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Economia voodoo, nello stile di “Jeb!” (New York Times 19 giugno 2015)

 

Voodoo, Jeb! Style

JUNE 19, 2015

Paul Krugman

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On Monday Jeb Bush — or I guess that’s Jeb!, since he seems to have decided to replace his family name with a punctuation mark — finally made his campaign for the White House official, and gave us a first view of his policy goals. First, he says that if elected he would double America’s rate of economic growth to 4 percent. Second, he would make it possible for every American to lose as much weight as he or she wants, without any need for dieting or exercise.

O.K., he didn’t actually make that second promise. But he might as well have. It would have been just as realistic as promising 4 percent growth, and considerably less irresponsible.

I’ll get to Jeb!onomics in a minute, but first let me tell you about a dirty little secret of economics — namely, that we don’t know very much about how to raise the long-run rate of economic growth. Economists do know how to promote recovery from temporary slumps, even if politicians usually refuse to take their advice. But once the economy is near full employment, further growth depends on raising output per worker. And while there are things that might help make that happen, the truth is that nobody knows how to conjure up rapid productivity gains.

Why, then, would Mr. Bush imagine that he is privy to secrets that have evaded everyone else?

One answer, which is actually kind of funny, is that he believes that the growth in Florida’s economy during his time as governor offers a role model for the nation as a whole. Why is that funny? Because everyone except Mr. Bush knows that, during those years, Florida was booming thanks to the mother of all housing bubbles. When the bubble burst, the state plunged into a deep slump, much worse than that in the nation as a whole. Taking the boom and the slump together, Florida’s longer-term economic performance has, if anything, been slightly worse than the national average.

The key to Mr. Bush’s record of success, then, was good political timing: He managed to leave office before the unsustainable nature of the boom he now invokes became obvious.

But Mr. Bush’s economic promises reflect more than self-aggrandizement. They also reflect his party’s habit of boasting about its ability to deliver rapid economic growth, even though there’s no evidence at all to justify such boasts. It’s as if a bunch of relatively short men made a regular practice of swaggering around, telling everyone they see that they’re 6 feet 2 inches tall.

To be more specific, the next time you encounter some conservative going on about growth, you might want to bring up the following list of names and numbers: Bill Clinton, 3.7; Ronald Reagan, 3.4; Barack Obama, 2.1; George H.W. Bush, 2.0; George W. Bush, 1.6. Yes, that’s the last five presidents — and the average rate of growth of the U.S. economy during their time in office (so far, in Mr. Obama’s case). Obviously, the raw numbers don’t tell the whole story, but surely there’s nothing in that list to suggest that conservatives possess some kind of miracle cure for economic sluggishness. And, as many have pointed out, if Jeb! knows the secret to 4 percent growth, why didn’t he tell his father and brother?

Or consider the experience of Kansas, where Gov. Sam Brownback pushed through radical tax cuts that were supposed to drive rapid economic growth. “We’ll see how it works. We’ll have a real live experiment,” he declared. And the results of the experiment are now in: The promised boom never arrived, big deficits did, and, despite savage cuts to schools and other public services, Kansas eventually had to raise taxes again (with the pain concentrated on lower-income residents).

Why, then, all the boasting about growth? The short answer, surely, is that it’s mainly about finding ways to sell tax cuts for the wealthy. Such cuts are unpopular in and of themselves, and even more so if, like the Kansas tax cuts for businesses and the affluent, they must be paid for with higher taxes on working families and/or cuts in popular government programs. Yet low taxes on the rich are an overriding policy priority on the right — and promises of growth miracles let conservatives claim that everyone will benefit from trickle-down, and maybe even that tax cuts will pay for themselves.

There is, of course, a term for basing a national program on this kind of self-serving (and plutocrat-serving) wishful thinking. Way back in 1980, George H.W. Bush, running against Reagan for the presidential nomination, famously called it “voodoo economic policy.” And while Reaganolatry is now obligatory in the G.O.P., the truth is that he was right.

So what does it say about the state of the party that Mr. Bush’s son — often portrayed as the moderate, reasonable member of the family — has chosen to make himself a high priest of voodoo economics? Nothing good.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Economia voodoo, nello stile di “Jeb!” [1]

New York Times 19 giugno 2015

Lunedì Jeb Bush – o dovrei dir meglio “Jeb!”, dal momento che sembra aver deciso di rimpiazzare il suo cognome con un punto esclamativo – ha finalmente reso ufficiale la sua candidatura per la Casa Bianca, e ci ha offerto una prima visione dei suoi obbiettivi politici. In primo luogo, egli sostiene che se fosse eletto raddoppierebbe il tasso della crescita economica dell’America, portandolo al 4 per cento. In secondo luogo, farebbe in modo che ogni americano o americana possa perdere tutto il peso che vuole, senza alcun bisogno di diete o di esercizio fisico.

Diciamo la verità, la seconda promessa non l’ha fatta. Ma avrebbe potuto facilmente farla. Sarebbe stato altrettanto realistico che promettere una crescita del 4 per cento, e molto meno irresponsabile.

Verrò tra un attimo all’economia di “Jeb!”, ma consentitemi prima di raccontarvi un piccolo indicibile segreto sull’economia – vale a dire che non sappiamo granché su come si faccia ad aumentare il tasso di crescita dell’economia nel lungo periodo. Gli economisti sanno come promuovere la ripresa dalle recessioni temporanee, anche se gli uomini politici normalmente si rifiutano di usare i loro consigli. Ma una volta che l’economia è vicina alla piena occupazione, la crescita ulteriore dipende dall’aumentare la produzione per ogni lavoratore. E mentre ci sono cose che possono contribuire a fare in modo che questo accada, la verità è che nessuno sa come tirar fuori dal cilindro rapidi incrementi di produttività.

Perché, dunque, il signor Bush s’immagina di essere al corrente di segreti che sono sfuggiti a tutti gli altri?

Una risposta, che per la verità è qualcosa di spassoso, è che egli crede che la crescita nell’economia della Florida durante il suo periodo come Governatore offra un esempio modello per la nazione nel suo complesso. Perché è così spassoso? Perché, ad eccezione di Bush, tutti sanno che durante quegli anni la Florida fu in espansione grazie alla madre di tutte le bolle immobiliari. Quando la bolla scoppiò, lo Stato precipitò in una crisi profonda, molto peggiore di quella generale della nazione. Se si considerano assieme l’espansione e la crisi, l’andamento economico a più lungo termine della Florida è stato, semmai, leggermente peggiore della media nazionale.

La chiave nel successo della prestazione del signor Bush, dunque, fu un buon tempismo politico: egli fece in modo di lasciare il suo incarico prima che la natura insostenibile del boom che ora invoca diventasse evidente.

Ma la promesse economiche di Bush riflettono di più che non la vanagloria. Riflettono anche l’abitudine del suo partito nel vantarsi della propria capacità di promuovere una rapida crescita economica, pur non essendoci affatto alcuna prova che giustifichi tale vanteria. È come se un gruppo di persone relativamente basse andassero regolarmente in giro a darsi delle arie, raccontando a tutti quelli che incontrano di essere alti più di un metro e ottanta centimetri.

Per essere più precisi, la prossima volta che incontrate qualche conservatore che seguita con questa storia della crescita, potreste tirar fuori la lista seguente di nomi e di dati: Bill Clinton, 3,7; Ronald Reagan, 3,4; Barack Obama, 2,1; Bush padre, 2,0; Bush figlio, 1,6. Sì, sono gli ultimi cinque Presidenti – ed il tasso medio di crescita dell’economia degli Stati Uniti durante il periodo in cui sono stati in carica (nel caso di Obama, sino a questo punto). Ovviamente, i numeri grezzi non ci raccontano l’intera storia, ma di certo non c’è niente in quella lista che indichi che i conservatori posseggano un qualche genere di cura miracolosa per la fiacchezza dell’economia. E, come molti hanno sottolineato, se “Jeb!” conosce il segreto della crescita del 4 per cento, perché non lo raccontò a suo padre e a suo fratello?

Oppure si consideri l’esperienza del Kansas, dove il Governatore Sam Brownback ha fatto approvare radicali sgravi fiscali che si supponeva portassero ad una rapida crescita economica. “Vedremo come funziona. Avremo un vero esperimento dal vivo.”, aveva dichiarato. Ed ora ci sono il risultati dell’esperimento: il boom previsto non è arrivato, sono arrivati grandi deficit e, nonostante tagli selvaggi alle scuole e ad altri servizi pubblici, alla fine il Kansas ha dovuto di nuovo alzare le tasse (concentrando l’onere sui residenti con i redditi più bassi).

Perché, allora quelle vanterie sulla crescita? La risposta in breve, certamente, è che esse soprattutto dipendono dal trovare modi per fare accettare gli sgravi fiscali sui ricchi. Sgravi del genere sono impopolari di per sé, ed anche di più se, come nel caso degli sgravi fiscali del Kansas sulle imprese e sui benestanti, devono essere ripagati con tasse più elevate sulle famiglie dei lavoratori e/o con tagli sui programmi di governo apprezzati dalla gente. Tuttavia, le basse tasse sui ricchi sono la priorità politica primaria a destra – e le promesse di miracoli nella crescita consentono ai conservatori di sostenere che tutti ne trarranno benefici per effetto di una diffusione del benessere verso il basso [2], e forse persino che gli sgravi fiscali si ripagano da soli.

C’è una espressione che esprime questo fondare un programma nazionale su questo tipo di ottimismo a proprio uso e consumo (e ad uso e consumo dei plutocrati). Nel passato 1980, George H. W. Bush [3], in competizione con Reagan per la nomination presidenziale, la definì, con una espressione che divenne famosa, “una politica economica voodoo” [4]. E mentre di questi tempi l’idolatria di Reagan è diventata obbligatoria nel Partito Repubblicano, la verità è che Bush padre aveva ragione.

Dunque cosa ci dice sulla condizione del partito di Bush figlio – spesso dipinto come il componente moderato e ragionevole della famiglia – il fatto che egli abbia scelto di presentarsi come un alto sacerdote dell’economia voodoo? Niente di buono.

 

 

[1] Jeb Bush ha scelto il logo “Jeb!” per la sua campagna elettorale – pare gli sia stato consigliato dal suo nuovo consulente alla comunicazione come un modo per sottolineare il suo desiderio che l’attenzione non si concentri sul suo cognome e sulle precedenti prestazioni del Bush fratello. Quindi penso che per qualche mese, negli articoli di Krugman, ci dovremo abituare a trascriverlo nel modo suddetto, col punto esclamativo. E questa è una immagine del nuovo logo:

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[2] “Trickle down” significa “sgocciolare verso il basso”, ed è il termine con il quale sin dagli anni di Reagan si è giustificata la politica delle sgravi fiscali sui ricchi. Si raccontava che i vantaggi diretti dei ricchi avrebbero comportato maggiore crescita e, di conseguenza, una diffusione dei vantaggi verso il basso della scala sociale, ovvero alla fine uno “sgocciolamento” dei benefici anche sulla povera gente e sulle classi medie.

[3] Ovvero, Bush padre, che divenne Presidente degli Stati Uniti soltanto nel 1989. Ma partecipò alla convenzione repubblicani del 1980 in competizione con Reagan e in quella occasione venne sconfitto dal più popolare rivale. Reagan vinse successivamente il confronto elettorale con il candidato democratico Carter. Solo dopo il periodo reaganiano Bush padre conquistò la Presidenza, per perderla nel 1992, sconfitto da Bill Clinton.

[4] Ovvero, una politica economica basata sulla magia di una crescita che dovrebbe man mano diffondersi a tutti gli strati della società, e che mai si realizza.

 

 

 

 

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