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Il rimbalzo dell’Europa (dal blog di Krugman, 25 marzo 2015)

 

Mar 25 8:09 am

Eurobounce

A lot of the recent data coming in show a substantial acceleration in European growth. And you know what will be coming next: claims that this (a) vindicates austerity and (b) shows that there is no reason to worry about Japanification.

Time, then, for some prophylaxis.

First, on austerity: one of the truly amazing and depressing things about the whole fiscal policy debate is the apparent inability of large numbers of supposedly sophisticated commentators to appreciate the distinction between levels and rates of change. Maybe it would help to note that the US economy grew 10.8 percent — that’s right, 10.8 percent — in 1934, but nobody would claim that the Great Depression was over? Nah, it won’t help at all.

Still, for what it’s worth: think of Keynesian economics as asserting that

GDP = multiplier*government spending + other stuff

Then if we’re looking at growth

Change in GDP = multiplier*Change in government spending + change in other stuff

Now look at euro area fiscal policy, as estimated by the IMF:

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There was a major tightening after the Greek crisis struck and Germany reverted to type, but there hasn’t been much further tightening recently. So there’s nothing especially troubling about a return to growth.

What about Japanification? There seems to be a widespread misperception that Japan spent its lost decade in a continual downward spiral, with never an uptick. Not so. There was, in fact, a return to growth in the mid-1990s that lasted until contractionary fiscal policy and a banking crisis led to recession, and another period of growth under Koizumi that, however, wasn’t enough to get Japan out of deflation:

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You really don’t want to take a short-run rise in growth as a sign that secular stagnation is no longer a worry.

Right now, I’d argue that Europe is benefiting a lot from the weaker euro, which is coinciding with a de facto, if unacknowledged, pause in austerity. But the downdrafts — shrinking working-age population, a single currency in a distinctly non-optimum currency area, and the intellectual rigidity of too many policymakers — remain.

 

Il rimbalzo dell’Europa

Una quantità di dati recentemente in arrivo mostrano una sostanziale accelerazione della crescita europea. E vi immaginate cosa arriverà di conseguenza: pretese secondo le quali tutto questo: (a) risarcisce le politiche dell’austerità e (b) mostra che non c’è alcuna ragione per preoccuparsi della somiglianza con il Giappone.

E’ tempo, dunque, di un po’ di profilassi.

Prima di tutto sull’austerità: una delle cose davvero sorprendenti e deprimenti dell’intero dibattito sulla politica della finanza pubblica è la apparente incapacità di un buon numero di commentatori che si presumono sofisticati ad apprezzare la differenza tra livelli e tassi di cambiamento. Aiuterebbe forse considerare che l’economia statunitense crebbe del 10,8 per cento – proprio così, del 10,8 per cento – nel 1934, anche se nessuno sosterrebbe che la Grande Depressione era passata? Macché, non aiuterà per nulla.

Eppure, per quello che merita, si pensi all’economia keynesiana come basata su questo concetto:

 

PIL= prodotto della spesa pubblica per il suo moltiplicatore [1] + altre cose varie.

 

Perciò, se ci stiamo riferendo alla crescita:

 

Modifiche nel PIL=prodotto delle modifiche nella spesa pubblica per il suo moltiplicatore + modifiche su altre cose varie.

 

Ora si guardi alla politica della finanza pubblica, sulla base delle stime del FMI:

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Ci fu una importante restrizione dopo lo scoppio della crisi greca e dopo che la Germania tornò alle vecchie abitudini, ma non c’è stata di recente una grande restrizione ulteriore [2]. Dunque, non c’è niente di particolarmente problematico in un ritorno alla crescita.

Cosa dire della “nipponizzazione”? Pare ci sia un fraintendimento diffuso secondo il quale il Giappone avrebbe speso il suo decennio perduto in una continua spirale verso il basso, senza mai un miglioramento. Non è così. In realtà, ci fu un ritorno alla crescita nella metà degli anni ’90 che si mantenne sinché una politica finanziaria della finanza pubblica ed una crisi bancaria portarono alla recessione, ed un altro periodo di crescita con Koizumi che, tuttavia, non fu sufficiente a portare il Giappone fuori dalla deflazione:

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Non si dovrebbe davvero considerare una crescita di breve periodo come un segno che la stagnazione secolare non è più una preoccupazione.

Direi che in questo momento l’Europa sta molto beneficiando dell’euro più debole, la qualcosa sta coincidendo con una pausa di fatto, anche se non ammessa, nell’austerità. Ma resta il fenomeno della corrente discendente – la restrizione della popolazione in età di lavoro, una moneta unica in un’area valutaria chiaramente non ottimale, nonché la rigidità intellettuale di troppi operatori politici.

 

 

[1] Per il concetto di “moltiplicatore” vedi le note sulla traduzione.

[2] Come si legge, la Tabella si riferisce all’ “equilibrio primario strutturale”. Quando gli equilibri di bilancio peggiorano – ad esempio a seguito di gravi necessità di salvataggi e di spese conseguenti, come negli anni che in tabella arrivano sino al 2009 – nella tabella si mostra un discesa in territorio negativo degli equilibri. Quando, tra il 2009 ed il 2012, si mette in atto una politica di tagli alla spesa pubblica pesante, gli equilibri di bilancio migliorano, e la curva risale. Come si nota, a partire dal 2012, gli equilibri di bilancio sono rimasti abbastanza stabili, il che significa che la politica dell’austerità almeno non è stata incrementata.

Inoltre, un equilibrio di bilancio si definisce “strutturale” – secondo la definizione che ne dà l’OCSE – perché può essere scomposto in una componente ciclica ed in una componente non ciclica; è strutturale quando viene depurato della prima componente.

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