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Spiegando l’eccezionalismo dell’ineguaglianza negli Stati Uniti (dal blog di Krugman, 4 maggio 2015)

 

Explaining US Inequality Exceptionalism

May 4, 2015 5:06 pm

 

Disposable income in the United States is more unequally distributed than in most other advanced countries. But why? The answer to that question has important implications for our understanding of inequality more generally, and also for policies intended to reduce inequality. And new work by my colleagues Janet Gornick and Branko Milanovic at the CUNY Graduate Center’s Luxembourg Income Study Center shed light on the question, partly overturning what all of us believed until recently. They explain their findings in the first Research Brief in a new series launched on the LIS Center website.

The standard story up until now has been that the source of US inequality exceptionalism lies in the unusually low amount of redistribution we do through our tax and transfer system. Figure 1, based on LIS data, shows Gini coefficients before and after taxes and transfers for a number of advanced economies. The US after-tax-after-transfer Gini is the highest of the group, but its pre-tax-pre-transfer Gini – the inequality of market income – isn’t all that special. What this figure suggests, then, is that it’s all about redistribution rather than about market inequality.

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But can this be right? We know that the US has unusually weak unions, a low minimum wage, an exceptionally wide skills premium and, of course, an exceptionally imperial one percent. Shouldn’t all this leave some mark on market income?

What Gornick and Milanovic realized (helped by suggestions from a number of colleagues, notably Larry Mishel at EPI) was that true US market inequality might be being masked by another exceptional piece of the US system – delayed retirement, causing many older households to have positive market income where comparable households in other countries have no or very little market income. Thus, putting all households together and looking at their pre-tax-pre-transfer income inequality makes other countries’ distributions appear comparatively more unequal because people in other countries are more likely to retire earlier than in the US (and hence have zero or low market income).

To correct for this possible problem, they recalculated the numbers for households containing only persons under age 60, getting Figure 2. The US remains the most unequal nation (after taxes and transfers), but now a main driver of that inequality is market inequality. In this figure, the US (along with Ireland and the UK) has market income inequality substantially higher than the rest of the countries. In other words, it is the distribution of wages and income from capital, independent of the fiscal system, that makes the US comparatively unequal. Indeed, America also does less redistribution than several other rich countries, European countries in particular, so that’s still part of the story, but it’s not the whole story or even most of it.

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This result has strong relevance to policy debates. There has been considerable discussion lately of the “new” conventional wisdom on labor which argues that interventions to strengthen workers’ bargaining power can reduce inequality and raise wages with little or no damage to the economy. If it were really true that all international differences in inequality were due to after-market, tax-and-transfer interventions, this would cast doubt on the new view. But it turns out that market income distributions differ quite a lot – and the US emerges as among the most unequal.

So this is an important new result.

 

 

 

Spiegando l’eccezionalismo dell’ineguaglianza negli Stati Uniti

Il reddito disponibile negli Stati Uniti è distribuito più inegualmente della maggioranza degli altri paesi avanzati. Ma perché? La risposta a tale domanda ha implicazioni importanti per la nostra comprensione più in generale dell’ineguaglianza, ed anche per le politiche rivolte a ridurre l’ineguaglianza. Ed un nuovo lavoro dei miei colleghi Janet Gornik e Branko Milanovic, presso il Luxembourg Income Study Center [1] del Graduate Center dell’Università di New York, porta luce su quella domanda, parzialmente rovesciando quello che si credeva sino a non molto tempo fa. Essi spiegano le loro scoperte nella prima ‘sintesi della ricerca’ in una nuova serie cui ha dato il via il sito web del LIS Center.

Il racconto tradizionale sino ad adesso è stato che la fonte dell’eccezionalismo statunitense dell’ineguaglianza si basava su una quantità di redistribuzione inusualmente bassa che noi mettiamo in atto attraverso il nostro sistema fiscale e dei trasferimenti. La Figura 1, basata sui dati LIS, mostra i coefficienti Gini [2] prima e dopo le tasse ed i trasferimenti per un certo numero di economie avanzate. Il coefficiente Gini, dopo le tasse e dopo i trasferimenti, è il più alto del gruppo, ma il coefficiente prima delle tasse e prima dei trasferimenti – l’ineguaglianza dei redditi di mercato – non è affatto così particolare. Quella figura indica dunque che i risultati sono interamente relativi alla redistribuzione, piuttosto che alla ineguaglianza di mercato [3].

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Ma come può essere giusto tutto questo? Noi sappiamo che gli Stati Uniti hanno sindacati particolarmente deboli, un salario minimo basso, un premio alle competenze professionali eccezionalmente ampio, e, naturalmente, un uno-per-cento dei più ricchi eccezionalmente regale. Non dovrebbe tutto questo lasciare qualche segno sui redditi di mercato?

Quello che Gornik e Milanovic hanno compreso (aiutati da indicazioni da parte di un certo numero di colleghi, in particolare da Larry Mishel dell’Economic Policy Institute) è stato che la vera ineguaglianza del mercato degli Stati Uniti potrebbe essere mascherata da un’altra eccezionale componente del sistema statunitense – i pensionamenti ritardati, che consentono alle famiglie più anziane di avere redditi positivi di mercato, mentre famiglie paragonabili in altri paesi non hanno redditi di mercato, o li hanno molto modesti. Quindi, mettere assieme tutte le famiglie e osservare la loro ineguaglianza di reddito precedente alle tasse ed ai trasferimenti, fa sembrare le distribuzioni negli altri paesi più ineguale nel confronto, giacché è più probabile che negli altri paesi le persone vadano in pensione prima che negli Stati Uniti (e di conseguenza abbiano redditi di mercato pari a zero).

Per correggere questo possibile problema, essi hanno ricalcolato i dati per le famiglie che contengono soltanto persone sotto i 60 anni, ottenendo la Figura 2. Gli Stati Uniti (dopo le tasse ed i trasferimenti), restano la nazione più ineguale, ma adesso un principale fattore di tale ineguaglianza è l’ineguaglianza di mercato. In questa figura, gli Stati Uniti (assieme all’Irlanda ed al Regno Unito) hanno un’ineguaglianza dei redditi di mercato sostanzialmente più elevata che nel resto dei paesi. In altre parole, è la distribuzione die salari e dei redditi da capitale, indipendente dai meccanismi della finanza pubblica, che rendono gli Stati Uniti comparativamente ineguali. In effetti, l’America opera minore redistribuzione di vari altri paesi ricchi, dei paesi europei in particolare, cosicché questo è ancora un aspetto della storia, ma non è e neppure gran parte di essa.

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Questo risultato ha un grande rilievo per la discussione politica. C’è stato di recente un notevole dibattito sul “nuovo” convincimento convenzionale [4] in materia di lavoro, che sostiene che gli interventi per rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori può ridurre l’ineguaglianza ed elevare i salari con poco o nessun danno per l’economia. Se fosse effettivamente vero che tutte le differenze internazionali sull’ineguaglianza fossero derivate dagli interventi fiscali e dai trasferimenti successivi al mercato, questo getterebbe un dubbio su quel nuovo punto di vista. Ma si scopre che le distribuzioni dei redditi di mercato sono molto diverse – e che gli Stati Uniti emergono tra i più ineguali.

Dunque, si tratta di un importante nuovo risultato.

 

 

[1] Una associazione di ricerca con sede in Lussemburgo, articolata su due principali database, uno relativo al reddito e l’altro relativo ai temi della salute. Ha due direttori: Markus Jäntti, Professore di Economia all’Istituto Svedese di ricerche sociali dell’Università di Stoccolma, e Janet Gornik, professoressa di Scienze Politiche e di Sociologia, e direttrice, oltre che della Lis con sede in Lussemburgo, del Graduate Center della Università di New York.

[2] Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo. Si può incontrare la notazione con indice di Gini espresso in percentuale (0% – 100%), ovvero anche tra 0 e 100.(Wikipedia)

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[3] Nella Figura i segmenti blu indicano i coefficienti Gini dopo le tasse ed i trasferimenti, e come si vede sono i più elevati, ovvero – secondo quanto spiegato nella nota precedente – i più ineguali. I coefficienti espressi dalla linea celeste sono invece relativi alla situazione precedente alle tasse ed ai trasferimenti, e si nota che il dato statunitense non è così eccezionale, inferiore al Regno Unito e quasi identico alla Germania ed alla Francia.

[4] L’espressione relativa ad un “nuovo” senso comune in materia di lavoro, titola un intervento in connessione di Mary Beth Maxwell.

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