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Ridimensionare la politica del rancore in Europa, di Yanis Varoufakis (da Project Syndicate, 25 marzo 2015)

MAR 25, 2015

Deescalating Europe’s Politics of Resentment

Yanis Varoufakis

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ATHENS – A German television presenter recently broadcast an edited video of me, before I was Greece’s finance minister, giving his country the middle-finger salute. The fallout has shown the potential impact of an alleged gesture, especially in troubled times. Indeed, the kerfuffle sparked by the broadcast would not have happened before the 2008 financial crisis, which exposed the flaws in Europe’s monetary union and turned proud countries against one another.

When, in early 2010, Greece’s government could no longer service its debts to French, German, and Greek banks, I campaigned against its quest for an enormous new loan from Europe’s taxpayers to pay off those debts. I gave three reasons.

First, the new loans did not represent a bailout for Greece so much as a cynical transfer of private losses from the banks’ books onto the shoulders of Greece’s most vulnerable citizens. How many of Europe’s taxpayers, who have footed the bill for these loans, know that more than 90% of the €240 billion ($260 billion) that Greece borrowed went to financial institutions, not to the Greek state or its people?

Second, it was obvious that if Greece already could not repay its existing loans, the austerity conditions on which the “bailouts” were premised would crush Greek nominal incomes, making the national debt even less sustainable. When Greeks could no longer make payments on their mountainous debts, German and other European taxpayers would have to step in again. (Wealthy Greeks, of course, had already shifted their deposits to financial centers like Frankfurt and London.)

Finally, misleading peoples and parliaments by presenting a bank bailout as an act of “solidarity,” while failing to help ordinary Greeks – indeed, setting them up to place an even heavier burden on Germans – was destined to undermine cohesion within the eurozone. Germans turned against Greeks; Greeks turned against Germans; and, as more countries have faced fiscal hardship, Europe has turned against itself.

The fact is that Greece had no right to borrow from German – or any other European – taxpayers at a time when its public debt was unsustainable. Before Greece took any loans, it should have initiated debt restructuring and undergone a partial default on debt owed to its private-sector creditors. But this “radical” argument was largely ignored at the time.

Similarly, European citizens should have demanded that their governments refuse even to consider transferring private losses to them. But they failed to do so, and the transfer was effected soon after.

The result was the largest taxpayer-backed loan in history, provided on the condition that Greece pursue such strict austerity that its citizens have lost one-quarter of their incomes, making it impossible to repay private or public debts. The ensuing – and ongoing – humanitarian crisis has been tragic.

Five years after the first bailout was issued, Greece remains in crisis. Animosity among Europeans is at an all-time high, with Greeks and Germans, in particular, having descended to the point of moral grandstanding, mutual finger-pointing, and open antagonism.

This toxic blame game benefits only Europe’s enemies. It has to stop. Only then can Greece – with the support of its European partners, who share an interest in its economic recovery – focus on implementing effective reforms and growth-enhancing policies. This is essential to placing Greece, finally, in a position to repay its debts and fulfill its obligations to its citizens.

In practical terms, the February 20 Eurogroup agreement, which provided a four-month extension for loan repayments, offers an important opportunity for progress. As Greece’s leaders urged at an informal meeting in Brussels last week, it should be implemented immediately.

In the longer term, European leaders must work together to redesign the monetary union so that it supports shared prosperity, rather than fueling mutual resentment. This is a daunting task. But, with a strong sense of purpose, a united approach, and perhaps a positive gesture or two, it can be accomplished.

 

 

 

 

 

 

Ridimensionare la politica del rancore in Europa

di Yanis Varoufakis

ATENE – Un conduttore di una televisione tedesca ha di recente mandato in onda un passato video del sottoscritto, prima che diventassi Ministro delle Finanze della Grecia, nel mentre mi rivolgevo al suo paese con il gesto del dito medio. La ricaduta ha messo in evidenza l’impatto potenziale di un apparente gesto offensivo, specialmente in periodi complicati. In effetti, il chiasso suscitato dalla trasmissione non ci sarebbe stato prima della crisi finanziaria del 2008, che mise in evidenza i difetti dell’unione monetaria europea e mise paesi orgogliosi l‘uno contro l’altro.

Quando, agli inizi del 2010, il Governo greco non poteva più onorare i suoi debiti nei confronti delle banche francesi, tedesche e greche, io feci una campagna contro la sua ricerca di un nuovo enorme prestito dai contribuenti europei per ripagare quei debiti. Fornii tre ragioni.

La prima, i nuovi prestiti non rappresentavano tanto un salvataggio per la Grecia, quanto un cinico trasferimento delle perdite private, dalla contabilità delle banche sulle spalle dei più vulnerabili cittadini greci. Quanti contribuenti europei sanno che più del 90% dei 240 miliardi di euro (260 miliardi di dollari) per i quali la Grecia è indebitata sono andati ad istituti finanziari e non allo Stato greco o ai suoi cittadini?

Il secondo, era già evidente che se la Grecia non era nelle condizioni di restituire i suoi debiti esistenti, le condizioni di austerità alle quali i “salvataggi” erano condizionati avrebbero schiacciato i redditi nominali greci, rendendo il debito nazionale persino meno sostenibile. Quando i Greci non avrebbero più ripagato le loro montagne di debiti, i contribuenti tedeschi e degli altri paesi europei avrebbero dovuto intervenire nuovamente (i Greci ricchi, naturalmente, avevano già spostato i loro depositi in centri finanziari come Francoforte e Londra).

Infine, ingannando i popoli ed i parlamenti con la presentazione di salvataggi di banche come un atto di “solidarietà”, mentre non dava alcun aiuto in Grecia alle persone comuni – in effetti, mettendole ancor più nei guai col caricare un peso persino superiore sui tedeschi – era destinato a minare la coesione all’interno dell’eurozona. Si mettevano i tedeschi contro i greci, i greci contro i tedeschi, e, dato che altri paesi facevano i conti con difficoltà della finanza pubblica, si metteva l’Europa contro se stessa.

Il fatto è che la Grecia non aveva alcun diritto di indebitarsi con i contribuenti tedeschi – e con nessun altro contribuente europeo – dal momento che il debito pubblico era insostenibile. Prima di prendere qualsiasi prestito, la Grecia avrebbe dovuto iniziare una ristrutturazione del debito e sottoporsi ad un parziale default sul debito dovuto ai suoi creditori del settore privato. Ma, a quel tempo, questa tesi “radicale” venne largamente ignorata.

In modo simile, i cittadini europei avrebbero dovuto chiedere che i loro governi si rifiutassero persino di prendere in considerazione il trasferimento su di loro di perdite private. Ma non lo fecero, e il trasferimento fu messo in atto poco dopo.

Il risultato fu il più ampio prestito garantito dai contribuenti nella storia, fornito alla condizione che la Grecia perseguisse una austerità talmente rigida che i suoi cittadini hanno perso un quarto dei loro redditi, rendendo impossibile di restituire i debiti privati o pubblici. La successiva – e perdurante – crisi umanitaria è stata tragica.

Cinque anni dopo che il primo salvataggio venisse attuato, la Grecia resta in crisi. La animosità tra gli europei è ai massimi storici, con i greci ed i tedeschi, in particolare, che devono ridursi al punto dell’assumere pose moraleggianti, del mandarsi reciprocamente a quel posto, dell’aperto antagonismo.

Questo nefasto rimpallo di responsabilità favorisce soltanto i nemici dell’Europa. E’ qualcosa che deve finire. Soltanto a quel punto la Grecia potrà – con il sostegno dei partner europei che hanno un comune interesse alla sua ripresa economica – concentrarsi nel mettere in atto riforme efficaci e politiche di miglioramento della crescita. Questo sarà essenziale per collocare finalmente la Grecia nella condizione di restituire i suoi debiti e di onorare i suoi obblighi verso i suoi cittadini.

In sostanza, l’accordo dell’eurogruppo del 20 febbraio, che ha fornito una proroga di quattro mesi per la restituzione del prestito, offre una opportunità importante di progresso. Come i dirigenti greci hanno sostenuto con urgenza in un incontro informale a Bruxelles della scorsa settimana, esso dovrebbe essere messo in atto immediatamente.

Nel tempo più lungo, i leader europei debbono lavorare assieme per ridisegnare l’unione monetaria in modo tale che essa sostenga una prosperità condivisa, piuttosto che accendere rancori reciproci. E’ un obbiettivo che fa impressione. Ma con un forte senso della proposta, con un approccio unitario, e forse con uno o due gesti positivi, può essere portato a compimento.

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