Blog di Krugman

Apple e lo Stato dell’auto sorveglianza (dal blog di Krugman, 10 aprile 2015)

 

Apple and the Self-Surveillance State

April 10, 2015 2:53 pm

Like lots of people, I’m paying attention to the Apple Watch buzz, and doing some of my own speculation. Needless to say, I have no special expertise here. But what the heck; I might as well put my own thoughts out there.

So, here’s my pathetic version of a grand insight: wearables like the Apple watch actually serve a very different function — indeed, almost the opposite function — from that served by previous mobile devices. A smartphone is useful mainly because it lets you keep track of things; wearables will be useful mainly because they let things keep track of you.

As I’ve written before, these days I wear a Fitbit, not because I want precise metrics on my fitness regime — which I’m probably not getting — but precisely because the thing spies on me all the time, and therefore doesn’t let me lie to myself about my efforts. And to get that benefit, I don’t need to be able to read information off the device — the basic version is just a blank band, communicating its information by Bluetooth. All I need is to be able to check up on myself once or twice a day.

Now, in this case the only intended recipient of this information is myself, although for all I know the NSA, the Machine, and Samaritan are tracking me too. (If you’re not watching Person of Interest, you should be.) But it’s easy to imagine how a wristband that provides information to others could be very useful — easy to imagine because it already happens at Disney World, where the Magic Band tracks you, letting rides know that you have bought a ticket, restaurants know that you’ve arrived and what table you’re sitting at, and more.

And yes, I know that your phone can do some of this; but a wearable can gather more information while being, you know, wearable.

But will people want a Disney-like experience out in the alleged real world? Almost surely the answer is yes.

Consider the Varian rule, which says that you can forecast the future by looking at what the rich have today — that is, that what affluent people will want in the future is, in general, something like what only the truly rich can afford right now. Well, one thing that’s very clear if you spend any time around the rich — and one of the very few things that I, who by and large never worry about money, sometimes envy — is that rich people don’t wait in line. They have minions who ensure that there’s a car waiting at the curb, that the maitre-d escorts them straight to their table, that there’s a staff member to hand them their keys and their bags are already in the room.

And it’s fairly obvious how smart wristbands could replicate some of that for the merely affluent. Your reservation app provides the restaurant with the data it needs to recognize your wristband, and maybe causes your table to flash up on your watch, so you don’t mill around at the entrance, you just walk in and sit down (which already happens in Disney World.) You walk straight into the concert or movie you’ve bought tickets for, no need even to have your phone scanned. And I’m sure there’s much more — all kinds of context-specific services that you won’t even have to ask for, because systems that track you know what you’re up to and what you’re about to need.

Yes, it can sound kind of creepy. Even if there are protocols that supposedly set limits, revealing only what and to whom you want, there will tend to be an expansion of your public profile and contraction of your private space — not to mention the likelihood that the NSA, the Machine, and Samaritan are watching regardless. But two points here. First, most people probably don’t have that much to be private about; most of us don’t actually have double lives and deep secrets — at most we have minor vices, and the truth is that nobody cares. Second, lack of privacy is actually part of the experience of being rich — the chauffeur, the maids, and the doorman know all, but are paid not to tell, and the same will be be true of their upper-middle-class digital versions. The rich already live in a kind of privatized surveillance state; now the opportunity to live in a gilded fishbowl is being (somewhat) democratized.

So that’s my two cents (which purchase as much in digital terms as several hundred dollars back when). I think wearables will become pervasive very soon, but not so that people can look at their wrists and learn something. Instead, they’ll be there so the ubiquitous surveillance net can see them, and give them stuff.

 

Apple e lo Stato dell’auto sorveglianza

Seguo, come molte persone, lo scalpore che sta provocando Apple Watch [1], e sto facendo qualche mia personale riflessione. Non è il caso di dire che non ho alcuna particolare esperienza in materia. Ma che diavolo: avrò bene il diritto di mettere in giro qualche mio pensiero!

Ecco, dunque, la mia versione meschinella di una stupenda intuizione: oggetti che si possono tenere indosso come l’orologio della Apple possono effettivamente essere utili per una funzione assai diversa – in effetti, quasi la funzione opposta – rispetto a quella per cui erano utili i precedenti congegni mobili. Uno smartphone è utile principalmente perché vi consente di tener traccia delle cose; questi oggetti che si indossano saranno utili principalmente perché sono le cose che tengono traccia di voi stessi.

Come ho scritto altre volte, di questi tempi io indosso un Fitbit [2], non perché voglia la misurazione precisa del regime della mia forma fisica – ma esattamente perché quell’oggetto mi spia per tutto il tempo, e di conseguenza non mi permette di raccontarmi bugie sugli sforzi che faccio. E per ottenere un vantaggio del genere, non ho bisogno di sfogliare le informazioni dal congegno – la versione fondamentale è solo una striscia bianca, che comunica l’informazione attraverso Bluetooth [3]. Tutto quello di cui ho bisogno è essere capace di controllarmi una o due volte al giorno.

Ora, in questo caso, l’unico beneficiario programmato di questa informazione sono io medesimo, sebbene sappia che la NASA, la Macchina e il Samaritano mi stanno anch’essi seguendo (se non state guardando il programma Person of interest, dovreste farlo [4]). Ma è facile immaginare come un braccialetto che fornisce informazioni a qualcuno, potrebbe essere molto utile – facile da immaginare perché già accade a Disney World [5], dove il Bracciale Magico vi segue, consente alle giostre di sapere che avete acquistato il biglietto, ai ristoranti di sapere che siete arrivati e a quale tavolo vi state sedendo, ed altro ancora.

Ed è vero, so che il vostro telefono può fare alcune di queste cose; ma un oggetto che si indossa può riunire più informazioni nel mentre. Inoltre, sapete, è indossabile.

Ma le persone vorranno portar fuori, nel cosiddetto mondo reale, una esperienza del tipo di quella di Disneyland? Quasi sicuramente la risposta è affermativa.

Si consideri la regola di Varian [6], che dice che si può prevedere il futuro osservando quello che i ricchi hanno a disposizione oggi – cioè, quello che le persone benestanti vorranno nel futuro è, in generale, qualcosa che oggi possono permettersi solo coloro che sono veramente ricchi. Ebbene, una cosa chiarissima se spendete un po’ di tempo attorno ai ricchi – ed una delle pochissime cose che io, che in generale non mi preoccupo mai dei soldi, talvolta invidio – è che i ricchi non sono gente che ‘aspetta in linea’. Hanno galoppini che assicurano che c’è un’automobile in attesa sul marciapiede, che il maître direttamente li accompagnerà al tavolo, che c’è un componente dello staff che consegna loro le chiavi e che i loro bagagli sono già nella stanza.

Ed è abbastanza evidente come, per i semplici benestanti, braccialetti intelligenti potrebbero replicare alcune di queste cose. Il vostro programma delle prenotazioni fornisce al ristorante i dati necessari per riconoscere il vostro bracciale, e forse fa in modo che il vostro tavolo appaia sul vostro orologio, cosicché non dovete girovagare all’entrata, ma solo camminare e sedervi (il che accade già a Disneyland). Andate direttamente al concerto o al film per i quali avete prenotato i biglietti, senza nemmeno sia stato necessario scannerizzarli dal telefono. E sono persuaso che ci sia molto di più – tutti i tipi di servizi in contesti particolari che non avrete neppure bisogno di richiedere, perché i sistemi che seguono le vostre tracce sanno che vi spettano e di che cosa avete bisogno.

E’ vero, può sembrare un po’ raccapricciante. Persino se ci sono protocolli che si suppone pongano dei limiti, che stabiliscano che cosa si vuole e per chi lo si vuole, essi tenderanno a costituire una espansione del vostro profilo pubblico ed una contrazione del vostro spazio privato – per non dire della probabilità che la NASA, la Macchina e il Samaritano vi stiano osservando in ogni caso. Ma ci sono a questo proposito due aspetti. Il primo, la maggioranza delle persone non ha così tanto privato di cui curarsi; la maggioranza di noi non hanno in verità doppie vite e profondi segreti – al massimo abbiamo qualche vizio secondario, e la verità è che non interessa a nessuno. In secondo luogo, il difetto di privacy è in effetti una componente dell’essere ricchi – l’autista, le domestiche e il portiere sanno ogni cosa, ma sono pagati per non dirlo, e così sarà anche per la loro versione digitale a disposizione delle classi medio alte. I ricchi vivono già in un sorta di sorveglianza statale privatizzata; adesso l’opportunità di vivere in un vaschetta dorata per pesci rossi (in qualche modo) costituisce un progresso democratico.

Dunque, questo è il mio contributo da due soldi (che in termini digitali vale quanto svariate centinaia di dollari dei tempi andati). Io penso che gli ‘oggetti indossabili’ diventeranno molto presto pervasivi, ma non al punto che le persone possano guardare ai loro polsi ed imparare qualcosa. Piuttosto, saranno presenti in modo tale che la rete della sorveglianza ubiquitaria possa osservarli, e dar loro cose di qualche natura.

 

[1] Da ‘Milano Finanza’ di oggi, martedì 14 aprile:

“Debutto record per Apple Watch, il primo smartwatch del colosso di Cupertino che ha debuttato in nove Paese venerdì totalizzando, secondo le prime stime, un milione di ordini nei soli Stati Uniti. Secondo i dati elaborati dalla società di ricerca Slice Intelligence, nei soli Stati Uniti il nuovo dispositivo ha toccato il milione di pezzi, confermando quindi le aspettative elevatissime degli analisti per l’ultimo gadget di Apple, che dovrebbe toccare quota 20 milioni di unità vendute nel primo anno surclassando gli analoghi dispositivi basati sul sistema operativo Android di Google e prodotti da una pletora di società, a partire da Samsung, Lg e Asus.”

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[2] Un braccialetto che monitora l’attività fisica di chi lo porta.

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[3] Nelle telecomunicazioni Bluetooth è uno standard tecnico-industriale di trasmissione dati per reti personali senza fili (WPAN: Wireless Personal Area Network). Fornisce un metodo standard, economico e sicuro per scambiare informazioni tra dispositivi diversi attraverso una frequenza radio sicura a corto raggio. (Wikipedia)

[4] Pare che sia una serie televisiva che narra di una storia analoga; ovvero di un ‘informatore’ tecnologico che segue le condotte di individui posti sotto controllo, ma potenzialmente di una infinità di persone. Il programma era niente più che una commedia, ma si è scoperto che una situazione non molto dissimile era in atto nel mondo reale.

La “Macchina” ed il “Samaritano” sono i nomi di due progetti informatici che, nella fiction, configurano stadi diversi di quei programmi di intelligenze artificiali da ‘Grande Fratello’. Protagonista del racconto è un ex ingegnere informatico: Arthur Thomas Claypool. E questo è l’ingegnere protagonista (il volto un po’ provato dipende forse dal fatto che nella storia ha un tumore al cervello):

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[5] Walt Disney World è il gigantesco parco dei divertimenti della omonima società, sito a Buena Vista, presso Orlando, in Florida. In genere, noi chiamiamo Disneyland le versioni europee. E il “Bracciale Magico” è appunto uno strumento con il quale si possono fare varie cose, compresa la prenotazione di un post al ristorante.

[6] Hal Ronald Varian (Wooster, 18 marzo 1947) è un economista statunitense specializzato in microeconomia ed economia dell’informazione.

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