May 8 4:14 pm
My new office at the CUNY Graduate Center is small — so is my Princeton office, but it has more shelf space, not to mention enough books stacked on the floor to get me warnings from the fire marshal. So I’m culling my three-and-a-half decade collection drastically. ( …. )
Many of the books I’m keeping are old conference volumes; for the most part, when I pick them up and wonder where they came from, it turns out that there’s a paper of mine inside. Either I had forgotten where that piece was published, or I had forgotten even writing it; if you’re a young academic reading this, trust me, it will happen to you.
Anyway, many of the forgotten conferences were about the Asian financial crisis of the 1990s, and when I look at my own papers, I see the elaboration of a basic theme. The crisis, I and others declared, was largely about debt, leverage, and balance sheets. There was compelling reason, we said, to believe that these factors created multiple equilibria, with self-fulfilling panic a real possibility. And in a couple of places I suggested that while the Asian crisis crucially involved exchange rates and debt in foreign currencies, essentially similar stories could unfold involving other asset prices.
So you can see why I bristle a bit at suggestions that economists don’t understand the possible role of nonlinearities, of multiple equilibria, of animal spirits, etc. etc.. I wrote so much about all that that I can’t even remember writing it!
And so I anticipated and predicted the actual crisis of 2008, right? Wrong. I had all the intellectual tools I needed, I even diagnosed a housing bubble, but I somehow failed to put the pieces together. Maybe I wasn’t as completely surprised as people who believed in the inherent stability of modern economies, and I caught on fast once the thing happened, but no, I didn’t see it coming.
Is there a moral here? I think it is that the world is a very complicated place, and it’s way too easy to miss what you should see even if your analytical framework is pretty decent. For me, at least, the great crisis came as a surprise but not a shock, something I didn’t see coming but not a deep problem for my sense of how the world works. Still, I do wish I’d paid more attention to the right things.
Quello che mi è sfuggito (personale e autoreferenziale)
Il mio nuovo ufficio presso il Graduate Center dell’Università di New York City è piccolo – così come il mio ufficio a Princeton, ma esso ha più spazio per scaffali, per non dire di un tal numero di libri sul pavimento da procurarmi rimproveri da parte del comandante dei vigili del fuoco. Cosicché sto abbattendo drasticamente la mia collezione trentacinquennale. (…..)
Molti dei libri che prendo in mano sono vecchi volumi di conferenze; per la maggior parte, quando li scelgo e mi chiedo da dove vengano, scopro che sono un documento della mia storia personale. Mi sono scordato dove gli articoli vennero pubblicati, oppure ho dimenticato persino di averli scritti; se siete un giovane docente universitario e leggete queste mie note, credetemi, succederà anche a voi.
In ogni modo, molte delle conferenze dimenticate riguardavano la crisi finanziaria asiatica degli anni ’90, e quando guardo i miei articoli accademici, vedo l’elaborazione di un tema di fondo. La crisi, ho dichiarato assieme ad altri, dipese ampiamente dal debito, dal rapporto di indebitamento e dagli equilibri patrimoniali. C’erano ragioni convincenti, dicevamo, per credere che questi fattori determinavano equilibri multipli, ed una reale possibilità di una crisi di panico che si auto avvera. E in un paio di occasioni suggerii che mentre la crisi asiatica riguardava i tassi di scambio e il debito in valuta straniera, storie essenzialmente simili potevano accadere coinvolgendo i prezzi degli asset.
Potete dunque vedere per quale ragione vado un po’ in collera quando leggo che gli economisti non capiscono il ruolo possibile delle non linearità, degli equilibri multipli, degli spiriti animali [1] etc. etc. Ho scritto talmente tanto su cose del genere, che non mi ricordo neppure d’averlo scritto!
E dunque, avevo anticipato e previsto l’effettiva crisi del 2008, giusto? Niente affatto. Avevo tutti gli strumenti intellettuali necessari, diagnosticai persino una bolla immobiliare, ma in qualche modo non riuscì a comporre i vari pezzi. Forse non fui completamente sorpreso come le persone che credevano nell’intrinseca stabilità delle economie moderne, e capii rapidamente una volta che accadde, ma no, non la vidi arrivare.
C’è una morale in tutto questo? Io penso che il mondo sia un posto molto complicato, ed è sin troppo facile non vedere quello che si sarebbe dovuto vedere persino se il vostro schema analitico è abbastanza decente. Nel mio caso almeno, la crisi giunse come una sorpresa ma non come un trauma, qualcosa che non avevo visto arrivare ma non un problema profondo per la mia percezione di come il mondo funziona. Eppure, vorrei davvero aver prestato più attenzione alle cose giuste.
[1] È la traduzione letterale di una espressione di Keynes, che in particolare indicava i comportamenti istintivi – in genere guidati dalla voglia di fare e dall’ansia di profitto – dei capitalisti (ovvero, qualcosa che andava messo nel conto, pur non essendo del tutto spiegabile con una analisi formale).
By mm
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