Articoli sul NYT

La mano visibile della Walmart, di Paul Krugman (New York Times 2 marzo 2015)

 

Walmart’s Visible Hand

MARCH 2, 2015

Paul Krugman

z 461

 

 

 

 

 

 

 

 

A few days ago Walmart, America’s largest employer, announced that it will raise wages for half a million workers. For many of those workers the gains will be small, but the announcement is nonetheless a very big deal, for two reasons. First, there will be spillovers: Walmart is so big that its action will probably lead to raises for millions of workers employed by other companies. Second, and arguably far more important, is what Walmart’s move tells us — namely, that low wages are a political choice, and we can and should choose differently.

Some background: Conservatives — with the backing, I have to admit, of many economists — normally argue that the market for labor is like the market for anything else. The law of supply and demand, they say, determines the level of wages, and the invisible hand of the market will punish anyone who tries to defy this law.

Specifically, this view implies that any attempt to push up wages will either fail or have bad consequences. Setting a minimum wage, it’s claimed, will reduce employment and create a labor surplus, the same way attempts to put floors under the prices of agricultural commodities used to lead to butter mountains, wine lakes and so on. Pressuring employers to pay more, or encouraging workers to organize into unions, will have the same effect.

But labor economists have long questioned this view. Soylent Green — I mean, the labor force — is people. And because workers are people, wages are not, in fact, like the price of butter, and how much workers are paid depends as much on social forces and political power as it does on simple supply and demand.

What’s the evidence? First, there is what actually happens when minimum wages are increased. Many states set minimum wages above the federal level, and we can look at what happens when a state raises its minimum while neighboring states do not. Does the wage-hiking state lose a large number of jobs? No — the overwhelming conclusion from studying these natural experiments is that moderate increases in the minimum wage have little or no negative effect on employment.

Then there’s history. It turns out that the middle-class society we used to have didn’t evolve as a result of impersonal market forces — it was created by political action, and in a brief period of time. America was still a very unequal society in 1940, but by 1950 it had been transformed by a dramatic reduction in income disparities, which the economists Claudia Goldin and Robert Margo labeled the Great Compression. How did that happen?

Part of the answer is direct government intervention, especially during World War II, when government wage-setting authority was used to narrow gaps between the best paid and the worst paid. Part of it, surely, was a sharp increase in unionization. Part of it was the full-employment economy of the war years, which created very strong demand for workers and empowered them to seek higher pay.

The important thing, however, is that the Great Compression didn’t go away as soon as the war was over. Instead, full employment and pro-worker politics changed pay norms, and a strong middle class endured for more than a generation. Oh, and the decades after the war were also marked by unprecedented economic growth.

Which brings me back to Walmart.

The retailer’s wage hike seems to reflect the same forces that led to the Great Compression, albeit in a much weaker form. Walmart is under political pressure over wages so low that a substantial number of employees are on food stamps and Medicaid. Meanwhile, workers are gaining clout thanks to an improving labor market, reflected in increasing willingness to quit bad jobs.

What’s interesting, however, is that these pressures don’t seem all that severe, at least so far — yet Walmart is ready to raise wages anyway. And its justification for the move echoes what critics of its low-wage policy have been saying for years: Paying workers better will lead to reduced turnover, better morale and higher productivity.

What this means, in turn, is that engineering a significant pay raise for tens of millions of Americans would almost surely be much easier than conventional wisdom suggests. Raise minimum wages by a substantial amount; make it easier for workers to organize, increasing their bargaining power; direct monetary and fiscal policy toward full employment, as opposed to keeping the economy depressed out of fear that we’ll suddenly turn into Weimar Germany. It’s not a hard list to implement — and if we did these things we could make major strides back toward the kind of society most of us want to live in.

The point is that extreme inequality and the falling fortunes of America’s workers are a choice, not a destiny imposed by the gods of the market. And we can change that choice if we want to.

 

 

 

 

 

 

 

 

La mano visibile della Walmart, di Paul Krugman

New York Times 2 marzo 2015

Pochi giorni fa la Walmart, la società che occupa il maggior numero di lavoratori americani [1], ha annunciato che aumenterà i salari per mezzo milione di dipendenti. Per molti di quei lavoratori i vantaggi saranno piccoli, ma l’annuncio è nondimeno un affare importantissimo, per due ragioni. La prima, ci saranno ricadute: la Walmart è talmente grande che la sua iniziativa porterà probabilmente ad aumenti per milioni i lavoratori occupati in altre società. La seconda, probabilmente assai più importante, è il significato della mossa della Walmart – ovvero, che i bassi salari sono una scelta politica, e che possiamo e dovremmo fare una scelta diversa.

Alcuni precedenti: i conservatori – con il seguito, devo ammetterlo, di molti economisti – di solito sostengono che il mercato del lavoro è identico ad ogni altro mercato. La legge dell’offerta e della domanda, dicono, determina il livello dei salari, e la mano invisibile del mercato punirà chiunque cerchi di sfidare quella legge.

In particolare, questo punto di vista comporta che ogni tentativo di elevare i salari o fallirà, o avrà conseguenze negative. Si pretende che la fissazione di un salario minimo ridurrà l’occupazione e creerà un surplus di forza lavoro, nello stesso modo in cui i tentativi di fissare livelli minimi ai prezzi delle materie prime agricole hanno portato a montagne di burro, a laghi di vino e via dicendo. Spingere i datori di lavoro a pagare di più, o incoraggiare i lavoratori a organizzarsi in sindacati, avrà lo stesso effetto.

Ma gli economisti del lavoro hanno spesso espresso dubbi su questo punto di vista. La materia prima di “Soylent Green [2] – voglio dire, la forza lavoro – sono le persone. E poiché i lavoratori sono persone, i salari, di fatto, non sono come il prezzo del burro, e quanto i lavoratori sono pagati dipende dalle forze sociali e dal potere politico altrettanto che dalla semplice offerta e domanda.

Ci sono prove di questo? La prima prova è quello che accade quando i salari minimi vengono aumentati. Molti Stati fissano i minimi salariali sopra il livello federale, e noi possiamo osservare quello che accade quando uno Stato aumenta i suoi minimi, mentre gli Stati vicini non lo fanno. Lo stato che innalza i salari perde un gran numero di posti di lavoro? No – la conclusione schiacciante che viene dagli studi su questi esperimenti naturali è che incrementi moderati del minimo salariale hanno un effetto modesto, o non negativo, sull’occupazione.

Poi c’è la storia. Si scopre che la società di classe media a cui eravamo abituati non si sviluppò come conseguenza di impersonali forze di mercato – fu creata dall’azione politica, e in un breve periodo di tempo. Nel 1940, l’America era ancora una società molto ineguale, ma con il 1950 era stata trasformata da una spettacolare riduzione delle disparità di reddito, che gli economisti Claudia Goldin e Robert Mago definirono la ‘Grande Compressione’. Come accadde?

In parte la risposta rimanda all’intervento diretto del Governo, in particolare durante la Seconda Guerra Mondiale, quando l’autorità governativa che stabiliva i salari di norma riduceva le differenze tra coloro che erano pagati meglio e coloro che erano pagati peggio. In parte, certamente, dipese da un forte incremento della sindacalizzazione. In parte fu l’economia della piena occupazione degli anni di guerra, che aveva creato una domanda molto forte di lavoratori e li aveva incoraggiati a cercare compensi più elevati.

La cosa importante, tuttavia, fu che la Grande Compressione non scomparve così rapidamente con la fine della guerra. Invece, la piena occupazione e le politiche a favore dei lavoratori modificarono le regole salariali, ed una forte classe media sopravvisse per più di una generazione. Inoltre, i decenni dopo la guerra furono anche caratterizzati da una crescita economica senza precedenti.

La qualcosa mi riporta alla Walmart.

L’aumento dei salari dei venditori al minuto sembra riflettere le stesse forze che portarono alla Grande Compressione, seppure in una forma molto più debole. Walmart è oggetto di una pressione politica per i bassi salari, talmente bassi che un numero sostanziale di impiegati sono assistiti dai contributi alimentari e da Medicaid [3]. Nello stesso tempo, i lavoratori stanno acquistando peso grazie ad un mercato del lavoro che sta migliorando, che si riflette in una crescente attitudine a lasciare i posti di lavoro peggiori.

Quello che è interessante, tuttavia, è che queste spinte non sembrano così serie, almeno sino a questo punto – eppure la Walmart è pronta comunque ad aumentare i salari. E la sua giustificazione per tale iniziativa echeggia quello che i critici della politica dei bassi salari dicono da anni: pagare meglio i lavoratori porterà ad un turnover ridotto, ad un migliore spirito di gruppo e ad una maggiore produttività.

La qualcosa significa, a sua volta, che mettere in pratica un aumento dei salari significativo per milioni di americani quasi certamente sarebbe più facile di quello che indica il senso comune. Aumentare i minimi salariali di una entità significativa; agevolare l’organizzazione dei lavoratori, incrementando il loro potere contrattuale; una esplicita politica monetaria e della finanza pubblica rivolta alla piena occupazione, anziché mantenere l’economia depressa per la paura di precipitare all’improvviso nella Germania di Weimar. Non è un elenco difficile da mettere in atto – e se facessimo queste cose potremmo tornare a realizzare importanti progressi verso quel genere di società nella quale la maggioranza di noi vuole vivere.

Il punto è che l’estrema ineguaglianza e le sorti in declino dei lavoratori americani sono una scelta, non sono un destino imposto dalle divinità del mercato. E se vogliamo, possiamo cambiare quella scelta.

 

[1] La Walmart Stores Inc, è una multinazionale statunitense, proprietaria dell’omonima catena di negozi al dettaglio Walmart, fondata da Sam Walton nel 1962. È il più grande rivenditore al dettaglio nel mondo, prima multinazionale al mondo nel 2010 per fatturato[1] e numero di dipendenti.

z 531

 

 

 

 

 

 

 

 

[2] “Soylent Green” è il titolo di un film del 1973 (in italiano, “I sopravvissuti”; regista Richard Fleischer, tra gli attori Charlton Heston e Edward Robinson) ambientato in un futuro apocalittico, nel quale la società dei consumi è implosa, con enormi disastri ambientali, carestie, mancanza di materie prime e sostituzione delle stesse con materiali sintetici. L’ultimo alimento è diventato il “Soylent”, disponibile in varie versioni cromatiche: quello verde si dice che sia plancton. Sennonché si scopre che il plancton, in effetti, è scomparso da anni, e dunque quello in circolazione è una truffa. Il “Soylent Verde” dunque è il termine che indica la sostanza ed al tempo stesso la società che la produce. Nell’articolo, mi pare, esso diventa sinonimo della attuale società industriale.

z 530

 

 

 

 

 

 

[3] Il programma federale di assistenza sanitaria per i poveri e per i lavoratori con i redditi più bassi.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"