May 20, 2015 6:26 am
Via FT Alphaville, James Montier has an interesting piece castigating economists for their “interest rate idolatry”, their belief that central bank-set interest rates matter a lot for the economy and that therefore it is useful, at least conceptually, to think about the “natural” rate of interest that would lead the economy to full employment. There is no evidence that interest rates matter in that way, he says, and economists who talk about natural rates are simply engaged in groupthink.
In particular, he identifies three blind and/or stupid economists leading everyone astray: Janet Yellen, Larry Summers, and yours truly.
Well, it could be true; there’s plenty of stupidity in the world, and much of it imagines itself wise. But in my experience people who declare confidently that “economists don’t understand X” usually turn out to be wrong both about X and about what economists understand. As I wrote in one context, often what they imagine to be a big conceptual or empirical failure is just a failure of their own reading comprehension.
Let me also say that if you were going to look for economists who blindly repeat doctrine, without the intelligence or courage to challenge conventional wisdom, neither Janet Yellen nor Larry Summers would be top picks.
So Montier offers a lot of evidence that interest rates move a lot, which isn’t news to anyone, and then one argument he apparently thinks is a big thing economists don’t know — that business investment is basically unaffected by interest rates. Who would have suspected such a thing? Well, everyone. Here’s what I wrote some years ago:
Back in the old days, when dinosaurs roamed the earth and students still learned Keynesian economics, we used to hear a lot about the monetary “transmission mechanism” — how the Fed actually got traction on the real economy. Both the phrase and the subject have gone out of fashion — but it’s still an important issue, and arguably now more than ever.
Now, what you learned back then was that the transmission mechanism worked largely through housing. Why? Because long-lived investments are very sensitive to interest rates, short-lived investments not so much. If a company is thinking about equipping its employees with smartphones that will be antiques in three years, the interest rate isn’t going to have much bearing on its decision; and a lot of business investment is like that, if not quite that extreme. But houses last a long time and don’t become obsolete (the same is true to some extent for business structures, but in a more limited form). So Fed policy, by moving interest rates, normally exerts its effect mainly through housing.
But Montier seems to have forgotten about housing, which is actually a fairly common problem among certain kinds of econocritics.
And do interest rates move housing? Here’s the inverse of the Fed funds rate versus housing starts during the period when major moves in monetary policy were mainly driven by concerns about inflation (as opposed to bursting bubbles):
Looks like a relationship to me. And I would say that for many economists of a certain age, the events of the early 1980s were especially important in convincing us that monetary policy can matter a lot. Paul Volcker decided to tighten; interest rates soared, housing collapsed, and the economy plunged into a deep recession. He decided that the economy had suffered enough, rates plunged, housing surged, and it was morning in America.
Beyond that, the general proposition that money matters also rests on a lot of careful empirical work — in fact, on two styles of careful work. There’s the Romer-Romer narrative approach, which examines Fed minutes to identify “episodes in which there were large monetary disturbances not caused by output fluctuations”, and the Sims approach, which uses time-series methods. Both find that monetary policy does indeed matter.
Are there times when monetary policy — or at least conventional monetary policy — can’t do the job? Of course. Summers and I have been talking about the zero lower bound since the 1990s — he introduced the argument that the ZLB justifies a positive inflation target, I brought liquidity-trap analysis out of the mists and back into modern economics.
The bottom line here is that there’s plenty of real stupidity in the world; we don’t need to add to the cloud of confusion with a critique of imaginary stupidity.
Io sono tra gli stupidi
Sul blog Alphaville del Financial Times, James Montier pubblica un pezzo interessante nel quale se la prende con gli economisti per la loro “idolatria del tasso di interesse”, la loro convinzione che i tassi di interesse stabiliti dalle banche centrali siano molto importanti per l’economia e che di conseguenza sia utile, almeno concettualmente, riflettere sul tasso di interesse “naturale” che guiderebbe l’economia verso la piena occupazione. Non c’è alcuna prova, egli dice, che i tassi di interesse siano importanti in quel senso, e gli economisti che parlano di tassi di interesse naturali sono semplicemente impegnati in un ‘conformismo di gruppo’ [1].
In particolare, egli identifica tre economisti ciechi e/o stupidi che conducono tutti sulla cattiva strada: Janet Yellen, Larry Summers ed il sottoscritto.
Ebbene, potrebbe esser vero: c’è una gran quantità di stupidi nel mondo, e in gran parte si ritengono saggi. Ma nella mia esperienza la gente che dichiara con sicurezza che “gli economisti non capiscono la cosa X” in genere si scopre che sbagliano sia sulla cosa X che su quello che gli economisti non capiscono. Come scrissi in un particolare contesto [2], spesso quello che essi immaginano essere un fallimento concettuale ed empirico è solo un fallimento della loro propria capacità di intendere ciò che leggono.
Consentitemi anche di dire che se andate a guardare gli economisti che ripetono ciecamente le loro dottrine, senza l’intelligenza o il coraggio di sfidare i pregiudizi, né Janet Yellen né Larry Summers sarebbero nei primi posti in classifica.
Dunque, Montier offre molte prove che i tassi di interesse si spostano molto, il che non è una novità per nessuno, e poi un argomento che in apparenza egli pensa sia una gran cosa che gli economisti ignorano – che gli investimenti delle imprese non sono fondamentalmente influenzati dai tassi di interesse. Chi avrebbe mai sospettato una cosa del genere? Beh, tutti. Ecco ciò che scrissi alcuni anni orsono:
“Nei tempi passati, quando i dinosauri andavano a zonzo sulla terra e gli studenti ancora imparavano l’economia keynesiana, eravamo abituati a sentir parlare molto del “meccanismo di trasmissione” monetario – in che modo effettivamente la Fed riusciva a dare impulso all’economia reale. Sia quella espressione che il tema sono passati di moda – ma è ancora una questione importante, probabilmente più che mai.
Ora, quello che si imparava allora era che il meccanismo di trasmissione funzionava in gran parte attraverso l’edilizia. Perché? Perché gli investimenti che durano a lungo sono molto sensibili ai tassi di interesse, quelli con effetti a breve non altrettanto. Se un’impresa sta pensando di dotare i suoi addetti con telefoni cellulari che in tre anni diventeranno antichi, il tasso di interesse non è destinato a pesare molto sulla sua decisione; ed una quantità di investimenti di impresa sono di quel genere, anche se non esattamente così esagerati. Ma le abitazioni durano un lungo periodo e non diventano obsolete (la stessa cosa in qualche misura è vera per gli impianti delle imprese, ma in forma più limitata). Dunque la politica della Fed, muovendo i tassi di interesse, fondamentalmente esercita i suoi effetti tramite l’edilizia.”
Ma Montier sembra essersi dimenticato dell’edilizia, la qualcosa per la verità è un problema abbastanza comune tra alcuni tipi di critici economici.
E i tassi di interesse spostano per davvero l’edilizia? Ecco la relazione inversa [3] tra i tassi di riferimento della Fed e gli avvii di attività di costruzione di edifici durante il periodo nel quale gli spostamenti nella politica monetaria furono direttamente guidati dalle preoccupazioni sull’inflazione (ovvero, nel caso opposto dello scoppio delle bolle):
A me pare che una relazione ci sia. E direi che per gli economisti di una certa età, gli eventi dei primi anni ’80 furono particolarmente importanti nel convincerci che la politica monetaria poteva contare molto. Paul Volcker decise una restrizione; i tassi di interesse salirono alle stelle, l’edilizia crollò e l’economia sprofondò in una recessione profonda. Egli decise che l’economia aveva sofferto abbastanza, i tassi crollarono, l’edilizia risalì e fu il ‘buongiorno’ in America [4].
Oltre a ciò, il concetto generale che la moneta è importante si basa anche su una quantità di scrupolosi studi empirici – in sostanza, lavori scrupolosi di due generi. C’è l’approccio narrativo dei Romer, marito e moglie, che esamina i verbali della Fed per identificare “episodi nei quali avvennero vasti disordini monetari non provocati da fluttuazioni nella produzione”, e l’approccio di Sims, che utilizza il metodo delle serie temporali. Entrambi arrivano alla conclusione che la politica monetaria effettivamente è importante.
E ci sono i periodi nei quali la politica monetaria – o almeno una convenzionale politica monetaria – non può fare la sua funzione? Ovviamente. Summers e il sottoscritto siamo venuti argomentando sul limite inferiore dello zero sin dagli anni ’90 – egli introdusse la tesi che il limite inferiore dello zero giustifica un obbiettivo positivo di inflazione, io tirai fuori dalle nebbie l’analisi della trappola di liquidità per reintrodurla nella economia moderna.
La morale della favola è che nel mondo c’è una abbondanza di stupidità vera; non abbiamo bisogno di aumentare la cappa di confusione con una critica della stupidità immaginaria.
[1] La definizione di “groupthink” su Sapere.it: “Neologismo che si forma dall’unione delle parole inglesi group, gruppo, e think, pensare, dunque “pensiero di gruppo”. Il groupthink sacrifica qualsivoglia pensiero e visione, gusto e sensibilità individuali per un punto di vista di gruppo che, coeso, decide come comportarsi. Il senso di questo termine non ha proprio un’accezione positiva, in quanto di frequente per non mandare in crisi la stabilità di pensiero del gruppo si mettono da parte i ragionevoli dubbi individuali e si decide anche in maniera sconsiderata.”
[2] Un post del 19 marzo 2013 qua tradotto.
[3] La linea blu indica i tassi di riferimento della Fed e viene stimata con le percentuali in evidenza sul lato sinistro della tabella. La crisi volutamente provocata dall’allora Governatore Paul Volcker, che corrispondeva alla volontà di mettere sotto controllo l’inflazione, ha la sua punta nel 1980, quando i tassi si avvicinarono al 20%. La linea rossa indica il numero di nuove costruzioni avviate, che è indicato al lato destro della tabella. Come grosso modo si nota, una salita dei tassi di interesse di solito comporta un calo nell’attività edilizia; una diminuzione dei tassi di solito comporta una ripresa della attività. Ovviamente, la relazione non è così meccanica; può accadere che l’edilizia reagisca a tassi che aumentano con un ritardo di un paio di anni (vedi gli andamenti nel 1988-1990), oppure che reagisca ad un diminuzione del tassi con un certo ritardo o con una maggiore gradualità (vedi gli anni ’90).
[4] “E’ giorno, America” – o “Buongiorno America” – era il titolo di una trasmissione radiofonica di Ronald Reagan che ebbe molto successo ed influenzò il suo successo elettorale al secondo mandato.
By mm
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