Articoli sul NYT

Democratici che sono democratici, di Paul Krugman (New York Times 15 giugno 2015)

 

Democrats Being Democrats

JUNE 15, 2015

Paul Krugman

z 584

 

 

 

 

 

 

 

 

On Friday, House Democrats shocked almost everyone by rejecting key provisions needed to complete the Trans-Pacific Partnership, an agreement the White House wants but much of the party doesn’t. On Saturday Hillary Clinton formally began her campaign for president, and surprised most observers with an unapologetically liberal and populist speech.

These are, of course, related events. The Democratic Party is becoming more assertive about its traditional values, a point driven home by Mrs. Clinton’s decision to speak on Roosevelt Island. You could say that Democrats are moving left. But the story is more complicated and interesting than this simple statement can convey.

You see, ever since Ronald Reagan’s election in 1980, Democrats have been on the ideological defensive. Even when they won elections they seemed afraid to endorse clearly progressive positions, eager to demonstrate their centrism by supporting policies like cuts to Social Security that their base hated. But that era appears to be over. Why?

Part of the answer is that Democrats, despite defeats in midterm elections, believe — rightly or wrongly — that the political wind is at their backs. Growing ethnic diversity is producing what should be a more favorable electorate; growing tolerance is turning social issues, once a source of Republican strength, into a Democratic advantage instead. Reagan was elected by a nation in which half the public still disapproved of interracial marriage; Mrs. Clinton is running to lead a nation in which 60 percent support same-sex marriage.

At the same time, Democrats seem finally to have taken on board something political scientists have been telling us for years: adopting “centrist” positions in an attempt to attract swing voters is a mug’s game, because such voters don’t exist. Most supposed independents are in fact strongly aligned with one party or the other, and the handful who aren’t are mainly just confused. So you might as well take a stand for what you believe in.

But the party’s change isn’t just about politics, it’s also about policy.

On one side, the success of Obamacare and related policies — millions covered for substantially less than expected, surprisingly effective cost control for Medicare — have helped to inoculate the party against blanket assertions that government programs never work. And on the other side, the Davos Democrats who used to be a powerful force arguing against progressive policies have lost much of their credibility.

I’m referring to the kind of people — many, though not all, from Wall Street — who go to lots of international meetings where they assure each other that prosperity is all about competing in the global economy, and that this means supporting trade agreements and cutting social spending. Such people have influence in part because of their campaign contributions, but also because of the belief that they really know how the world works.

As it turns out, however, they don’t. In the 1990s the purported wise men blithely assured us that we had nothing to fear from financial deregulation; we did. After crisis struck, thanks in large part to that very deregulation, they warned us that we should be very afraid of bond investors, who would punish America for its budget deficits; they didn’t. So why believe them when they insist that we must approve an unpopular trade deal?

And this loss of credibility means that if Mrs. Clinton makes it to the White House she’ll govern very differently from the way her husband did in the 1990s.

As I said, you can describe all of this as a move to the left, but there’s more to it than that — and it’s not at all symmetric to the Republican move right. Democrats are adopting ideas that work and rejecting ideas that don’t, whereas Republicans are doing the opposite.

And no, I’m not being unfair. Obamacare, which was once a conservative idea, is working better than even supporters expected; so Democrats are committed to defending its achievements, while Republicans are more fanatical than ever in their efforts to destroy it. Modestly higher taxes on the wealthy haven’t hurt the economy, while promises that tax cuts will have magical effects have proved disastrously wrong; so Democrats have become more comfortable with a modest tax-and-spend agenda, while Republicans are more firmly in the grip of tax-cutting cranks than ever. And so on down the line.

Of course, changes in ideology matter only to the extent that they can influence policy. And while the electoral odds probably favor Mrs. Clinton, and Democrats could retake the Senate, they have very little chance of retaking the House. So changes in the Democratic Party may take a while to change America as a whole. But something important is happening, and in the long run it will matter a great deal.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Democratici che sono democratici, di Paul Krugman

New York Times 15 giugno 2015

Venerdì, i democratici della Camera hanno stupito quasi tutti respingendo alcune previsioni cruciali necessarie per completare il Partenariato del Trans Pacifico, un accordo voluto dalla Casa Bianca ma non da larga parte di quel partito. Sabato Hillary Clinton ha iniziato la sua campagna per la Presidenza, ed ha sorpreso la maggioranza degli osservatori con un discorso progressista e ‘populista’ [1] privo di complessi.

Si tratta, naturalmente, di eventi che hanno una relazione. Il Partito Democratico sta diventando più risoluto nei suoi valori tradizionali, un aspetto reso ben chiaro dalla decisione della signora Clinton di parlare a Roosevelt Island [2]. Si potrebbe dire che i Democratici si stanno spostando a sinistra. Ma la storia è più complicata e interessante di quanto questo semplice giudizio potrebbe far comprendere.

Vedete, sin dalla elezione di Ronald Reagan nel 1980, i democratici sono stati ideologicamente sulla difensiva. Anche quando vincevano le elezioni, sembravano timorosi di sostenere chiaramente posizioni progressiste, ansiosi di sostenere il loro centrismo nell’appoggiare politiche come i tagli alla Previdenza Sociale, che la loro base odiava. Ma quell’epoca sembra tramontata. Perché?

In parte la risposta dipende dal fatto che i democratici, nonostante le sconfitte nelle elezioni di medio termine, credono – a ragione o a torto – di avere, in termini politici, il vento in poppa. La crescente diversità etnica sta producendo quello che dovrebbe essere un elettorato più favorevole; la crescente tolleranza sta trasformando le tematiche sociali, che una volta erano punto di forza per i repubblicani, piuttosto in un vantaggio per i democratici. Reagan fu eletto da una nazione nella quale la metà dell’opinione pubblica ancora disapprovava i matrimoni interraziali; la signora Clinton è in corsa per guidare una nazione nella quale il 60 per cento è a favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Nello stesso tempo, i democratici sembrano finalmente aver arruolato alcuni scienziati della politica che da anni ci vengono raccontando che adottare posizioni “centriste” nel tentativo di attrarre gli elettori oscillanti è un gioco da fessi, perché quell’elettorato non esiste. Di fatto, la maggioranza dei presunti indipendenti è fortemente allineata con un partito o con l’altro, e quei pochi che non lo sono, sono soltanto confusi. Dunque dovreste davvero prendere posizione per ciò in cui credete.

Ma il cambiamento del partito non riguarda soltanto i rapporti politici, riguarda anche il programma.

Da una parte, il successo della riforma sanitaria di Obama e le politiche connesse – milioni di persone assicurate per un costo sostanzialmente inferiore al previsto, un controllo dei costi sorprendentemente efficace nel caso di Medicare – hanno contribuito a vaccinare il partito contro i giudizi generalizzati secondo i quali i programmi del Governo non funzionano mai. E d’altra parte, i ‘democratici alla Davos’, che di solito erano una forza potente schierata contro politiche progressiste, hanno perso molta della loro credibilità.

Mi sto riferendo a quel genere di persone – molte delle quali, sebbene non tutte, provenienti da Wall Street – che vanno ad un mucchio di convegni internazionali nei quali si assicurano l’uno con l’altro che la prosperità consiste tutta nel competere nell’economia globale, e che questo comporta sostenere gli accordi commerciali e tagliare le spese sociali. Tali persone hanno influenza in parte in conseguenza dei loro contributi elettorali, ma anche per la loro convinzione di sapere per davvero come gira il mondo.

Si scopre, tuttavia, che non lo sanno. Negli anni ’90 quei presunti saggi individui ci assicuravano spensieratamente che non avevamo niente da temere dalla deregolamentazione del sistema finanziario; e invece era il caso. Dopo che la crisi scoppiò, in gran parte a seguito proprio di quella deregolamentazione, ci misero in guardia che dovevamo avere molta paura degli investitori di bond, che avrebbero punito l’America per i suoi deficit di bilancio; e non avvenne. Perché dunque dobbiamo creder loro quando ci ripetono che dobbiamo approvare un accordo commerciale assai impopolare?

E questa perdita di credibilità significa che se la signora Clinton arriverà alla Casa Bianca, governerà in modo assai diverso da come fece suo marito negli anni ’90.

Come ho detto, si può descrivere tutto questo come uno spostamento a sinistra, ma c’è di più – e non è affatto simmetrico allo spostamento verso destra dei repubblicani. I democratici stanno adottando idee che funzionano e respingendo idee che non funzionano, mentre i repubblicani stanno facendo l’opposto.

E così dicendo non sono ingiusto. La riforma sanitaria di Obama, che un tempo era un’idea dei conservatori, sta operando meglio di quanto i suoi sostenitori si aspettassero; cosicché i democratici sono impegnati nel difendere le sue realizzazioni, mentre i repubblicani sono più fanatici che mai nei loro sforzi per distruggerla. Tasse modestamente più alte sui ricchi non hanno danneggiato l’economia, mentre le promesse che gli sgravi fiscali avrebbero avuto effetti magici si sono dimostrate disastrosamente sbagliate; dunque i democratici sono sempre di più in sintonia con un modesto programma di tassazioni e di spesa pubblica, mentre i repubblicani sono più rigidamente che mai sotto l’influenza dei ciarlatani degli sgravi fiscali. E lo stesso si può dire del resto.

Naturalmente, i cambiamenti di natura ideologica contano soltanto nella misura in cui possono influenzare la politica. E mentre si può ritenere che le probabilità elettorali siano a favore della Clinton e che i democratici potrebbero riconquistare il Senato, hanno davvero poche possibilità di riconquistare la Camera. Dunque, i cambiamenti nel Partito Democratico potranno richiedere del tempo per cambiare l’America nel suo complesso. Ma sta accadendo qualcosa di importante, e nel lungo periodo conterà molto.

 

 

 

[1] Abbiamo varie volte notato – ed ora lo fanno anche alcuni corrispondenti dall’America – l’interessante significato non negativo che il termine ‘populist’ ha nel linguaggio politico americano. “Populist” significa semplicemente qualcosa che è vicino ai bisogni e in particolare al modo di sentire del popolo, appunto senza complessi. Forse la soluzione migliore è tradurlo letteralmente e metterlo tra virgolette.

[2] Roosevelt Island è una sottile striscia di terra sull’East River di New York City, in mezzo tra la grande isola di Manhattan (di cui fa parte) ad occidente ed il quartiere di Queens sulla Long Island ad oriente. Credo che il significato della scelta della Clinton dipende esclusivamente dal nome dell’isola, che peraltro contiene un Parco pubblico denominato il “Parco della Quattro Libertà di Roosevelt”.

 

z 772

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"