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Quest’isola imbrogliata. Il pessimo, dannoso dibattito economico inglese, di Paul Krugman (New York Times 23 marzo 2015)

 

This Snookered Isle

Britain’s Terrible, No-Good Economic Discourse

MARCH 23, 2015

Paul Krugman

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The 2016 election is still 19 mind-numbing, soul-killing months away. There is, however, another important election in just six weeks, as Britain goes to the polls. And many of the same issues are on the table.

Unfortunately, economic discourse in Britain is dominated by a misleading fixation on budget deficits. Worse, this bogus narrative has infected supposedly objective reporting; media organizations routinely present as fact propositions that are contentious if not just plain wrong.

Needless to say, Britain isn’t the only place where things like this happen. A few years ago, at the height of our own deficit fetishism, the American news media showed some of the same vices. Allegedly factual articles would declare that debt fears were driving up interest rates with zero evidence to support such claims. Reporters would drop all pretense of neutrality and cheer on proposals for entitlement cuts.

In the United States, however, we seem to have gotten past that. Britain hasn’t.

The narrative I’m talking about goes like this: In the years before the financial crisis, the British government borrowed irresponsibly, so that the country was living far beyond its means. As a result, by 2010 Britain was at imminent risk of a Greek-style crisis; austerity policies, slashing spending in particular, were essential. And this turn to austerity is vindicated by Britain’s low borrowing costs, coupled with the fact that the economy, after several rough years, is now growing quite quickly.

Simon Wren-Lewis of Oxford University has dubbed this narrative “mediamacro.” As his coinage suggests, this is what you hear all the time on TV and read in British newspapers, presented not as the view of one side of the political debate but as simple fact.

Yet none of it is true.

Was the Labour government that ruled Britain before the crisis profligate? Nobody thought so at the time. In 2007, government debt as a percentage of G.D.P. was close to its lowest level in a century (and well below the level in the United States), while the budget deficit was quite small. The only way to make those numbers look bad is to claim that the British economy in 2007 was operating far above capacity, inflating tax receipts. But if that had been true, Britain should have been experiencing high inflation, which it wasn’t.

Still, wasn’t Britain at risk of a Greek-style crisis, in which investors could lose confidence in its bonds and send interest rates soaring? There’s no reason to think so. Unlike Greece, Britain has retained its own currency and borrows in that currency — and no country fitting this description has experienced that kind of crisis. Consider the case of Japan, which has far bigger debt and deficits than Britain ever did yet can currently borrow long-term at an interest rate of just 0.32 percent.

Which brings me to claims that austerity has been vindicated. Yes, British interest rates have stayed low. So have almost everyone else’s. For example, French borrowing costs are at their lowest level in history. Even debt-crisis countries like Italy and Spain can borrow at lower rates than Britain pays.

What about growth? When the current British government came to power in 2010, it imposed harsh austerity — and the British economy, which had been recovering from the 2008 slump, soon began slumping again. In response, Prime Minister David Cameron’s government backed off, putting plans for further austerity on hold (but without admitting that it was doing any such thing). And growth resumed.

If this counts as a policy success, why not try repeatedly hitting yourself in the face for a few minutes? After all, it will feel great when you stop.

Given all this, you might wonder how mediamacro gained such a hold on British discourse. Don’t blame economists. As Mr. Wren-Lewis points out, very few British academics (as opposed to economists employed by the financial industry) accept the proposition that austerity has been vindicated. This media orthodoxy has become entrenched despite, not because of, what serious economists had to say.

Still, you can say the same of Bowles-Simpsonism in the United States, and we know how that doctrine temporarily came to hold so much sway. It was all about posturing, about influential people believing that pontificating about the need to make sacrifices — or, actually, for other people to make sacrifices — is how you sound wise and serious. Hence the preference for a narrative prioritizing tough talk about deficits, not hard thinking about job creation.

As I said, in the United States we have mainly gotten past that, for a variety of reasons — among them, I suspect, the rise of analytical journalism, in places like The Times’s The Upshot. But Britain hasn’t; an election that should be about real problems will, all too likely, be dominated by mediamacro fantasies.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quest’isola imbrogliata.

Il pessimo, dannoso dibattito economico inglese, di Paul Krugman

New York Times 23 marzo 2015

Mancano ancora 19 mesi, tediosi ed angoscianti, alle elezioni del 2016. Ci sono, tuttavia, altre elezioni importanti, proprio tra sei settimane, dato che l’Inghilterra va ai seggi. E sono sul tavolo molti degli stessi temi.

Sfortunatamente, il dibattito economico in Inghilterra è dominato da una ossessione fuorviante sui deficit di bilancio. Peggio ancora, questo racconto fasullo ha infettato i presunti resoconti obbiettivi; le organizzazioni dei media presentano regolarmente, come fatti, concetti che sono controversi, quando non apertamente erronei.

Non è il caso di dire che il Regno Unito non è l’unico posto nel quale succedono cose del genere. Pochi anni fa, al culmine del nostro feticismo del deficit, i media americani mostravano alcuni degli stessi vizi. Presunti articoli oggettivi erano capaci di affermare che le paure per il debito stavano spingendo in alto i tassi di interesse, senza alcuna prova a sostegno di tali pretese. I giornalisti erano capaci di lasciar perdere ogni pretesa di neutralità e di fare il tifo per le proposte di tagli ai programmi sociali.

Gli Stati Uniti sembrano tuttavia aver superato tutto questo, a differenza dell’Inghilterra.

I racconti di cui sto parlando procedono nel modo seguente: negli anni precedenti alla crisi finanziaria il Governo inglese si era indebitato in modo irresponsabile, cosicché il paese viveva di gran lunga sopra le sue possibilità. Di conseguenza, attorno al 2010 l’Inghilterra era dinanzi al rischio imminente di una crisi del genere di quella della Grecia; le politiche dell’austerità, in particolare dell’abbattimento della spesa pubblica, divennero essenziali. E questa svolta per l’austerità appare oggi risarcita dai bassi costi dell’indebitamento nel Regno Unito, assieme al fatto che l’economia, dopo vari anni tempestosi, sta ora crescendo abbastanza velocemente.

Simon Wren-Lewis, dell’Università di Oxford, ha soprannominato questi racconti “mediamacro”. Come suggerisce il suo neologismo, questo è quanto si sente dire in continuazione dalla televisione e si legge nei giornali britannici, presentato non come il punto di vista di una componente del dibattito politico, ma come un semplice fatto.

Eppure non è affatto vero.

Si comportò in modo sregolato il Labour, che governò il Regno Unito prima della crisi? All’epoca, nessuno lo pensava. Nel 2007, il debito pubblico come percentuale del PIL era vicino al suo minimo storico in un secolo (e molto al di sotto del livello degli Stati Uniti), mentre il deficit del bilancio era piuttosto modesto. L’unico modo per far apparire negativi quei dati è sostenere che nel 2007 l’economia stesse operando molto al di sopra delle sue potenzialità, inflazionando le entrate fiscali. Ma se fosse stato vero, il Regno Unito avrebbe dovuto conoscere una inflazione elevata, cosa che non avvenne.

Ancora: non era l’Inghilterra a rischio di una crisi del tipo di quella greca, nella quale gli investitori potevano perdere la fiducia nei suoi bond e spedire alle stelle i tassi di interesse? Non c’è nessuna ragione di crederlo. Diversamente dalla Grecia, l’Inghilterra ha mantenuto la sua valuta e si indebita con quella – e nessun paese in tali condizioni ha conosciuto una crisi del genere. Si consideri il caso del Giappone, che ha un debito assai più elevato e deficit che l’Inghilterra non ha mai avuto, eppure può indebitarsi attualmente ad un tasso di interesse di appena lo 0,32 per cento.

La qualcosa mi riporta alle affermazioni secondo le quali l’austerità ha avuto giustificazione. E’ vero, i tassi di interesse britannici sono rimasti bassi. E’ accaduto lo stesso quasi per tutti. Ad esempio, i costi dell’indebitamento in Francia sono ai minimi storici. Persino paesi con crisi da debito come l’Italia e la Spagna possono indebitarsi a tassi più bassi di quelli che paga il Regno Unito.

Cosa dire della crescita? Quando arrivò al potere l’attuale Governo inglese nel 2010, impose una dura austerità – e l’economia britannica, che si stava riprendendo dalla recessione del 2008, ricominciò in breve tempo a calare. Per tutta risposta, il Governo del Primo Ministro David Cameron si tirò indietro, sospendendo i programmi per una ulteriore austerità (ma senza ammettere che stava facendo una cosa del genere). E la crescita riprese.

Se questo vale come un successo politico, perché non prendersi a schiaffi ripetutamente per un certo tempo? Dopo tutto, ci si sentirà benissimo, una volta che si smette.

Considerato tutto questo, vi potreste chiedere in che modo la ‘mediamacro’ faccia tanta presa sul dibattito inglese. Non è il caso di dar la colpa agli economisti. Come il signor Wren-Lewis documenta, sono molto pochi gli economisti accademici britannici che accettano l’idea che l’austerità sia stata giustificata (diversamente dagli economisti impiegati nel settore finanziario). Questa ortodossia mediatica si è radicata non a causa, ma nonostante quello che gli economisti seri avevano da dire.

Tuttavia, lo stesso di può dire del ‘Bowles Simpsonismo’ [1] negli Stati Uniti, e sappiamo come quella dottrina per un certo periodo ebbe tanta influenza. Fu una sorta di atteggiamento, riguardò persone influenti che credevano che pontificare sulla necessità di fare sacrifici – per la verità, che gli altri facessero sacrifici – sarebbe sembrato previdente e serio. Da lì venne la preferenza per un racconto che dava la priorità ai discorsi duri sui deficit, anziché a ragionamenti profondi sulla creazione di posti di lavoro.

Come ho detto, negli Stati Uniti fondamentalmente tutto questo è stato superato, per svariate ragioni – tra le altre, ritengo, la crescita di un giornalismo analitico, in luoghi come The Times’s The Upshot [2]. Ma il Regno Unito non ce l’ha; una elezione che dovrebbe vertere su problemi reali, sarà anche troppo probabilmente dominata dalle fantasie ‘mediamacro’.

 

[1] Dai nomi dei due copresidenti di una commissione congressuale sul deficit, uno democratico (Bowles) e l’altro repubblicano (Simpson), che all’epoca venne sostenuta da Obama, e che produsse varie raccomandazioni ispirate alla logica di un abbattimento delle spese sociali.

[2] E un rubrica del New York Times, che ‘va alla sostanza, per così dire (“Upshot” significa “risultato, esito, prodotto”).

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