceptionalism so ironic, because it is, in fact, an attempt to tribalize our self-image.
Un eccezionalismo più umile [1]
Jamelle Bouie scrive un ottimo articolo in risposta all’attacco di Rudy Giuliani sul patriottismo di Obama, avanzando la tesi secondo la quale Obama, pur essendo chiaramente patriottico nel profondo, parla dell’America in modo abbastanza diverso dai suoi predecessori.
E poi, a proposito di Giuliani, leggetevi questo [2].
Ma non sono sicuro che Bouie ci dica tutto. Egli ha attribuito la versione relativamente attenuata dell’eccezionalismo di Obama alla sua identità personale – ovvero al fatto che in quanto nero americano egli è più in sintonia con le aree di ambivalenza della nostra storia. Questo certamente può essere vero. Ma ci sono molti americani che amano il loro paese in modo abbastanza simile a quello del Presidente – lo considerano come un particolare, spesso come un enorme fattore positivo nel mondo, ma anche fallibile e non esente da macchie nella sua storia. Io sono uno di loro. Dunque, non c’è bisogno di essere neri per vedere le cose in quel modo.
Ciò che è più importante, è che ci sono sempre stati americani che potevano riconoscere difetti nel paese che amavano. Ad esempio, c’era un individuo che descrisse una delle nostre guerre all’estero come “la più ingiusta che sia mai stata dichiarata da una nazione più forte contro una nazione più debole”. Era Ulysses S. Grant – come sanno i miei lettori da lungo tempo, è uno dei miei eroi preferiti – che scriveva sulla Guerra Messicano-Americana.
Ma ora abbiamo (finalmente) un Presidente che ha voglia di dire cose del genere mentre è alla Casa Bianca. Perché?
Forse dipende dalla storia: la Generazione dei Più Grandi [3] se ne sta andando, e la guerra più recente nella nostra memoria è l’Iraq – una guerra dichiarata sulla base di falsi pretesti, le cui immagini durevoli non riguardano uomini coraggiosi che prendono d’assalto Omaha Beach [4], ma prigionieri che vengono torturati ad Abu Ghraib. La mia sensazione è che l’Iraq abbia lasciato un’ombra durevole sull’immagine che abbiamo di noi stessi; in molti ora si rendono conto che anche noi possiamo fare del male.
Forse si tratta soltanto del fatto che stiamo diventando, nonostante tutto, un paese più evoluto, un posto nel quale in molti si rendono conto che si può essere patrioti senza gridare in continuazione “USA! USA!” – forse persino un paese nel quale molte persone cominciano a capire che quelli che urlano sono spesso meno patriottici di coloro che cercano di sopraffare con le urla.
Tutto questo niente toglie al fatto che siamo per davvero un paese eccezionale – un paese che ha giocato un ruolo particolare nel mondo, che nonostante i suoi difetti si è sempre espresso per gli ideali più elevati dell’umanità. In altre parole, nel nostro caso non si tratta di un banale spirito di appartenenza ad una tribù – e quella è la cosa che rende tutti coloro che strillano sull’eccezionalismo americano così beffardi, dato che, di fatto, costituisce un tentativo di ridurre ad una tribù l’immagine che abbiamo di noi stessi.
[1] Il termine “eccezionalismo” nel linguaggio storico politico americano si riferisce alla “eccezionalità” della storia degli Stati Uniti, talora intesa letteralmente nel senso della sua straordinaria forza innovativa, più raramente, a sinistra, nel senso dell’esagerato orgoglio nazionalistico su cui si basa. “Chastened” potrebbe essere semplicemente tradotto nel senso di “attenuato”, ma anche nel senso di “maggiormente umile”, che nel caso di Obama è forse più appropriato.
[2] La connessione è con un articoletto sul blog “Daily News” nel quale si ricordano – a proposito della critica di Giuliani, secondo la quale Obama non “amerebbe” l’America – alcune sue storie di “amore coniugale”. Sembra che abbia ottenuto la separazione dalla prima moglie con un compiacente annullamento da parte di un sacerdote che stranamente si era accorto tardi che essa era sua seconda cugina, che si sia separato dalla seconda annunciandolo senza preavviso in una conferenza stampa di prima mattina, e che avesse avviato la sua relazione con la terza (prima del secondo divorzio) andandola a trovare nella sua residenza nei lussuosi sobborghi di Hamptons per 11 volte scortato da sette agenti con due SUV, per un costo a carico dei contribuenti pari a 3.000 dollari.
Mi scuso per il gossip che è un po’ istruttivo, se si pensa sia al moralismo della destra americana, sia alle italiche modeste vicende della ‘panda rossa’ in parcheggio vietato del povero sindaco della nostra capitale.
[3] The Greatest Generation è un termine coniato dal giornalista Tom Brokaw per riferirsi a quella generazione che crebbe negli Stati Uniti durante il disastro della Grande Depressione e che andò a combattere nella Seconda Guerra Mondiale e a quelli che, con la loro produttività all’interno della guerra nell’home front, hanno dato un contributo decisivo alla produzione di armi. (Wikipedia)
[4] Omaha Beach è il nome in codice dato dagli alleati ad una delle cinque spiagge su cui avvennero gli sbarchi il 6 giugno 1944. La spiaggia, dell’ampiezza di 8 chilometri, si snoda da Sainte-Honorine-des-Pertes a Vierville-sur-Mer nel dipartimento del Calvados, nella Bassa Normandia. (Wikipedia)
By mm
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