APRIL 17, 2015
BRUSSELS — America has yet to achieve a full recovery from the effects of the 2008 financial crisis. Still, it seems fair to say that we’ve made up much, though by no means all, of the lost ground.
But you can’t say the same about the eurozone, where real G.D.P. per capita is still lower than it was in 2007, and 10 percent or more below where it was supposed to be by now. This is worse than Europe’s track record during the 1930s.
Why has Europe done so badly? In the past few weeks, I’ve seen a number of speeches and articles suggesting that the problem lies in the inadequacy of our economic models — that we need to rethink macroeconomic theory, which has failed to offer useful policy guidance in the crisis. But is this really the story?
No, it isn’t. It’s true that few economists predicted the crisis. The clean little secret of economics since then, however, is that basic textbook models, reflecting an approach to recessions and recoveries that would have seemed familiar to students half a century ago, have performed very well. The trouble is that policy makers in Europe decided to reject those basic models in favor of alternative approaches that were innovative, exciting and completely wrong.
I’ve been revisiting economic policy debates since 2008, and what stands out from around 2010 onward is the huge divergence in thinking that emerged between the United States and Europe. In America, the White House and the Federal Reserve mainly stayed faithful to standard Keynesian economics. The Obama administration wasted a lot of time and effort pursuing a so-called Grand Bargain on the budget, but it continued to believe in the textbook proposition that deficit spending is actually a good thing in a depressed economy. Meanwhile, the Fed ignored ominous warnings that it was “debasing the dollar,” sticking with the view that its low-interest-rate policies wouldn’t cause inflation as long as unemployment remained high.
In Europe, by contrast, policy makers were ready and eager to throw textbook economics out the window in favor of new approaches. The European Commission, headquartered here in Brussels, eagerly seized upon supposed evidence for “expansionary austerity,” rejecting the conventional case for deficit spending in favor of the claim that slashing spending in a depressed economy actually creates jobs, because it boosts confidence. Meanwhile, the European Central Bank took inflation warnings to heart and raised interest rates in 2011 even though unemployment was still very high.
But while European policy makers may have imagined that they were showing a praiseworthy openness to new economic ideas, the economists they chose to listen to were those telling them what they wanted to hear. They sought justifications for the harsh policies they were determined, for political and ideological reasons, to impose on debtor nations; they lionized economists, like Harvard’s Alberto Alesina, Carmen Reinhart, and Kenneth Rogoff, who seemed to offer that justification. As it turned out, however, all that exciting new research was deeply flawed, one way or another.
And while new ideas were crashing and burning, that old-time economics was going from strength to strength. Some readers may recall that there was much scoffing at predictions from Keynesian economists, myself included, that interest rates would stay low despite huge budget deficits; that inflation would remain subdued despite huge bond purchases by the Fed; that sharp cuts in government spending, far from unleashing a confidence-driven boom in private spending, would cause private spending to fall further. But all these predictions came true.
The point is that it’s wrong to claim, as many do, that policy failed because economic theory didn’t provide the guidance policy makers needed. In reality, theory provided excellent guidance, if only policy makers had been willing to listen. Unfortunately, they weren’t.
And they still aren’t. If you want to feel really depressed about Europe’s future, read the Op-Ed article by Wolfgang Schäuble, the German finance minister, that was published Wednesday by The Times. It’s a flat-out rejection of everything we know about macroeconomics, of all the insights that European experience these past five years confirms. In Mr. Schäuble’s world, austerity leads to confidence, confidence creates growth, and, if it’s not working for your country, it’s because you’re not doing it right.
But back to the question of new ideas and their role in policy. It’s hard to argue against new ideas in general. In recent years, however, innovative economic ideas, far from helping to provide a solution, have been part of the problem. We would have been far better off if we had stuck to that old-time macroeconomics, which is looking better than ever.
Quell’economia dei vecchi tempi, di Paul Krugman
New York Times 17 aprile 2015
BRUXELLES – L’America deve ancora ottenere una piena ripresa dagli effetti della crisi finanziaria del 2008. Eppure, sembra giusto dire che abbiamo recuperato molto del terreno perduto, seppure assolutamente non tutto.
Ma non si può dire lo stesso dell’eurozona, dove il PIL procapite è ancora più basso di quello che era nel 2007, ed è ancora del 10 per cento al di sotto, rispetto a dove si pensava si collocasse oggi. Si tratta di una prestazione peggiore di quella che l’Europa realizzò negli anni ’30.
Perché l’Europa ha reagito così negativamente? Nelle scorse settimane ho visto un certo numero di discorsi e di articoli che suggerivano che il problema dipende dalla inadeguatezza dei nostri modelli economici – avremmo bisogno di ripensare la teoria macroeconomica, che non è stata capace di offrire nella crisi una guida politica utile. Ma è davvero questa la spiegazione?
No, non è così. E’ vero che pochi economisti avevano previsto la crisi. Tuttavia, il semplice piccolo segreto dell’economia a partire da allora è che i modelli di base dei libri di testo, che riflettono un approccio alle recessioni ed alle riprese che sarebbe sembrato familiare agli studenti di mezzo secolo fa, hanno funzionato assai bene. Il guaio è che gli operatori politici hanno deciso di rigettare quei modelli di base, a favore di approcci alternativi che erano innovativi, emozionanti e completamente sbagliati.
Mi sto rileggendo i dibattiti di politica economica a partire dal 2008, e quello che emerge da circa il 2010 in avanti è la grande differenza di pensiero che è emersa tra gli Stati Uniti e l’Europa. In America, la Casa Bianca e la Federal Reserve sono rimaste sostanzialmente fiduciose nella comune teoria economica keynesiana. L’Amministrazione Obama ha sprecato molto tempo e fatica nel perseguire la cosiddetta Grande Intesa sul bilancio, ma ha continuato a credere nell’argomento dei libri di testo, secondo il quale la spesa in deficit è effettivamente una buona cosa in una economia depressa. Nel frattempo, la Federal Reserve ignorava gli infausti ammonimenti secondo i quali stava “svalutando il dollaro”, attenendosi al punto di vista secondo il quale le politiche del basso tasso di interesse non avrebbero provocato inflazione, sinché la disoccupazione fosse rimasta elevata.
All’opposto, in Europa gli operatori politici erano disponibili e ansiosi di gettare alle ortiche l’economia dei libri di testo, in cambio di nuovi approcci. La Commissione Europea, con sede qua a Bruxelles, colse al volo con entusiasmo le presunte prove della “austerità espansiva”, rigettando la tesi convenzionale della spesa pubblica in deficit a favore della pretesa secondo la quale abbattere la spesa in una economia depressa creerebbe effettivamente posti di lavoro, giacché incoraggerebbe la fiducia. Contemporaneamente, la Banca Centrale Europea prendeva talmente sul serio gli ammonimenti sull’inflazione da elevare, nel 2011, i tassi di interesse, anche se la disoccupazione era ancora davvero elevata.
Ma se gli operatori politici europei possono essersi immaginati di dare prova di meritevole apertura alle nuove idee economiche, gli economisti che scelsero di ascoltare erano quelli che dicevano loro quello che volevano sentire. Essi cercavano giustificazioni per le politiche rigide che loro stessi, per ragioni politiche ed ideologiche, erano determinati ad imporre alle nazioni debitrici; cosicché vennero esaltati economisti, come Alberto Alesina, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, che sembravano offrire quelle giustificazioni. In un modo o nell’altro, come si scoprì, tutta quella emozionante nuova ricerca era tuttavia profondamente difettosa.
Ma mentre le nuove idee andavano verso un completo fallimento, la teoria economica dei tempi andati si mostrava sempre più solida. Alcuni lettori ricorderanno che c’erano molte derisioni dinanzi alle previsioni da parte di economisti keynesiani, incluso il sottoscritto, secondo le quali i tassi di interesse sarebbero rimasti bassi, nonostante gli ampi deficit di bilancio; che l’inflazione sarebbe rimasta calma nonostante i grandi acquisti di bond da parte della Fed; che i bruschi tagli alla spesa pubblica, lungi dallo scatenare una espansione della spesa privata guidata dal clima di fiducia, avrebbe fatto ulteriormente cadere quella spesa privata. Eppure, tutte queste previsioni si sono avverate.
Il punto è che è sbagliato sostenere, come molti fanno, che la politica è fallita perché la teoria economica non ha fornito agli operatori politici la guida di cui avevano bisogno. In realtà, la teoria forniva una guida eccellente, se solo gli operatori politici fossero stati disponibili ad ascoltare. Sfortunatamente, non lo furono.
E tuttora non lo sono. Se volete sentirvi realmente depressi sul futuro dell’Europa, andate a leggere l’articolo sulla pagine dei commenti di The Times di mercoledì, da parte di Wolfgang Schäuble. Si tratta di un rigetto incondizionato di tutto quello che conosciamo della teoria economica, di tutte le intuizioni che l’esperienza europea di questi cinque anni conferma. Nel mondo del signor Schäuble, l’austerità porta alla fiducia, la fiducia crea crescita, e se nel vostro paese tutto questo non funziona, è perché non lo state facendo nel modo giusto.
Ma, tornando al tema delle nuove idee e del loro ruolo nella politica. E’ difficile prendere posizione contro le nuove idee in generale. Negli anni recenti, tuttavia, le idee economiche innovative, lungi dal contribuire a fornire una soluzione, sono state una parte del problema. Ce la staremmo passando molto meglio se fossimo rimasti alla macroeconomia dei tempi antichi, che appare più che mai in buone condizioni.
By mm
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