Anatomia dei pensieri unici
Provo a ripercorrere alcune delle informazioni e delle idee che vengono dai testi tradotti negli ultimi mesi sulla Grecia, e a metterle a confronto con il prevalente giudizio di buona parte dei media e della politica nazionale ed europea sulla ‘irresponsabilità’ e ‘inaffidabilità’ dei governanti greci (è il “pensiero unico” in voga in queste settimane), facendomi guidare da una domanda che non mi pare troppo ingenua: quale logica dovrebbe seguire un ragionamento su un paese in profonda crisi economica – la disoccupazione giovanile al 60 per cento! – e con un onere del debito che tutti riconoscono sproporzionato alle sue possibilità? Insomma, di cosa si sta parlando?
Credo che due semplici domande dovrebbero essere giudicate da tutti preliminari ad ogni ragionamento sensato (a dire il vero, le domande sono talmente semplici da rasentare la stupidità, ma è quello che mi propongo di illustrare; ovvero l’insidia maggiore nei ‘pensieri unici’ è esattamente la stupidità, perché solo ragionando in modo stupido si creano quelle condizioni di opacità che deformano il buon senso e, a seguire, anche il metodo democratico).
Ecco le domande:
1 – Perché c’è bisogno di un nuovo accordo, visto che ce n’era già uno nel 2010, peraltro modificato nel 2012? Forse in questi ultimi anni, la condizione dell’economia greca è peggiorata? E se è peggiorata, perché è successo, nonostante gli aiuti?
2 – È stata attuata una politica di austerità finalizzata ad ottenere una qualche regolarità nella restituzione dei debiti? Forse quella politica è stata inferiore rispetto a quella messa in atto da altri paesi debitori, e questo spiega il mancato recupero di competitività e l’aggravarsi della crisi dell’economia greca? O invece è stata proprio quella austerità che ha fatto crollare l’economia greca e dunque ha provocato il collasso su ogni ipotesi di restituzione del debito?
Se si esamina il ‘pensiero unico’ oggi in voga, si deve riconoscere che esso non prevede domande di questo genere. Il Presidente della Commissione Europea Juncker ha tenuto un comizio su scala continentale, basandosi su una premessa: che non ci sia alcun particolare collasso economico da analizzare. Per lui la Grecia non è un paese al collasso, è semplicemente un paese che ha debiti. Il nostro Presidente del Consiglio, in modo del tutto simile, ritiene che il tratto distintivo della politica greca sia “l’ostinazione”, non la disperazione.
Ora, alla prima domanda si potrebbe rispondere: “che la situazione economica greca sia peggiorata nessuno lo nega”. Ma si dovrebbe aggiungere: “però in pochi ne parlano”. E quasi nessuno ne parla in relazione alle previsioni che sorreggevano l’accordo inziale del 2010; questo aspetto è praticamente oggetto di censura. La tabella sottostante, di recente ripubblicata da Krugman nel post del 25 giugno scorso, mostra quale è stato (linea rossa) l’andamento effettivo del PIL reale greco dal 2009 al 2014, e quale andamento fosse stato previsto dal Fondo Monetario Internazionale a sostegno della politica di austerità che venne imposta dalla troika nel 2010 (linea blu).
Secondo le previsioni del FMI, dunque, ad oggi la Grecia avrebbe dovuto ricollocarsi a livelli di produzione di beni e servizi pari a quelli del 2009, e si sarebbe dovuto iniziare ad interrompere il declino a partire dal 2011. Come si vede, da anni la situazione del PIL è precipitata e poi è rimasta stabile ad un livello di PIL del 20 per cento inferiore a quello di partenza. (Tra parentesi, il FMI ha riconosciuto in questi anni che le previsioni sbagliate erano esattamente dipese da un errore nella valutazione degli effetti della austerità. Si pensava che un euro di austerità provocasse una diminuzione di un euro di PIL, mentre c’era un notevole effetto di moltiplicatore che si era ignorato).
La situazione è dunque enormemente peggiorata, proprio a partire dalle misure economiche decise e imposte nel 2010; se si fossero attuate le previsioni del FMI Syriza probabilmente non sarebbe al Governo, la Grecia non sarebbe in depressione, non ci sarebbe stato alcun bisogno di modificare quegli accordi.
Ma, forse, l’austerità in Grecia è stata minore di quello che sarebbe stato necessario? Forse la Grecia non ha voluto praticare l’austerità in modo conseguente, forse continua a permettersi salari che impediscono un recupero di produttività ed una ripresa? Non sono questi i rimproveri che le vengono mossi, in particolare da parte di alcuni Governi di destra di paesi debitori che in queste settimane si sono spesso prestati a fare da argomento alla linea negoziale della Germania e degli altri paesi creditori? Gli esempi luminosi dell’Irlanda, della Lettonia e della Spagna, a fronte della supposta perdurante irresponsabilità greca?
Esaminiamo queste tre altre tabelle: pubblicate nei post di Krugman del 17 febbraio, del 19 aprile e del 19 giugno.
Anzitutto l’andamento della spesa pubblica al netto degli interessi nel periodo dal 2007 al 2014:
Come si vede, tra i sacrifici della Grecia e quelli di altri paesi creditori non c’è confronto. Il peso della austerità greca è anche chiaramente visibile da questa sintesi sull’equilibrio del bilancio primario greco (ancora al netto degli interessi), che era precipitato negli anni 2006-2009, ed è risalito di circa venti punti dal 2009 al 2014 (in questo caso, risalire significa fare sacrifici).
E infine il confronto tra l’andamento dei costi del lavoro in Grecia (linea blu) e in Spagna (linea rossa):
Anche qua non c’è confronto: il costo relativo del lavoro in Grecia (relativo rispetto alla media dell’area euro) è crollato di 35 punti, sette volte di più di quello spagnolo.
Dunque: sarebbero sufficienti queste quattro tabelle per stabilire sensatamente di cosa si sta parlando. L’austerità che ha accentuato le difficoltà in tutta Europa, che ha deciso gli andamenti diversi dell’Europa e degli Stati Uniti, che ha in modo impressionante vulnerato i paesi più deboli, ha provocato un effetto distruttivo sulla società greca. Si sta parlando di questo. E quello che si comprende dal testo di accordo sul quale gli elettori greci sono chiamati a votare è che l’Europa continua a ritenere che la Grecia in due anni debba realizzare un avanzo primario di bilancio di 3,5 punti, il che significa – non essendo alle viste alcun miracolo – che l’austerità deve proseguire con intensità anche maggiore. L’altra cosa che si capisce è che, se deve essere la troika a decidere l’IVA sui farmaci o gli sgravi sui carburanti agricoli da tagliare, tanto varrebbe aggiungere che le istituzioni della democrazia greca sono soppresse sino a data da precisare.
Dunque, non si sta neanche parlando della crisi generale di questi anni , ma della eccezionale crisi greca, che forse non ha precedenti nella storia moderna. Si sta parlando delle eventualità che i paesi creditori riconoscano che quella crisi rischia di provocare una cancrena in un paese membro della civilissima Europa. Si sta parlando delle eventualità che i paesi creditori ammettano che la moneta unica, in questi anni di crisi, abbia comportato un prezzo immenso per i più deboli ed un regalo immenso per i più forti. Si sta dunque decidendo se l’Europa possa continuare a reputarsi civile, consentendo che la Grecia vada ancora più a fondo. Oppure se si debba riconoscere che quel paese non può portare al collo un cappio quale quello che gli è stato imposto. E, certo, si sta anche parlando di quale mai Europa si possa pensare di riformare, con una premessa del genere.
Sapendo che essere tutti parte di un’area valutaria comune, comporta per ciascuno un prezzo. Per il paese vicino al tracollo irrimediabile il prezzo di non poter svalutare la propria moneta; se la Grecia lo avesse fatto la sua economia sarebbe senza alcun dubbio in condizioni non paragonabili. Per i paesi più forti, l’obbligo di considerare che l’arto che sta andando in cancrena fa parte del loro stesso corpo. Ogni patto futuro per l’Europa parte da qua, dalla ammissione di questa semplice regola.
In realtà, forse la cosa più triste da constatare è che ai greci si chiede, in fondo, di andare a votare anche per noi.
By mm
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