Blog di Krugman

Confusione di fondo alla FOMC (12 marzo 2015)

 

Mar 12 3:30 pm

Capital Confusion at the FOMC

Ambrose Evans-Pritchard raises a good point about the debt-deflation effects on much of the world caused by a rising dollar; he also, in passing, mentions that some members of the FOMC apparently think that flows of capital into the US strengthen the case for a rate hike. Really?

Yes. From the most recent minutes:

Some participants suggested that shifts of funds from abroad into U.S. Treasury securities may have put downward pressure on term premiums; the shifts, in turn, may have reflected in part a reaction to declines in foreign sovereign yields in response to actual and anticipated monetary policy actions abroad. A couple of participants noted that the reduction in longer-term real interest rates tended to make U.S. financial conditions more accommodative, potentially calling for a somewhat higher path for the federal funds rate going forward.

Oh, dear.

A first-pass way to think about this is surely to suppose that the Fed sets U.S. interest rates, so that an increased willingness of foreigners to hold our bonds shows up initially as a rise in the dollar rather than a fall in rates. This may then induce a fall in rates because the stronger dollar weakens both growth and inflation, affecting Fed policy – but this means that the rate effect occurs because the capital inflow is contractionary, and is by no means a reason to tighten policy.

OK, you can just possibly come up with an argument under which foreigners come in with low risk premiums on longer-term bonds etc. etc., but it’s implausible. Basically, I suspect that the FOMC participants have forgotten their Mundell-Fleming, and are applying fixed-rate logic to a floating-rate problem.

 

Confusione di fondo alla FOMC [1]

Ambrose Evans-Pritchard solleva una ottima questione sugli effetti della inflazione da debito provocato in gran parte del mondo da un dollaro in ascesa; di passaggio, egli ricorda anche che alcuni componenti del FOMC sembrano ritenere che i flussi dei capitali negli Stati Uniti rafforzino gli argomenti per un elevamento dei tassi. E’ davvero così?

Sì. Dai verbali più recenti:

“Alcuni partecipanti hanno suggerito che gli spostamenti di fondi dall’estero ai titoli del Tesoro degli Stati Uniti possono provocare una spinta verso il basso dei rendimenti a più lunga scadenza [2]; gli spostamenti, a loro volta, possono in parte essere stati il riflesso di una reazione ai cali nei rendimenti sovrani all’estero, in risposta alle azioni di politiche monetarie estere effettive o anche soltanto rese note. Un paio di partecipanti hanno osservato che la riduzione dei tassi di interesse reali a lungo termine hanno teso a rendere le condizioni finanziarie degli Stati Uniti più soddisfacenti, potenzialmente in qualche modo richiedendo, per l’avvenire, un percorso per il tasso di finanziamento federale più elevato.”

Poveri noi!

Un modo preliminare per ragionare di questo aspetto è certamente quello di presumere che sia la Fed a definire i tassi di interesse degli Stati Uniti, cosicché una disponibilità accresciuta degli stranieri a detenere i nostri bond, all’inizio si manifesterà come una ascesa del dollaro anziché come una caduta dei tassi. Questo può successivamente indurre una caduta nei tassi perché il dollaro più forte indebolisce sia la crescita che l’inflazione, influenzando la politica della Fed – ma questo comporta che l’effetto del tasso si manifesta perché è il flusso dei capitali ad essere restrittivo, e non è in alcun senso una ragione per una politica restrittiva.

E’ vero, potete forse semplicemente venir fuori con l‘argomento secondo il quale gli stranieri arrivano con i premi per il basso rischio sui bond a più lungo termine etc. etc., ma non è plausibile. Fondamentalmente, ho il sospetto che i partecipanti al FOMC abbiano dimenticato le loro lezioni sui modelli di Mundell-Fleming, e stiano applicando una logica da tasso fisso ad un problema di tasso fluttuante.

 

 

[1] Al Comitato Federale sul Mercato Aperto, ovvero all’organismo della Fed responsabile delle decisioni fondamentali della politica monetaria.

[2] Il “term premium” è la quantità di rendimento di un bond a lungo termine che eccede il rendimento dei bond a breve termine.

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