Blog di Krugman

Il futuro della finanza pubblica I; la provocatoria tesi di una amministrazione pubblica più vasta (dal blog di Krugman, 6 aprile 2015)

 

The Fiscal Future I: The Hyperbolic Case for Bigger Government

April 6, 2015 1:54 pm

 

Brad DeLong has posted a draft statement on fiscal policy for the IMF conference on “rethinking macroeconomics” — and I’m shocked, in a good way. As regular readers may have noticed, Brad and I share many views, so I expected something along lines I have also been thinking. Instead, however, Brad has come up with what I believe are seriously new ideas — enough so that I want to do two posts, following different lines of thought he suggests.

What Brad argues are two propositions that run very much counter to the prevailing wisdom, especially among Very Serious People. First, he argues that we should not only expect but want government to be substantially bigger in the future than it was in the past. Second, he suggests that public debt levels have historically been too low, not too high. In this post I consider only the first point.

So, how big should the government be? The answer, broadly speaking, is surely that government should do those things it does better than the private sector. But what are these things?

The standard, textbook answer is that we should look at public goods — goods that are non rival and non excludable, so that the private sector won’t provide them. National defense, weather satellites, disease control, etc.. And in the 19th century that was arguably what governments mainly did.

Nowadays, however, governments are involved in a lot more — education, retirement, health care. You can make the case that there are some aspects of education that are a public good, but that’s not really why we rely on the government to provide most education, and not at all why the government is so involved in retirement and health. Instead, experience shows that these are all areas where the government does a (much) better job than the private sector. And Brad argues that the changing structure of the economy will mean that we want more of these goods, hence bigger government.

He also suggests — or at least that’s how I read him — the common thread among these activities that makes the government a better provider than the market; namely, they all involve individuals making very-long-term decisions. Your decision to stay in school or go out and work will shape your lifetime career; your ability to afford medical treatment or food and rent at age 75 has a lot to do with decisions you made when that stage of life was decades ahead, and impossible to imagine.

Now, the fact is that people make decisions like these badly. Bad choices in education are the norm where choice is free; voluntary, self-invested retirement savings are a disaster. Human beings just don’t handle the very long run well — call it hyperbolic discounting, call it bounded rationality, whatever, our brains are designed to cope with the ancestral savannah and not late-stage capitalist finance.

When you say things like this, libertarians tend to retort that if people mess up on such decisions, it’s their own fault. But the usual argument for free markets is that they lead to good results — not that they would lead to good results if people were more virtuous than they are, so we should rely on them despite the bad results they yield in practice. And the truth is that paternalism in these areas has led to pretty good results — mandatory K-12 education, Social Security, and Medicare make our lives more productive as well as more secure.

Now, Brad argues that we’re going to need even more of this kind of paternalism. An aging population and the demand for a more highly educated work force certainly push in that direction. It’s less clear, I’d say, that health care will be a big driver, since the rate of growth of health spending seems to have slowed.

But he certainly has the principle right. To think about the growth of government, we need to look at the range of things government does well, a range that goes well beyond the narrow concept of public goods.

 

Il futuro della finanza pubblica I; la provocatoria tesi di una amministrazione pubblica più vasta

Brad DeLong ha pubblicato una comunicazione in bozza per la Conferenza del FMI sul “ripensare la macroeconomia” – e ne sono rimasto colpito, in senso positivo. Come forse i lettori affezionati hanno notato, Brad e il sottoscritto condividono molte opinioni, cosicché mi aspettavo qualcosa di simile a quello su cui sto anch’io ragionando. Invece Brad si e fatto avanti con quelle che credo siano sul serio idee nuove – al punto che intendo scrivere due post, seguendo i differenti percorsi del ragionamento che egli suggerisce.

Ciò che Brad sostiene sono due concetti che vanno davvero in una direzione opposta delle convenzioni prevalenti, particolarmente tra le Persone Molto Serie. Il primo, egli sostiene che per il futuro non dovremmo soltanto aspettarci, ma desiderare un governo che sia sostanzialmente più ampio del passato. Il secondo, egli suggerisce che i livelli del debito pubblico sono stati, nelle serie storiche, troppo bassi e non troppo alti. In questo post mi riferisco soltanto al primo argomento.

Dunque, quanto dovrebbe essere ampio il governo? La risposta, parlando in termini generali, è che di sicuro il governo dovrebbe fare quelle cose che fa meglio del settore privato. Ma quali sono queste cose?

La risposta di un normale libro di testo è che dovremmo guardare ai beni pubblici – beni che non sono in competizione e che non si possono eliminare, cosicché il settore privato non è destinato a fornirli. La difesa nazionale, i satelliti metereologici, il controllo delle malattie, etc. E nel diciannovesimo secolo questo era probabilmente quello che i governi facevano principalmente.

Ai nostri giorni, tuttavia, i governi si occupano di molto di più – istruzione, pensioni, assistenza sanitaria. Si può sostenere che ci sono vari aspetti dell’istruzione che sono un bene pubblico, ma in realtà questa non è la ragione per la quale ci basiamo sui governi per fornire la maggior parte dell’istruzione, e non è affatto la ragione per la quale il governo è in tal modo coinvolto nei sistemi pensionistici e sanitari. Piuttosto, l’esperienza dimostra che quelle sono aree nelle quali il governo fa un lavoro (molto) migliore che non il settore privato. E Brad sostiene che la modifica della struttura dell’economia comporterà che desidereremo avere maggiori beni di questa natura, di conseguenza maggiore governo.

Egli suggerisce anche – o almeno questo è il modo in cui io lo intendo – il filo comune che rende, all’interno di queste attività, il servizio governativo migliore di quello privato; precisamente, esse riguardano tutte individui che assumono decisioni a lunghissimo termine. La vostra decisione di restare negli studi o di uscirne per lavorare conformerà la carriera della vostra intera esistenza; la vostra possibilità di permettervi le cure mediche o il cibo e di andare in pensione a 75 anni ha molto a che fare con le decisioni che avete preso in un periodo precedente di decenni, quando era impossibile immaginarlo.

Ora, il punto è che le persone prendono decisioni di questa natura con difficoltà. Scelte sbagliate nell’istruzione sono la norma dove la scelta è libera; accantonamenti pensionistici volontari che vengono investiti in proprio sono un disastro. Semplicemente, gli essere umani non riescono a gestire in modo appropriato il lunghissimo periodo – chiamatela avventatezza [1] esagerata, chiamatela razionalità limitata, qualsiasi cosa sia, i nostri cervelli sono progettati per far fronte alle savane ancestrali, non alla finanza capitalistica più recente.

Quando si dicono cose come questa, i ‘libertariani’ [2] tendono a controbattere che i disastri personali sono colpa di chi prende tali decisioni. Ma nel caso dei liberi mercati l’argomento consueto è che sono quei mercati che portano a buoni risultati – non che essi porterebbero a buoni risultati se le persone fossero più virtuose di quello che sono, e dunque dovremmo basarci su di essi, nonostante i risultati negativi che nella pratica producono. E la verità è che, in queste aree, quella forma di paternalismo (pubblico) ha portato a risultati discreti – la scuola dell’obbligo, la Previdenza Sociale e Medicare rendono le nostre vite più produttive e più sicure.

Ora, Brad sostiene che avremo sempre più bisogno di questo genere di paternalismo pubblico. Una popolazione che invecchia e la domanda di una forza lavoro con più alti livelli di istruzione certamente spingono in quella direzione. E’ meno chiaro, direi, se l’assistenza sanitaria sarà un fattore altrettanto importante, dato che il tasso di crescita della spesa sanitaria sembra aver rallentato.

Ma il suo principio è certamente quello giusto. Per pensare ad una crescita delle funzioni di governo, dobbiamo guardare alla gamma di cose che il governo fa meglio, una gamma che va ben oltre il concetto ristretto di beni pubblici.

 

 

[1] Traduco “discount” nel senso di “non tenere in adeguata considerazione, trascurare”.

[2] Per il termine “libertariano” si può leggere questa estrema sintesi della vita e del pensiero di Ayn Rand, considerata la capostipite di tale ideologia, che si trova nelle note sulla traduzione:

“Ayn Rand, è lo pseudonimo di  Alisa Zinov’yevna Rosenbaum O’Connor (San Pietroburgo, 2 febbraio1905New York, 6 marzo1982);  scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa. La sua filosofia e la sua narrativa insistono sui concetti di individualismo, egoismo razionale (“interesse razionale”) e ed etica del capitalismo, nonché sulla sua opposizione al comunismo ed a ogni forma di collettivismo socialista e fascista. Il pensiero cosiddetto “oggettivista” della Rand ha – come anche tutto il “libertarianism” – molteplici origini liberali, anarchiche, antitotalitarie ed anche, più singolarmente, capitalistiche; spesso con esiti irreligiosi. Ma il mito dell’industriale creativo soffocato dalla burocrazia e costretto ad una resistenza addirittura “militante” – che è il tema del suo romanzo “Atlas Shrugged” –  è certamente una passione americana, nel senso almeno che sarebbe arduo immaginarlo come tema di un romanzo, altrove. Più recentemente, il libro della Rand è stato indicato come riferimento favorito da parte di molti repubblicani americani.” Una immagine di Ayn Rand:

Risultati immagini per ayn rand

Questo spiega anche perché il termine “libertariano” è praticamente intraducibile con espressioni apparentemente contigue – ad esempio: radicale, o liberista – che in realtà alludono a ben altro, nel pensiero politico europeo, pur presentando occasionali somiglianze. Neanche mi pare si possa immaginare che si tratti di una ideologia organica, cresciuta nel tempo con una sua struttura di approfondimenti, di ricerca e di organizzazione interna, al pari di altre ideologie del secolo passato.

Forse è più giusto concepire il fenomeno del “libertarianismo” come tipicamente americano; una sorta di attrazione che agisce in modo ‘carsico’ sul conservatorismo americano, in certi momenti storici collegando le politiche presenti ad una sensibilità antica e per qualche aspetto fondativa di una parte del pensiero politico di quel paese. L’idea, della quale Krugman parla altrove, di una “economia forte per una completa assenza di regole” , è il caposaldo di questa mitologia libertariana fuori del tempo. Ma, in effetti, nel periodo recente quella attrazione è tornata a risultare evidente in movimenti come il Tea Party e in una componente probabilmente oggi maggioritaria del Partito Repubblicano.

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"