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La strana urgenza di alzare i tassi (1 marzo 2015)

 

Mar 1 9:12 pm

The Strange Urge to Raise Rates

Monetary policy attracts crazy people like moths to a flame; goldbugs, 100-percent-reserve-banking types, amateur historians who think they know exactly what happened when Diocletian ruled Rome but have no idea what happened in Japan in the last decade. One thing that has surprised and depressed me in recent years, however, has been the obsession with raising interest rates among economists who used to seem sensible.

Five or six years ago, this was all about the allegedly imminent risk of high inflation. When that inflation failed to materialize, you might have expected a pause for reflection — an attempt to figure out why they got it so wrong, and maybe even to figure out why some of us basically got it right. But no; instead we got either recapitulations of the original argument, with no acknowledgment of past failures, or new reasons to do exactly the same thing, and raise rates.

The Bank for International Settlements remains tight-money central. But Marty Feldstein is effectively shadowing the BIS position, with added conspiracy theory, and it’s kind of shocking to see.

Up to a point, Feldstein has followed the now-usual arc: first dire warnings that inflation is looming; then, after years of inflation not happening, a quiet segue (or, as young people tend to write it, Segway) to “hey, what’s so bad about below-target inflation and maybe even a bit of deflation.”

You have to wonder: don’t the people making this new-reasons-for-the-same-policy switch feel even a bit embarrassed?

You also have to wonder about cognitive dissonance: in general, we’re talking about conservatives with vast faith in the wisdom of markets, who somehow are completely sure that markets will make terrible decisions due to low interest rates, and require paternalistic monetary policy to keep them on the strait and narrow.

What really strikes me about Marty’s latest, however, is the muttering that there must be some sinister hidden agenda driving the anxiety of central banks about below-target inflation, given that classic deflationary spirals don’t seem imminent.

Um, there have been many explanations of the current worry. The IMF published a very useful piece on why “lowflation” brings many of the same risks as outright deflation. It’s widely understood that the financial crisis and aftermath make the zero lower bound — even if less binding than we used to think — a very real concern, which means that not undershooting inflation targets is important. And the Fed is very much thinking about the example of Sweden, which decided to hike rates out of vague concerns about financial stability, only to find itself staring at the very real risk of deflation.

Instead, however, Feldstein suggests — with not a shred of evidence — that central banks are operating under ulterior motives, notably a desire to help finance budget deficits.

It’s very, very strange, and distressing.

 

La strana urgenza di alzare i tassi

La politica monetaria attrae i folli come la fiamma con le falene; i cultori della moneta aurea, gli individui che vorrebbero le riserve bancarie al 100 per cento, gli storici dilettanti che pensano di conoscere esattamente quello che accadde quando Diocleziano governava Roma ma non hanno idea di quello che è successo in Giappone il decennio scorso. Una cosa che mi ha sorpreso e demoralizzato negli anni recenti, tuttavia, è stata l’ossessione per l’elevamento del tassi di interesse tra economisti che sembrava fossero ragionevoli.

Cinque anni fa, questa riguardava il preteso imminente rischio di un’alta inflazione. Allorché quella inflazione non si materializzò, vi sareste aspettati una pausa di riflessione – un tentativo di comprendere il motivo per il quale si era fatto un tale sbaglio, oppure anche di capire perché alcuni di noi fondamentalmente avevano avuto ragione. Invece no; abbiamo avuto piuttosto o una ricapitolazione dell’argomento originario, senza alcun riconoscimento dei fallimenti passati, oppure nuove ragioni per fare esattamente la stessa cosa, ed elevare i tassi.

La Banca dei Regolamenti Internazionali resta la centrale della restrizione monetaria. Ma Marty Feldstein in effetti mette in ombra la posizione della BRI, con l’aggiunta di una teoria della cospirazione, ed è un genere di cosa impressionante da constatare.

Sino a un certo punto, Feldstein ha seguito la traiettoria oggi consueta: anzitutto terribili ammonimenti sulla inflazione incombente; poi, dopo anni di inflazione che non avveniva, un tranquillo passaggio (che i giovani oggi tendono a scrivere in altro modo [1]) a “ebbene, che c’è di male in una inflazione al di sotto dell’obbiettivo, e forse persino in un po’ di deflazione?”

Vi dovete chiedere: le persone che attuano questo spostamento di nuove ragioni per la stessa politica, si sentono anche un po’ imbarazzate?

Vi dovete anche interrogare sulla dissonanza cognitiva: in generale stiamo parlando di conservatori con una vasta fiducia nella saggezza dei mercati, che in qualche modo sono del tutto sicuri che i mercati metteranno in atto decisioni terribili a seguito di bassi tassi di interesse, e chiedono politiche monetarie paternalistiche per mantenerli in ristrettezza ed angustia.

Quello che davvero mi colpisce dell’ultimo Feldstein, tuttavia, è il borbottio secondo il quale ci deve essere qualche sinistro programma nascosto che guida l’ansietà delle banche centrali per l’inflazione al di sotto dell’obbiettivo, dato che le classiche spirali deflazionistiche non sembrano imminenti.

Vien da pensare che ci siano molte spiegazioni della attuale preoccupazione. Il FMI ha pubblicato un pezzo molto utile sulle ragioni per le quali la bassa inflazione comporta molti degli stessi rischi di una aperta deflazione. E’ generalmente riconosciuto che la crisi finanziaria e le sue conseguenze hanno reso il limite inferiore dello zero – persino se meno condizionante di quello che eravamo soliti pensare – una preoccupazione molto reale, il che comporta che il mancare per difetto gli obbiettivi di inflazione è importante. E la Fed sta molto riflettendo sull’esempio della Svezia, che ha deciso di elevare i tassi sulla base di generiche preoccupazioni sulla stabilità finanziaria, soltanto per trovarsi a guardare negli occhi un rischio vero e proprio di deflazione.

E tuttavia Feldstein suggerisce invece – senza uno straccio di prova – che le banche centrali stiano operando per ulteriori motivi, in particolare per contribuire a finanziare i deficit di bilancio.

Molto, molto strano e angosciante.

 

[1] Gioco di parole non esprimibile. “Segue” è una transizione ininterrotta – soprattutto nella musica – da un pezzo all’altro. “Segway” può essere usato nel senso di qualcosa che sposta/cambia indirizzo al senso di una conversazione (e forse è una espressione giovanile perché significa anche un tipo di scooter particolarmente costoso, o un consumo copioso di marjuana).

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