Mar 23 8:26 am
A few minutes before class, and I’m thinking about the plight of not-crazy conservatives. I have macroeconomics in mind at the moment, but it’s not a unique issue.
If you think about policy in general, it involves two kinds of decisions: values and models, or what you want and what you believe. There aren’t totally independent, but people should be able to make a distinction. And in that space there is room for legitimate argument. You can, for example, want a strong welfare state that does a lot of redistribution, or not; meanwhile, there is a range of defensible views about, say, the effectiveness of monetary policy or the incentive effects of taxes.
But not all views about how the world works are defensible. And here’s the thing: in modern US politics, trying to side with people who want a smaller welfare state means siding with people who insist on believing things that aren’t true. Think of it as a matrix:
There have been people on the left who make claims about how the economy works that are radically at odds with the evidence — but it’s hard to find such people in America these days, and they certainly have no influence on the Democratic Party. On the other side, there are “reformicons” who try to more or less talk sense about the economy (more or less because market monetarism has big problems); but they are a tiny group of intellectuals with little influence on a Republican Party that gets its economics from Art Laffer and Ayn Rand.
The reformicons like to imagine that one day they’ll win over the party that reflects their values, and in the long run maybe that will happen. But for now, and my guess is for decades to come, they have no political home — unless they wake up and realize that they aren’t actually Republicans in the modern sense.
La solitudine dei conservatori non-folli
Pochi minuti prima della lezione, e sto pensando alla situazione difficile dei conservatori, quando non sono folli. In questo momento mi riferisco alla macroeconomia, ma non è l’unico tema.
Se si pensa in generale alla politica, quel pensiero riguarda due tipi di scelte: i valori e i modelli, ovvero quello che volete e in cui credete. Non sono del tutto indipendenti, ma le persone dovrebbero essere capaci di fare una distinzione. E in quell’ambito c’è spazio per un ragionamento valido. Ad esempio, potete volere uno stato assistenziale che operi molta redistribuzione, oppure no; nel contempo c’è una gamma di punti di vista difendibili, ad esempio, sulla efficacia della politica monetaria o degli effetti di incentivazione delle tasse.
Ma non tutti i punti di vista su come il mondo funziona, sono difendibili. E qua è il punto: negli Stati Uniti odierni, cercare di schierarsi con persone che vogliono uno stato assistenziale più ridotto significa schierarsi con persone che insistono a credere in cose che non sono vere. Ci si rifletta come in una matrice:
Stato assistenziale forte | Stato assistenziale debole | |
Macroeconomia pragmatica | Partito Democratico | Conservatori riformisti |
Macroeconomia fantasiosa | Populisti macroeconomici | Partito Repubblicano |
Ci sono state persone a sinistra che hanno sostenuto posizioni su come l’economia funziona che erano agli antipodi dei fatti – ma di questi tempi è difficile trovare in America persone del genere, ed esse non hanno sicuramente alcuna influenza sul Partito democratico. D’altra parte, ci sono “conservatori riformisti” che cercano di parlare più o meno sensatamente di economia (più o meno perché il monetarismo di mercato (1) ha seri problemi); ma sono un minuscolo gruppo di intellettuali con poca influenza sul Partito repubblicano, che derivano la propria economia da Art Laffer ed Ayn Rand.
Ai conservatori riformisti piace immaginare che un giorno prevarranno nel partito che riflette i loro valori, e nel lungo periodo forse accadrà. Ma per adesso, e la mia impressione è per molti decenni a venire, essi non hanno una casa in cui stare – a meno che non si sveglino e non comprendano che non sono effettivamente repubblicani, nel senso moderno del termine.
(1) E’ complesso far coincidere il “monetarismo di mercato” degli economisti ai quali Krugman qua si riferisce, con quella che negli anni molto recenti (dal 2011) si è preso a definire effettivamente come la scuola dei “monetaristi di mercato”. Quest’ultima viene definita come un movimento abbastanza ristretto di economisti – Scott Sumner viene considerato il più rappresentativo – che ritiene si dovrebbero sostituire, quali fattori di indirizzo delle banche centrali, gli obbiettivi dei “livelli di reddito nominali” a quelli della inflazione e della disoccupazione. Ma non sarei certo che questo sia di per sé l’elemento caratterizzante della presenza ‘politica’ di questo orientamento tra i cosiddetti ‘conservatori riformisti’. Probabilmente, più in generale, l’elemento caratterizzante è quello che si riferisce ad una accettazione dell’eredità monetarista di Milton Friedman, inteso come una rilevanza decisiva nella politica economica dei fattori monetari, che però si coniuga con un rigetto del keynesismo. Krugman, in effetti, ha più volte notato negli ultimi anni come il pensiero di Friedman, che di solito è assunto come ispiratore di posizioni conservatrici, in realtà conteneva assunti che a fatica si potrebbero connettere con l’ideologia economica attualmente prevalente tra i repubblicani americani.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"