MAY 8, 2015
“Words,” wrote John Maynard Keynes, “ought to be a little wild, for they are the assault of thoughts on the unthinking.” I’ve always loved that quote, and have tried to apply it to my own writing. But I have to admit that in the long slump that followed the 2008 financial crisis — a slump that we had both the tools and the knowledge to end quickly, but didn’t — the unthinking were quite successful in fending off unwelcome thoughts.
And nowhere was the triumph of inanity more complete than in Keynes’s homeland, which is going to the polls as I write this. Britain’s election should be a referendum on a failed economic doctrine, but it isn’t, because nobody with influence is challenging transparently false claims and bad ideas.
Before I bash the Brits, however, let me admit that we’ve done pretty badly ourselves.
It began very early. President Obama inherited an economy in free fall; what we needed, above all, was more spending to support demand. Yet much of Mr. Obama’s inaugural address was given over to boilerplate about the need to make hard choices, which was the last thing we needed right then.
It’s true that in practice Mr. Obama pushed through a stimulus that, while too small and short-lived, helped diminish the depth and duration of the slump. But when Republicans began talking nonsense, declaring that the government should match the belt-tightening of ordinary families — a recipe for full-on depression — Mr. Obama didn’t challenge their position. Instead, within a few months the very same nonsense became a standard line in his speeches, even though his economists knew better, and so did he.
So I guess we shouldn’t be too harsh on Ed Miliband, the leader of Britain’s Labour Party, for failing to challenge the economic nonsense peddled by the Conservatives. Like Mr. Obama and company, Labour’s leaders probably know better, but have decided that it’s too hard to overcome the easy appeal of bad economics, especially when most of the British news media report this bad economics as truth. But it has still been deeply disheartening to watch.
What nonsense am I talking about? Simon Wren-Lewis of the University of Oxford, who has been a tireless but lonely crusader for economic sense, calls it “mediamacro.” It’s a story about Britain that runs like this: First, the Labour government that ruled Britain until 2010 was wildly irresponsible, spending far beyond its means. Second, this fiscal profligacy caused the economic crisis of 2008-2009. Third, this in turn left the coalition that took power in 2010 with no choice except to impose austerity policies despite the depressed state of the economy. Finally, Britain’s return to economic growth in 2013 vindicated austerity and proved its critics wrong.
Now, every piece of this story is demonstrably, ludicrously wrong. Pre-crisis Britain wasn’t fiscally profligate. Debt and deficits were low, and at the time everyone expected them to stay that way; big deficits only arose as a result of the crisis. The crisis, which was a global phenomenon, was driven by runaway banks and private debt, not government deficits. There was no urgency about austerity: financial markets never showed any concern about British solvency. And Britain, which returned to growth only after a pause in the austerity drive, has made up none of the ground it lost during the coalition’s first two years.
Yet this nonsense narrative completely dominates news reporting, where it is treated as a fact rather than a hypothesis. And Labour hasn’t tried to push back, probably because they considered this a political fight they couldn’t win. But why?
Mr. Wren-Lewis suggests that it has a lot to do with the power of misleading analogies between governments and households, and also with the malign influence of economists working for the financial industry, who in Britain as in America constantly peddle scare stories about deficits and pay no price for being consistently wrong. If U.S. experience is any guide, my guess is that Britain also suffers from the desire of public figures to sound serious, a pose which they associate with stern talk about the need to make hard choices (at other people’s expense, of course.)
Still, it’s quite amazing. The fact is that Britain and America didn’t need to make hard choices in the aftermath of crisis. What they needed, instead, was hard thinking — a willingness to understand that this was a special environment, that the usual rules don’t apply in a persistently depressed economy, one in which government borrowing doesn’t compete with private investment and costs next to nothing.
But hard thinking has been virtually excluded from British public discourse. As a result, we just have to hope that whoever ends up running Britain’s economy isn’t as foolish as he pretends to be.
Il trionfo della dissennatezza, di Paul Krugman
New York Times 8 maggio 2015
“Le parole”, scrisse John Maynard Keynes, “dovrebbero essere un po’ feroci, dato che costituiscono l’assalto dei pensieri alla dissennatezza”. Ho sempre amato questa citazione, ed ho cercato di applicarla al mio modo di scrivere. Ma devo ammettere che nella lunga crisi che è seguita al collasso finanziario del 2008 – una crisi che avrebbe dovuto essere interrotta rapidamente, sia con l’uso degli strumenti disponibili che delle conoscenze, ma così non è stato – la dissennatezza ha avuto un discreto successo nello scacciare i pensieri indesiderati.
E in nessun luogo il trionfo della vacuità è stato più completo che nella patria di Keynes, che, mentre scrivo, sta andando alle elezioni. Le votazioni in Inghilterra dovrebbero essere un referendum su una dottrina economica fallita, ma non è così, perché nessuno, tra coloro che hanno influenza, sta sfidando in modo chiaro i falsi argomenti e le cattive idee.
Prima di fustigare i britannici, tuttavia, fatemi ammettere che noi stessi siamo andati piuttosto male.
Cominciò quasi subito. Il presidente Obama aveva ereditato un’economia in caduta libera; quello di cui avevamo soprattutto bisogno era sostenere la domanda con maggiore spesa pubblica. Tuttavia gran parte del discorso inaugurale di Obama fu dedicata all’aria fritta sulla necessità di fare scelte dure, che in quel momento era l’ultima cosa di cui avevamo bisogno.
E’ vero che Obama in pratica approvò misure di sostegno che, per quanto troppo piccole e di troppo breve durata, contribuirono ad attenuare le profondità e la durata del crollo. Ma quando i repubblicani cominciarono a dire cose insensate, dichiarando che il Governo avrebbe dovuto fare il paio delle famiglie che stringevano la cinghia – una ricetta per un depressione assoluta – Obama non mise alla prova la loro posizione. Piuttosto, in pochi mesi esattamente il medesimo nonsenso divenne la linea ufficiale dei suoi discorsi, anche se i suoi economisti erano più saggi, ed agì di conseguenza.
Suppongo, dunque, che non si debba essere troppo aspri con Ed Miliband, il leader del Partito Laburista inglese, per non aver sfidato le insensatezze economiche messe in giro dai Conservatori. Come Obama e i suoi collaboratori, i dirigenti i laburisti probabilmente non erano così sprovveduti, ma decisero che era troppo difficile prevalere sul facile richiamo di una politica economica sbagliata, specialmente quando la maggioranza dei media britannici rappresentava quella politica economica dannosa come la verità.
Di quale nonsenso sto parlando? Simon Wren-Lewis dell’Università di Oxford, che della perspicacia economica ha fatto una instancabile ma solitaria crociata, la chiama “mediamacro”. Si tratta di un racconto di quello che è accaduto in Inghilterra che procede in questo modo: anzitutto il Governo del Labour, che diresse l’Inghilterra sino al 2010, fu del tutto irresponsabile, spendendo ben oltre i suoi mezzi. In secondo luogo, quello sperpero di finanza pubblica provocò la crisi economica del 2008-2009. In terzo luogo, questo lasciò la coalizione che prese il potere nel 2010 senza altra scelta, se non quella di imporre politiche di austerità, nonostante le condizioni depresse dell’economia. Infine, il ritorno dell’Inghilterra alla crescita economica nel 2013 fece giustizia della politica dell’austerità e dimostrò che i suoi critici avevano torto.
Ora, ogni pezzo di questo racconto è dimostrabilmente, comicamente infondato. L’Inghilterra prima della crisi non era un caso di sperpero della finanza pubblica. Il debito ed i deficit erano bassi e a quell’epoca tutti si aspettavano che sarebbero rimasti tali; i grandi deficit crebbero soltanto come una conseguenza della crisi. La crisi, che fu un fenomeno globale, fu provocata da banche fuori controllo e dal debito privato, non dai deficit del Governo. Non c’era alcuna urgenza per l’austerità: i mercati finanziari non mostrarono mai alcuna preoccupazione sulla solvibilità del Regno Unito. E il Regno Unito, che tornò alla crescita soltanto dopo una pausa nella campagna per l’austerità, non ha recuperato niente del terreno perso durante i primi due anni della coalizione.
Tuttavia, quel racconto insensato domina completamente i resoconti giornalistici, dove è trattato come un fatto anziché come una ipotesi. E il Labour non ha provato a respingerlo, probabilmente perché riteneva che fosse una battaglia politica che non poteva vincere. Ma perché?
Wren-Lewis suggerisce che questo abbia molto a che fare con il potere delle fuorvianti analogie tra i Governi e le famiglie, ed anche con l’influenza malefica di economisti che lavorano per il sistema finanziario, che in Inghilterra e in America rivendono in continuazione storie tremende sui deficit, senza mai pagare alcun prezzo per i loro costanti errori. Se l’esperienza degli Stati Uniti ha una qualche utilità, io penso che l’Inghilterra soffra anche del desiderio delle persone pubbliche di apparire serie, un atteggiamento che associano al parlare severamente della necessità di fare scelte dure (ovviamente, a spese degli altri).
Eppure, è abbastanza sorprendente. Il fatto è che l’Inghilterra e l’America non avevano bisogno di fare scelte dure all’indomani della crisi. Ciò di cui avevano bisogno, invece, era un pensiero profondo – una disponibilità a comprendere che si trattava di una condizione particolare, che non si applicano le solite regole in una economia persistentemente depressa, nella quale l’indebitamento pubblico non è in competizione con l’investimento privato ed i costi sono quasi nulli.
Ma i pensieri profondi sono virtualmente esclusi dal dibattito pubblico in Inghilterra. Di conseguenza, dobbiamo soltanto sperare che, chiunque finisca col governare l’economia inglese, non sia così sciocco come finge di essere.
By mm
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