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Ideologia e integrità, di Paul Krugman (New York Times 1 maggio 2015)

Ideology and Integrity

MAY 1, 2015

Paul Krugman

z 584

 

 

 

 

 

 

 

 

The 2016 campaign should be almost entirely about issues. The parties are far apart on everything from the environment to fiscal policy to health care, and history tells us that what politicians say during a campaign is a good guide to how they will govern.

Nonetheless, many in the news media will try to make the campaign about personalities and character instead. And character isn’t totally irrelevant. The next president will surely encounter issues that aren’t currently on anyone’s agenda, so it matters how he or she is likely to react. But the character trait that will matter most isn’t one the press likes to focus on. In fact, it’s actively discouraged.

You see, you shouldn’t care whether a candidate is someone you’d like to have a beer with. Nor should you care about politicians’ sex lives, or even their spending habits unless they involve clear corruption. No, what you should really look for, in a world that keeps throwing nasty surprises at us, is intellectual integrity: the willingness to face facts even if they’re at odds with one’s preconceptions, the willingness to admit mistakes and change course.

And that’s a virtue in very short supply.

As you might guess, I’m thinking in particular about the sphere of economics, where the nasty surprises just keep coming. If nothing that has happened these past seven years or so has shaken any of your long-held economic beliefs, either you haven’t been paying attention or you haven’t been honest with yourself.

Times like these call for a combination of open-mindedness — willingness to entertain different ideas — and determination to do the best you can. As Franklin Roosevelt put it in a celebrated speech, “The country demands bold, persistent experimentation. It is common sense to take a method and try it: If it fails, admit it frankly and try another. But above all, try something.”

What we see instead in many public figures is, however, the behavior George Orwell described in one of his essays: “Believing things which we know to be untrue, and then, when we are finally proved wrong, impudently twisting the facts so as to show that we were right.” Did I predict runaway inflation that never arrived? Well, the government is cooking the books, and besides, I never said what I said.

Just to be clear, I’m not calling for an end to ideology in politics, because that’s impossible. Everyone has an ideology, a view about how the world does and should work. Indeed, the most reckless and dangerous ideologues are often those who imagine themselves ideology-free — for example, self-proclaimed centrists — and are, therefore, unaware of their own biases. What you should seek, in yourself and others, is not an absence of ideology but an open mind, willing to consider the possibility that parts of the ideology may be wrong.

The press, I’m sorry to say, tends to punish open-mindedness, because gotcha journalism is easier and safer than policy analysis. Hillary Clinton supported trade agreements in the 1990s, but now she’s critical. It’s a flip-flop! Or, possibly, a case of learning from experience, which is something we should praise, not deride.

So what’s the state of intellectual integrity at this point in the election cycle? Pretty bad, at least on the Republican side of the field.

Jeb Bush, for example, has declared that “I’m my own man” on foreign policy, but the list of advisers circulated by his aides included the likes of Paul Wolfowitz, who predicted that Iraqis would welcome us as liberators, and shows no signs of having learned from the blood bath that actually took place.

Meanwhile, as far as I can tell no important Republican figure has admitted that none of the terrible consequences that were supposed to follow health reform — mass cancellation of existing policies, soaring premiums, job destruction — has actually happened.

The point is that we’re not just talking about being wrong on specific policy questions. We’re talking about never admitting error, and never revising one’s views. Never being able to say that you were wrong is a serious character flaw even if the consequences of that refusal to admit error fall only on a few people. But moral cowardice should be outright disqualifying in anyone seeking high office.

Think about it. Suppose, as is all too possible, that the next president ends up confronting some kind of crisis — economic, environmental, foreign — undreamed of in his or her current political philosophy. We really, really don’t want the job of responding to that crisis dictated by someone who still can’t bring himself to admit that invading Iraq was a disaster but health reform wasn’t.

I still think this election should turn almost entirely on the issues. But if we must talk about character, let’s talk about what matters, namely intellectual integrity.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ideologia e integrità, di Paul Krugman

New York Times 1 maggio 2015

La campagna elettorale per il 2016 dovrebbe quasi interamente riguardare temi reali. I partiti sono molto distanti su tutto, dall’ambiente alla politica della finanza pubblica alla assistenza sanitaria, e la storia ci insegna che quello che gli uomini politici dicono durante una campagna elettorale è una buona guida sul loro governo futuro [1].

Ciononostante, in molti sui media cercheranno piuttosto di impostare la campagna sulle personalità e sui caratteri. E il carattere non è completamente irrilevante. Il prossimo Presidente, uomo o donna, certamente affronterà temi che non sono attualmente nei programmi di nessuno, dunque è importante la probabilità che reagisca in un modo o nell’altro. Ma il tratto del carattere che avrà importanza, nella maggioranza dei casi non è quello che la stampa ama mettere a fuoco. Di fatto, esso è un aspetto attivamente scoraggiato.

Vedete, non ci si dovrebbe curare se il candidato sia qualcuno con il quale vi piacerebbe bere una birra. Neppure ci si dovrebbe curare della vita sessuale dei politici, e neppure delle loro abitudini di spesa, a meno che non coinvolgano casi espliciti di corruzione. No, quello a cui si dovrebbe davvero guardare, in un mondo che continua a riservarci brutte sorprese, è l’integrità intellettuale: la disponibilità a misurarsi con i fatti anche se sono agli antipodi dei nostri preconcetti, la volontà di ammettere gli errori e di cambiare indirizzo.

E si tratta di una virtù che è merce molto rara. Come vi immaginate, sto anzitutto pensando alla sfera dell’economia, dove le cattive sorprese sono proprio sempre in arrivo. Se nei passati sette anni o giù di lì non è accaduto niente che abbia scosso alcun vostro convincimento economico di vecchia data, o è dipeso dal fatto che non stavate attenti, oppure dal fatto che non siete stati onesti con voi stessi.

Tempi come questi richiedono una combinazione di mentalità aperte – la disponibilità a prendere in considerazione idee diverse – e di determinazione a fare del vostro meglio. Come si espresse Franklin Roosevelt in un celebre discorso: “Il paese chiede un coraggioso, prolungato esperimento. L’opinione comune è che si debba scegliere un metodo e provare: se fallisce, ammetterlo francamente e provarne un altro. Ma soprattutto, provare qualcosa.”

Quello a cui invece assistiamo in molti personaggi pubblici, è il comportamento che George Orwell descrisse in uno dei suoi saggi: “Credere in cose che sappiamo non essere vere, e poi, quando finalmente è evidente che ci siamo sbagliati, distorcere i fatti con impudenza, in modo da mostrare che avevamo ragione.” Ero stato io a prevedere una inflazione galoppante che non è mai arrivata? Ebbene: è il Governo che trucca i dati, e inoltre io non avevo mai detto quello che dissi.

Per chiarezza, non sto prevedendo una fine dell’ideologia nella politica, che è impossibile. Ognuno ha un’ideologia, un punto di vista su come il mondo funziona e dovrebbe funzionare. In effetti, gli ideologi più incoscienti e pericolosi sono spesso quelli che si immaginano di essere immuni da ideologie – ad esempio, i sedicenti centristi – e che di conseguenza sono inconsapevoli delle loro stesse inclinazioni. Quello che dovreste cercare, in voi stessi e negli altri, non è una assenza di ideologia, ma una mentalità aperta, la disponibilità a considerare che pezzi di quella ideologia possano essere sbagliati.

La stampa, mi dispiace dirlo, tende a contrastare le mentalità aperte, perché il giornalismo a sensazione [2] è più facile e più sicuro dell’analisi politica. Hillary Clinton sostenne gli accordi commerciali negli anni ’90, mentre oggi è critica. È un voltafaccia! Oppure, magari, è un caso di trarre lezioni dall’esperienza, ovvero qualcosa che si dovrebbe elogiare, non deridere.

Dunque, quale è, a questo punto del ciclo elettorale, lo stato dell’integrità intellettuale? Siamo messi male, almeno sul versante repubblicano.

Jeb Bush, ad esempio, ha dichiarato di “dipendere solo da se stesso” in politica estera, ma la lista dei consiglieri messa in circolazione dai suoi collaboratori include i personaggi di Paul Wolfowitz, quello che aveva previsto che gli iracheni ci avrebbero accolti come liberatori, e che non mostra alcun segno di aver imparato niente dal bagno di sangue che effettivamente ebbe luogo.

Nel frattempo, per quanto ne so, non una delle personalità repubblicane importanti ha ammesso che nessuna delle conseguenze terribili che erano state previste a seguito della riforma sanitaria – cancellazione in massa delle polizze esistenti, tariffe assicurative alle stelle, posti di lavoro distrutti – si sia effettivamente avverata.

Il punto è che non stiamo soltanto parlando di aver torto su specifici aspetti politici. Stiamo parlando del non ammettere mai errori, e del non rivedere mai le proprie opinioni. Non esser capaci di dire di aver avuto torto è un serio difetto del carattere, anche se le conseguenze di quel rifiuto ad ammettere gli sbagli ricadono soltanto su pochi individui. Ma la viltà morale dovrebbe costituire un fattore di completa inettitudine, per chiunque sia alla ricerca di alte responsabilità.

Riflettiamoci. Pensiamo, come è del tutto possibile, che il prossimo Presidente si ritrovi a fare i conti con una crisi di qualche genere – economica, ambientale, estera – inimmaginabile nella sua attuale filosofia politica. Non c’è ombra di dubbio: noi non dovremmo farci carico di una risposta a quella crisi al seguito di qualcuno che ancora non è disposto ad ammettere che l’invasione dell’Iraq fu un disastro, mentre la riforma sanitaria non lo è stata.

Io credo ancora che queste elezioni dovrebbero rivolgersi quasi interamente ai temi reali. Ma se dobbiamo parlare di carattere, parliamo di quello che conta, precisamente dell’integrità intellettuale.

 

[1] Affermazione che sembrerebbe temeraria, ma che rimanda nella connessione nel testo inglese ad un interessante articolo di Jonathan Bernstein, pubblicato nel 2012 sul Washington Post, che passava in rassegna alcuni studi di politologi americani che scoprivano molti elementi di coerenza, da Kennedy a Reagan. Sebbene Bush venisse considerato una eccezione.

[2] Più precisamente “gotcha” è una espressione dello slang newyorkese, credo di origine ebraica, che significa “T’ho beccato!” (ma anche “Ho capito!”).

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