Blog di Krugman

Tassi di cambio ed effetti degli equilibri patrimoniali (17 marzo 2015)

 

Mar 17 1:42 pm

Exchange Rates and Balance Sheet Effects

Neil Irwin writes about concerns that a rising dollar will damage developing countries where corporations have borrowed in dollars; as he says, this raises echoes of the Asian crisis of the late 1990s and the Argentine crisis of 2002.

He does seem to go slightly astray at one point, however:

The biggest difference this time around is that private companies, not governments, have incurred debt in a currency not their own.

Actually, this time is not different: the Asian and Argentine crises were also about private-sector debt, with Asian public debt, in particular, quite low before the crisis hit. And a number of economists, myself included, independently developed models of leverage, currency mismatch, and balance sheet effects to make sense of the Asian crisis.

This point matters, I think, for a couple of reasons. On one side, if you paid attention to Asia in 1997-98 you were pre-inoculated against the temptation to fiscalize crisis narratives – the urge to see everything that goes wrong as the result of budget deficits. (This is one reason I reacted to Irwin’s piece; there’s already been a huge effort to retroactively fiscalize the euro crisis, and we need to push back against attempts to do the same to Asia.)

On the other side, I sometimes hear people declaring that until the 2008 crisis struck, economists paid no attention to private debt as a source of economic problems. But everyone who worked on Asia 1998 was very well aware of the problems debt and leverage could create. If we didn’t realize how vulnerable the rise in household debt made America, that was a failure of observation, not a deep conceptual problem.

As I’ve tried to say on a number of occasions, the 2008 crisis came as a surprise but not, at least for me, as a shock – I realized almost immediately that what was happening fitted quite well into existing frameworks. We knew about bank runs; once you realized that something essentially the same as a bank run could happen with repo and other forms of shadow banking, it took about 30 seconds to make sense of the post-Lehman funk. We knew about balance-sheet effects, both from Irving Fisher and from Asia; it wasn’t hard at all to transfer that understanding to the aftermath of the housing bubble.

I mean, I wrote a book titled The Return of Depression Economics in 1999. Not too hard to take on board the fact that it was coming true.

 

Tassi di cambio ed effetti degli equilibri patrimoniali

Neil Irwin scrive sulle preoccupazioni che un dollaro in ascesa danneggerà i paesi in via di sviluppo, dove le società sono indebitate in dollari; come egli sostiene, questo solleva echi della crisi asiatica degli anni ’90 e della crisi dell’Argentina del 2002.

Su un punto, tuttavia, egli sembra davvero un po’ perdersi:

“La grandissima differenza è che, questa volta, hanno contratto debiti in una valuta che non era la loro le società private, anziché i Governi”

Per la verità, questa volta non è diverso: le crisi dell’Asia e dell’Argentina riguardarono anche il debito del settore privato, con il debito pubblico asiatico, in particolare, che era abbastanza basso quando colpì la crisi. Ed un certo numero di economisti, incluso il sottoscritto, svilupparono ognuno per suo conto modelli relativi all’indebitamento, alla discordanza valutaria ed agli effetti degli equilibri patrimoniali che facevano comprendere il significato della crisi asiatica.

Penso che questo aspetto sia importante per un paio di ragioni. Da una parte, se si è prestata attenzione all’Asia negli anni 1997-1998 ci si è vaccinati dal tentativo di ridurre i racconti sulla crisi alla finanza pubblica – il bisogno di considerare tutte le cose che vanno male come risultato dei deficit di bilancio (questa è una ragione per la quale ho reagito all’articolo di Irwin; c’è già stato un grande sforzo per ridurre retroattivamente a problemi di finanza pubblica la crisi dell’euro, ed è necessario respingere i tentativi di fare la stessa cosa nei confronti dell’Asia).

D’altra parte, sento talvolta persone dichiarare che sino a che non colpì la crisi del 2008, gli economisti non avevano prestato attenzione al debito privato come fonte di problemi economici. Ma tutti coloro che lavorarono sull’Asia del 1998 erano ben consapevoli dei problemi che il debito ed il rapporto di indebitamento avrebbero potuto creare. Se non si comprese quanto la crescita del debito delle famiglie rese vulnerabile l’America, questo dipese da un difetto di attenzione, non da un profondo problema concettuale.

Come ho cercato di dire in un certo numero di occasioni, la crisi del 2008 costituì una sorpresa, ma non, almeno per me, un trauma – compresi quasi subito che quanto stava accadendo calzava abbastanza bene con i miei modelli esistenti. Conoscevamo i fenomeni delle corse agli sportelli; una volta che si capiva che qualcosa di sostanzialmente simile all’assalto agli sportelli bancari poteva accadere con i ‘repo’ [1] e con altre forme del sistema bancario ombra, ci volevano 30 secondi per dar senso al panico successivo alla vicenda della Lehman. Conoscevamo gli effetti di cattivi equilibri patrimoniali, da Irving Fischer e dalla esperienza asiatica; non era affatto difficile trasferire quella comprensione alle conseguenze della bolla immobiliare.

Voglio dire, nel 1999 scrissi un libro dal titolo “Il ritorno dell’economia delle depressioni”. Non era così difficile ammettere la circostanza che si stava avverando.

 

[1] Il repo è un’abbreviazione di repurchase agreement. Si tratta di uno strumento di gestione del danaro a breve: dei due contraenti, uno vende un titolo contro contanti, e allo stesso tempo si impegna a riacquistare quel titolo allo scadere di un breve periodo (dall’overnight a qualche mese), dietro pagamento del prezzo originario aumentato dell’interesse.

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