Mar 2 8:27 am
Arguments for tight money often rest on claims that inflation, even at low rates, is a slippery slope: say that 2 percent is OK, then people will make the case for 4, then 10, and before you know it we’re Weimar. It’s not clear whether that has ever really happened: actually existing Weimar, like all hyperinflations, was a byproduct of political chaos, and the 1970s had as much to do with oil shocks as with policy misjudgments. In any case, it’s certainly nothing we’ve seen in advanced countries for a long time.
Almost five years ago, however, I started worrying about the opposite problem — the slippery slope of disinflation. We already knew from empirical evidence that prices were sticky enough to prevent full-bore deflationary spirals; but that very fact could lead to another kind of trap, in which policymakers and pundits start to treat below-target inflation as OK, and invent new rationales for raising interest rates. I wrote this:
And this raises the specter what I think of as the price stability trap: suppose that it’s early 2012, the US unemployment rate is around 10 percent, and core inflation is running at 0.3 percent. The Fed should be moving heaven and earth to do something about the economy — but what you see instead is many people at the Fed, especially at the regional banks, saying “Look, we don’t have actual deflation, or anyway not much, so we’re achieving price stability. What’s the problem?”
The numbers and dates aren’t right, of course — it was an illustration, not a prediction — but it’s pretty close to what Martin Feldstein is saying, with the addition of the financial stability scare. Now Tony Yates catches Andrew Sentance taking below-target inflation as a reason for opportunistic disinflation — we’re so low, why not go for zero?
The answer is that central banks have a 2 percent, not zero, inflation target for a reason — actually two reasons. (Amongst their reasons are surprise — surprise and fear — surprise, fear, and a fanatical devotion to …) As I tried to explain in my paper for last year’s ECB conference, positive inflation helps both with avoiding the zero lower bound (which isn’t as binding as everyone thought, but there are still limits to rate cuts) and with limiting the problems caused by downward nominal wage rigidity. And the experience of the past six years has made those concerns stronger, not weaker:
The bottom line here is that the arguments used in the 1990s to argue for a positive inflation target rather than literal price stability now tell a significantly different quantitative story from what they used to suggest. Pre-2008, those arguments suggested that 2 percent inflation was probably enough to eliminate most of the damage caused by the two zeroes; that is no longer true.
So the arguments Feldstein and Sentance make were the subject of extensive prebuttals, years ago. It’s actually kind of annoying to see them being rolled out as if nobody had thought about this before.
La scivolosa china della disinflazione
Gli argomenti per la restrizione monetaria si fondano spesso sulla pretesa che l’inflazione, persino a bassi tassi, sia una china scivolosa; diciamo che il 2 per cento va bene, allora la gente prenderà per buono il 4, poi il 10, e prima di accorgersene ecco che siamo a Weimar. Non è chiaro se questo sia mai realmente accaduto; la Weimar effettivamente esistita, come tutte le iperinflazioni, fu un sottoprodotto del caos politico, e gli anni ’70 ebbero molto a che fare sia con gli shock petroliferi che con errori di indirizzo politico. In ogni caso, si tratta certamente di qualcosa che non si è mai visto nei paesi avanzati da lungo tempo.
Quasi cinque anni orsono, tuttavia, io cominciai a preoccuparmi per il problema opposto – la china scivolosa della disinflazione [1]. Sapevamo già da prove empiriche che i prezzi erano sufficientemente vischiosi da impedire complete spirali deflazionistiche; ma proprio quella circostanza poteva portare ad una trappola di altro genere, nella quale operatori e commentatori politici cominciano a considerare che l’inflazione al di sotto dell’obbiettivo non ha inconvenienti, e si inventano nuovi argomenti per alzare i tassi di interesse. Scrivevo questo:
“E questo solleva lo spettro di quella che concepisco come la trappola della stabilità dei prezzi: supponiamo di essere agli inizi del 2012, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è attorno al 10 per cento, l’inflazione sostanziale sta procedendo allo 0,3 per cento. La Fed dovrebbe smuovere cielo e terra per fare qualcosa sull’economia – ma quello che si nota, invece, è che molte persone alla Fed, particolarmente nelle banche regionali, stanno dicendo: ‘Guardate, non abbiamo una deflazione effettiva, in ogni caso non molta, dunque stiamo realizzando una stabilità dei prezzi. Qual è il problema?’”
I numeri e i dati, ovviamente, non sono quelli giusti – si trattava di una illustrazione, non di una previsione – ma (la rappresentazione) è abbastanza vicina a quello che Martin Feldstein sta dicendo, con l’aggiunta della paura per la stabilità finanziaria. Adesso Tony Yates sorprende Andrew Sentance che sostiene l’inflazione al di sotto dell’obbiettivo come una ragione per una disinflazione opportunistica – siamo così in basso, perché non arrivare allo zero?
La risposta è che la banca centrale assume un obbiettivo di inflazione al 2 per cento, e non allo zero, per una ragione – per la verità per due ragioni (tra le loro ragioni c’è la sorpresa – la sorpresa e la paura – la sorpresa, la paura ed una fanatica dedizione a ….). Come cercai di spiegare nella mia relazione per la conferenza della BCE dell’anno passato [2], l’inflazione positiva contribuisce sia ad evitare il limite inferiore dello zero (che non è così vincolante come tutti pensavano, ma ci sono pur sempre limiti per i tagli ai tassi), sia a limitare i problemi provocati da una rigidità dei salari nominali verso il basso. E l’esperienza dei sei anni passati ha reso queste preoccupazioni più forti, non più deboli:
“L’aspetto decisivo in questo caso è che gli argomenti utilizzati negli anni ’90 per sostenere un obbiettivo di inflazione positivo anziché una stabilità letterale dei prezzi raccontano oggi una storia quantitativa significativamente diversa da quella che si pensava indicassero. Prima del 2008 quegli argomenti indicavano che una inflazione al 2 per cento era probabilmente sufficiente ad eliminare il danno provocato dai due ‘zeri’ [3]; quello non è più vero.”
Dunque gli argomenti che avanzano Feldstein e Sentance erano oggetto di ampie contestazioni, da anni. In effetti è in qualche modo irritante vederli rimettere in circolo come se nessuno ci avesse pensato prima.
[1] Il tema venne trattato da Krugman in un post dell’agosto del 2012.
[2] Vedi in questo blog: “Una riconsiderazione degli obiettivi di inflazione”, di Paul Krugman – Maggio 2014, Relazione alla conferenza di Sintra, Portogallo della BCE (sezione “Saggi ed articoli da riviste …”).
[3] I “due zeri” ai quali Krugman si riferiva in quella relazione erano lo zero dei tassi di interesse e lo zero costituito dalla normale rigidità dei salari nominali, ovvero dalla difficoltà a ridurli in termini nominali.
By mm
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