Blog di Krugman

La Fed non controlla l’offerta di denaro (dal blog di Krugman, 6 maggio 2015)

 

May 6 6:37 pm

The Fed Does Not Control the Money Supply

Brad DeLong points us to David Glasner on John Taylor; I don’t think I need to add to the pile-on. But I do think Glasner misses a point when he says that

the quantity of money, unlike the Fed Funds rate, is not an instrument under the direct control of the Fed.

Actually, under current conditions — in a liquidity trap — it’s not even under the indirect control of the Fed. The same impotence of conventional monetary policy that makes open-market purchases of Treasuries useless at boosting GDP also mean that broad monetary aggregates that include deposits are largely immune to Fed influence. The Fed can stuff the banks full of reserves, but at zero rates those reserves have no incentive to go anywhere, and even if they do they can sit in safes and mattresses.

This is not a new point. Back in 1998 I covered it pretty well:

Putting financial intermediation into a liquidity trap framework suggests, pace Friedman and Schwartz, that it is quite misleading to look at monetary aggregates under these circumstances: in a liquidity trap, the central bank may well find that it cannot increase broader monetary aggregates, that increments to the monetary base are simply added to reserves and currency holdings, and thus both that such aggregates are no longer valid indicators of the stance of monetary policy and that their failure to rise does not indicate that the essential problem lies in the banking sector.

The effects of quantitative easing in Japan a few years later, which failed to raise M2, confirmed this conclusion. And sure enough, here’s what happened to US M2 as the Fed increased the size of its balance sheet:

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By the way, in discussing monetary policy I sometimes write “money supply” as shorthand for “monetary base”; it has always been clear, if you read my work, that I know that the Fed only truly controls the base and that this need not translate into changes in broader aggregates.

So we had a simple prediction, completely borne out by experience. And you can therefore understand why I want to bang my head against the wall when economists say things along the lines of “the Fed can just target the money supply” or “we would have had runaway inflation except that for some reason banks just increased excess reserves — who could have predicted?”

So much heavy going over such basically simple stuff. But then, to expand on and somewhat ruin Upton Sinclair, it’s difficult to get a man to understand something when he has strong incentives, which may be ideological rather than or in addition to financial, not to understand it.

 

 

La Fed non controlla l’offerta di denaro

Brad DeLong ci rinvia a David Glasner a proposito di John Taylor; io non penso sia necessario aggiungere niente della serie. Ma penso che a Glasner sfugga un punto, quando afferma:

“la quantità di moneta, diversamente dal tasso di riferimento della Fed, non è uno strumento sotto il suo diretto controllo.”

In effetti, nelle attuali condizioni – in una trappola di liquidità – essa non è neppure sotto il controllo indiretto della Fed. La stessa impotenza della politica monetaria convenzionale che rende inutili gli acquisti a mercato aperto dei buoni del Tesoro a sospingere il PIL, significa anche che gli aggregati monetari ampi che includono i depositi sono in gran parte immuni dall’influenza della Fed. La Fed può riempire di riserve le banche, ma a tassi zero quelle riserve non incentivano niente, ed anche se lo facessero resterebbero al sicuro sotto i materassi.

Non è un argomento nuovo. Nel lontano 1998 me ne occupai abbastanza precisamente:

“Inserire l’intermediazione finanziaria in uno schema di trappola di liquidità suggerisce, con buona pace di Friedman e Schwartz [1], che è abbastanza fuorviante guardare agli aggregati monetari in queste circostanze: in una trappola di liquidità, una banca centrale può ben scoprire di non potere aumentare gli aggregati monetari più generali, dato che gli incrementi nella base monetaria sono semplicemente aggiunti alle riserve ed al possesso di valuta, e di conseguenza entrambi tali aggregati non sono più validi indicatori degli spazi della politica monetaria e il loro non poter crescere non indica che il problema essenziale consista nel settore bancario.”

Gli effetti della ‘facilitazione quantitativa’ in Giappone pochi anni dopo, che non riuscì ad incrementare l’aggregato monetario definito M2, confermò queste conclusioni. Ed infatti, ecco quello che accadde all’aggregato monetario M2 negli Stati Uniti allorché la Fed aumentò i suoi equilibri patrimoniali:

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Per inciso, nel discutere di politica monetaria talvolta io scrivo “offerta di moneta” come abbreviazione di “base monetaria”; è sempre stato chiaro, se leggete il mio lavoro, che io so che la Fed in verità controlla soltanto la base e che non è necessario che questa si traduca in cambiamenti degli aggregati monetari più ampi [2].

Dunque, esisteva una previsione assai semplice, completamente confermata dall’esperienza. E potete comprendere, di conseguenza, la ragione per la quale sbatterei la testa contro un muro ogni volta che gli economisti usano espressioni quali “la Fed può semplicemente stabilire l’obbiettivo dell’offerta di moneta”, oppure “avremmo avuto una inflazione fuori controllo se non fosse che le banche, per qualche ragione, avessero aumentato le riserve in eccesso – chi lo poteva prevedere?”

Cosicché, un gran rimuginare su una questione fondamentalmente semplice. E dunque, per allargarmi e in qualche modo investire l’autorità di Upton Sinclair, è difficile fare in modo che una persona capisca qualcosa quand’egli ha forti incentivi, che possono essere ideologici o magari anche finanziari, per non capirla.

 

[1] Milton Friedman, capostipite della ‘scuola monetarista’ e premio Nobel nel 1976, è più noto. Anna Jacobson Schwartz (1915-2012) fu una importante economista americana, che con Friedman scrisse Una storia monetaria degli Stati Uniti dal 1867 al 1960, che venne pubblicato nel 1963 ed è di solito ricordato per aver principalmente attribuito la responsabilità della Grande Depressione degli anni ’30 alla inerte politica monetaria della Fed. Una tesi, appunto che non considerava le particolari condizioni di una situazione caratterizzata da una ‘trappola di liquidità’.

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[2] Si veda, ad esempio, questa tabella – e più in generale l’intero post pubblicato da Krugman il 19 marzo 2014, col titolo “Nessuno l’avrebbe potuto prevedere, versione monetaria” – che è appunto relativa ai diversi andamenti della base monetaria e dell’aggregato M2:

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A quel post, avevo aggiunto la seguente nota esplicativa che può servire anche in questa occasione: “ll confronto mostra come anche negli anni Trenta non vi fosse stata alcuna corrispondenza tra l’andamento della base monetaria (linea continua)– che indica, oltre alla moneta legale (banconote e monete metalliche che debbono essere accettate per legge come pagamenti, e le attività finanziarie convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, costituite da passività della banca centrale verso le banche (e, in certi paesi, anche verso altri soggetti) – e l’aggregato finanziario definito M2 (linea tratteggiata), che indica, oltre alla cosiddetta liquidità primaria (banconote e monete in circolazione ed i depositi di conti correnti trasferibili a vista tramite assegni, ma non le banconote e le monete depositate e dunque non in circolazione), anche  la liquidità secondaria, ovvero anche tutte le altre attività finanziarie con elevata liquidità e certezza futura di valore (depositi bancari e di altro tipo).  In pratica, la prima è la base monetaria virtualmente esistente, la seconda la base monetaria effettivamente utilizzata”.

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