APRIL 20, 2015
“Don’t you think they want us to fail?” That’s the question I kept hearing during a brief but intense visit to Athens. My answer was that there is no “they” — that Greece does not, in fact, face a solid bloc of implacable creditors who would rather see default and exit from the euro than let a leftist government succeed, that there’s more good will on the other side of the table than many Greeks suppose.
But you can understand why Greeks see things that way. And I came away from the visit fearing that Greece and Europe may suffer a terrible accident, an unnecessary rupture that will cast long shadows over the future.
The story so far: At the end of 2009 Greece faced a crisis driven by two factors: High debt, and inflated costs and prices that left the country uncompetitive.
Europe responded with loans that kept the cash flowing, but only on condition that Greece pursue extremely painful policies. These included spending cuts and tax hikes that, if imposed on the United States, would amount to $3 trillion a year. There were also wage cuts on a scale that’s hard to fathom, with average wages down 25 percent from their peak.
These immense sacrifices were supposed to produce recovery. Instead, the destruction of purchasing power deepened the slump, creating Great Depression-level suffering and a huge humanitarian crisis. On Saturday I visited a shelter for the homeless, and was told heartbreaking tales of a health care system in collapse: patients turned away from hospitals because they couldn’t pay the 5 euro entrance fee, sent away without needed medicine because cash-starved clinics had run out, and more.
It has been an endless nightmare, yet Greece’s political establishment, determined to stay within Europe and fearing the consequences of default and exit from the euro, stayed with the program year after year. Finally, the Greek public could take no more. As creditors demanded yet more austerity — on a scale that might well have pushed the economy down by another 8 percent and driven unemployment to 30 percent — the nation voted in Syriza, a genuinely left-wing (as opposed to center-left) coalition, which has vowed to change the nation’s course. Can Greek exit from the euro be avoided?
Yes, it can. The irony of Syriza’s victory is that it came just at the point when a workable compromise should be possible.
The key point is that exiting the euro would be extremely costly and disruptive in Greece, and would pose huge political and financial risks for the rest of Europe. It’s therefore something to be avoided if there’s a halfway decent alternative. And there is, or should be.
By late 2014 Greece had managed to eke out a small “primary” budget surplus, with tax receipts exceeding spending, excluding interest payments. That’s all that creditors can reasonably demand, since you can’t keep squeezing blood from a stone. Meanwhile, all those wage cuts have made Greece competitive on world markets — or would make it competitive if some stability can be restored.
The shape of a deal is therefore clear: basically, a standstill on further austerity, with Greece agreeing to make significant but not ever-growing payments to its creditors. Such a deal would set the stage for economic recovery, perhaps slow at the start, but finally offering some hope.
But right now that deal doesn’t seem to be coming together. Maybe it’s true, as the creditors say, that the new Greek government is hard to deal with. But what do you expect when parties that have no previous experience in governing take over from a discredited establishment? More important, the creditors are demanding things — big cuts in pensions and public employment — that a newly elected government of the left simply can’t agree to, as opposed to reforms like an improvement in tax enforcement that it can. And the Greeks, as I suggested, are all too ready to see these demands as part of an effort either to bring down their government or to make their country into an example of what will happen to other debtor countries if they balk at harsh austerity.
To make things even worse, political uncertainty is hurting tax receipts, probably causing that hard-earned primary surplus to evaporate. The sensible thing, surely, is to show some patience on that front: if and when a deal is reached, uncertainty will subside and the budget should improve again. But in the pervasive atmosphere of distrust, patience is in short supply.
It doesn’t have to be this way. True, avoiding a full-blown crisis would require that creditors advance a significant amount of cash, albeit cash that would immediately be recycled into debt payments. But consider the alternative. The last thing Europe needs is for fraying tempers to bring on yet another catastrophe, this one completely gratuitous.
La Grecia al limite, di Paul Krugman
New York Times 20 aprile 2015
“Non pensi che loro ci vogliano far fallire?”. È questa la domanda che ho continuato a sentirmi rivolgere durante una visita breve ma intensa ad Atene. La mia risposta che “loro” non esistono – che la Grecia, di fatto, non si trova dinanzi ad un blocco compatto di creditori implacabili che preferirebbero vedere il default e l’uscita dall’euro piuttosto che consentire ad un governo di sinistra di aver successo, che dall’altra parte del tavolo c’è più buona volontà di quello che molti greci suppongano.
Ma si può capire perché i Greci vedano le cose in questo modo. E me ne vengo via dalla visita col timore che la Grecia e l’Europa possano subire un incidente terribile, una rottura non indispensabile che getterà lunghe ombre sul futuro.
Sino ad oggi la storia è questa: alla fine del 2009 la Grecia si trovò dinanzi ad una crisi provocata da due fattori: un debito elevato, costi e prezzi inflazionati che avevano lasciato il paese nelle condizioni di non competere.
L’Europa rispose con prestiti che consentirono la prosecuzione dei flussi di contante, ma solo alla condizione che la Grecia perseguisse politiche estremamente dolorose. Queste includevano tagli alla spesa ed aumenti delle tasse che, se fossero stati imposti agli Stati Uniti, avrebbero comportato una somma di 3 mila miliardi di dollari all’anno. Ci furono anche tagli ai salari di dimensioni tali che è difficile immaginare, con i salari medi che calarono del 25 per cento dalla loro punta più alta.
Si supponeva che questi immensi sacrifici provocassero una ripresa. Invece, la distruzione del potere di acquisto ha approfondito la recessione, creando una sofferenza paragonabile alla Grande Depressione ed una vasta crisi umanitaria. Ho visitato sabato un rifugio per sfrattati e mi sono state raccontate storie da lasciare senza fiato di un sistema di assistenza sanitaria al collasso: pazienti allontanati dagli ospedali perché non potevano pagare la tassa di ingresso di 5 euro, espulsi senza le necessarie medicine perché le strutture sanitarie a corto di liquidità sono al collasso, ed altro ancora.
È stato un incubo senza fine, tuttavia i gruppi dirigenti greci, determinati a restare dentro l’Europa e spaventati dalle conseguenze del default e di un’uscita dall’euro, si sono attenuti al programma, un anno dietro l’altro. Alla fine, l’opinione pubblica greca non ne ha potuto più. Nel mentre i creditori chiedevano maggiore austerità – in dimensioni che avrebbero potuto tranquillamente spingere più in basso l’economia per un 8 per cento e portare la disoccupazione al 30 per cento – la nazione ha scelto Syriza, una coalizione genuinamente di sinistra (altra cosa, cioè, dal centro-sinistra), che ha promesso un cambiamento di indirizzo per il paese. Può essere evitata l’uscita dall’euro?
Sì, è possibile. Il paradosso della vittoria di Syriza è che essa è intervenuta proprio al momento in cui un compromesso praticabile dovrebbe essere possibile.
Il punto chiave è che uscire dall’euro sarebbe estremamente costoso e dirompente per la Grecia, e determinerebbe grandi rischi politici e finanziari per il resto dell’Europa. Di conseguenza, se c’è una decente alternativa di compromesso, dovrebbe essere evitata. Ed essa c’è, o dovrebbe esserci.
Sulla fine del 2014 la Grecia è riuscita a mettere assieme un modesto avanzo del bilancio primario, ovvero le entrate fiscali hanno ecceduto le spese, al netto del pagamento degli interessi. Questo è quanto i creditori possono ragionevolmente chiedere, dal momento che non si può spremere sangue da una pietra. Nel frattempo, tutti quei tagli salariali hanno reso la Grecia competitiva sui mercati mondiali – o l’avrebbero resa competitiva, se una qualche stabilità potesse essere ripristinata.
Le caratteristiche dell’accordo di conseguenza sono evidenti: fondamentalmente, il blocco ad una ulteriore austerità, con la Grecia che conviene di attuare ai suoi creditori pagamenti significativi, ma non in perenne crescita. Un tale accordo preparerebbe il terreno ad una ripresa dell’economia, forse all’inizio lenta, ma alla fine offrirebbe qualche speranza.
Ma in questo momento quell’accordo non sembra stia arrivando. Forse è vero, come dicono i creditori, che non è facile trattare con il nuovo Governo greco. Ma cosa vi aspettate quando partiti che non hanno esperienze di governo precedenti prendono il posto di gruppi dirigenti screditati? È più rilevante che i creditori stiano facendo richieste – grandi tagli alle pensioni ed al pubblico impiego – con le quali un Governo di sinistra appena eletto non può concordare, diversamente da riforme come un miglioramento nella riscossione delle tasse su cui può essere d’accordo. E i Greci, come indicavo, sono anche troppo predisposti a considerare queste richieste come aspetti di un tentativo sia di abbattere il loro Governo, che di far diventare il loro paese un esempio di quello che accadrebbe agli altri paesi debitori, se rifiutano una rigida austerità.
A rendere le cose persino peggiori, l’incertezza politica sta danneggiando la riscossione delle tasse, probabilmente mandando in fumo l’avanzo primario conquistato a fatica. Sarebbe ragionevole, certamente, mostrare un po’ di pazienza su quel fronte: se e quando un accordo fosse raggiunto, l’incertezza scemerà e il bilancio dovrebbe tornare a migliorare. Ma in una atmosfera pervasiva di diffidenza, la pazienza è una merce rara.
Non deve finire in questo modo. È vero, per evitare una crisi completa è necessario che i creditori anticipino un quantitativo significativo di denaro, sebbene il denaro sarebbe immediatamente girato al pagamento dei debiti. Ma si consideri l’alternativa. L’ultima cosa di cui l’Europa ha bisogno è di imbarcarsi, per effetto di caratteri irascibili, in una ennesima catastrofe, in questo caso completamente gratuita.
By mm
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