June 10, 2015 6:17 am
While cleaning out my Princeton office, I became all too aware of the ephemeral nature of policy writing. A depressingly large share of the books on my shelves consisted of 30 years’ worth of books about the crucial decade ahead. Oh well. But as I added all those books to the giveaway pile, I found myself doing a bit of self-referential and maybe self-indulgent thinking, not about the decade ahead, but about the decade behind.
You see, it’s almost 10 years since I started writing about the financial crisis and the Great Recession. True, at first I didn’t know that that was what I was writing about; it began with the diagnosis of a housing bubble, whose bursting I knew would be bad but had no idea would be this bad. Still, there has been a pretty consistent arc, and I find myself thinking about what I got right and what I got wrong.
The starting point, as I said, was the housing bubble. I certainly wasn’t the first to warn on that front; Dean Baker, in particular, was both much earlier and much more forceful. Still, what I think of as my first crisis article did, I think, add value by pointing out the huge difference in price behavior between building-contrained states and others. If you looked at national averages, it was just possible to argue that prices made sense, but once you broke out the right subset of states and cities, the craziness stared you in the face. And the bifurcation was overwhelmingly confirmed in the years that followed:
Goldman Sachs
That was the beginning. Since then, what have I been right about and what have I been wrong about?
Things I got right
Things I got wrong
I’ve probably missed some things, although I do think it’s interesting how many of my critics feel the need to attack my record by inventing predictions and claims that I never made. Still, I think that’s the main stuff, and although I have definitely been fallible, I think I did OK — mainly because I never let fashionable worries divert me from basic macroeconomics, and always tried to apply the lessons of history.
Il decennio trascorso
Nel mentre svuotavo il mio ufficio di Princeton, divenivo sin troppo consapevole della natura effimera dello scrivere di politica. Una deprimente larga parte di ciò che avevo sui miei scaffali consisteva nel valore di trent’anni di libri sul cruciale decennio a venire. Pazienza. Ma mentre accatastavo tutti quei libri nel mucchio di cose da dar via, mi sono ritrovato a fare un po’ di pensieri autoreferenziali e forse auto indulgenti, non sul decennio a venire, ma sul decennio trascorso.
Vedete, sono passati quasi 10 anni dal momento in cui ho cominciato a scrivere della crisi finanziaria e della Grande Recessione. E’ vero, all’inizio non capivo che era quello ciò di cui stavo scrivendo; cominciò con una diagnosi di una bolla immobiliare, il cui scoppio sapevo che sarebbe stato negativo, ma non avevo idea che sarebbe stato così negativo. Eppure, c’è stato un tragitto abbastanza coerente, e mi ritrovo a pensare a quello che ho capito giustamente e a quello che ho sbagliato.
Il punto di partenza, come ho detto, fu la bolla immobiliare. Su quel fronte, non fui sicuramente il primo a lanciare ammonimenti; Dean Baker in particolare mi precedette e fu assai più efficace. Eppure ritengo che quello che penso fu il mio primo articolo sulla crisi, aveva un valore supplementare nel mettere in evidenza la vasta differenza nel comportamento dei prezzi tra gli Stati che avevano limitazioni nel costruire e quelli che non ne avevano. Se guardavate alle medie nazionali, era proprio possibile sostenere che i prezzi avevano un senso, ma una volta che venivate fuori dal corretto sottoinsieme degli Stati e delle città, la follia balzava davanti agli occhi. E la biforcazione venne confermata in modo schiacciante negli anni che seguirono [1]:
Goldman Sachs
Quello fu l’inizio. Da allora, cos’è che ho compreso correttamente e cosa ho sbagliato?
Le cose che ho compreso giustamente
1 – La bolla immobiliare: merita davvero di essere ricordato quanto fu grande la negazione della bolla e quanto fu guidata da fattori politici; mi procurai un bel po’ di affermazioni di questo genere “Dici che c’è una bolla soltanto perché odi Bush”.
2 – L’inflazione, o meglio la sua assenza: ho scritto molte volte a questo proposito, ma dopo lo scoppio della bolla fui un risoluto sostenitore del punto di vista secondo il quale le politiche espansive della Fed non costituivano nessun rischio inflazionistico. Ancora una volta questo era un tema di grandi dispute, con la destra pienamente convinta che l’inflazione fosse in arrivo ed alcuni a centro e a sinistra che su quel tema come minimo erano traballanti.
3 – I tassi di interesse: in quelle condizioni non ci sarebbe stato alcuno ‘spiazzamento’ [2]. Lo dissi con forza dall’inizio – e su questo tema ci fu un bel po’ di ondeggiamenti tra i democratici, con anche troppi di loro che presero per buoni i racconti sui pericoli del deficit anche in un’economia depressa.
4 I danni dell’austerità: un bel po’ di persone che avrebbero dovuto essere più giudiziose abboccarono alla ‘fata della fiducia’ [3], o almeno accettarono l’idea che i moltiplicatori [4] sarebbero stati abbastanza modesti; io mi espressi nelle condizioni correnti per grandi moltiplicatori, bilanciati poco o niente dalla fiducia, e le ricerche l’hanno confermato ed hanno fatto giustizia di quella posizione.
5 – Misure di sostegno inadeguate: misi in guardia, sin da subito e ripetutamente, che la Legge sulla Ripresa e sulle Misure di Reinvestimento negli Stati Uniti era grandemente inadeguata, e che la sua inadeguatezza avrebbe avuto conseguenze durature – per la sua insufficienza, essa avrebbe screditato l’intera idea delle misure di sostegno, nella misura in cui fosse dipeso dalla politica. Ahimè, avevo ragione.
6 – Il fatto che la ‘svalutazione interna’ è odiosa, brutale e dura a lungo: sostenni sin dall’inizio che correggere i prezzi relativi all’interno dell’area euro sarebbe stato estremamente difficile, dato che non esiste da nessuna parte quel genere di flessibilità dei salari e dei prezzi che renderebbe la ‘svalutazione interna’ agevole – e che i paesi capaci di portare a termine svalutazioni della valuta, come l’Islanda, avrebbero avuto tempi molto più facili.
7 – Il fatto che la riforma sanitaria di Obama potesse funzionare: un soggetto abbastanza diverso, ma nel mio libro di allora, “Coscienza di un liberal”, sostenni (in modo non originale) che un sistema quale quello della Legge sulla Assistenza Sostenibile basato sugli obblighi assicurativi, la regolamentazione ed i sussidi, che pure per nessuna ragione si penserebbe di costruire se si potesse partire da zero, avrebbe funzionato (io volevo l’opzione pubblicistica, ma questa è un’altra storia). In molti erano in disaccordo, sia dalla destra che prevedeva una ‘spirale fatale’ [5], sia dalla gente di sinistra che voleva un sistema con un unico centro di pagamenti o niente.
Le cose che non ho capito giustamente
1 – La dimensione del disastro: avevo visto la bolla immobiliare, sapevo che le conseguenze sarebbero state negative, ma non avevo idea quanto sarebbero state negative. Ero beatamente ignorante dell’ascesa del sistema bancario ‘ombra’, non riflettevo sul debito delle famiglie e non prestavo attenzione agli squilibri all’interno dell’area dell’euro.
2 – La deflazione: pensavo che una deflazione sul modello del Giappone fosse un rischio imminente in tutte le economie depresse. Invece, una inflazione bassa ma positiva è durata considerevolmente a lungo. Adesso penso di aver sottostimato l’importanza della rigidità nominale (dei prezzi e dei salari) verso il basso, che, combinata con la dispersione degli shock – alcuni lavoratori e imprese fronteggiano una domanda forte anche in una economia debole – tende a far proseguire la crescita dei prezzi anche in un mondo depresso.
3 – Il crollo dell’euro: penso che la mia analisi dell’economia dell’area euro e dei suoi problemi, per la parte fondamentale, fosse abbastanza buona (ma si veda sotto). Ma avevo grandemente sopravvalutato il rischio di una disgregazione, perché non avevo inteso correttamente gli aspetti politici dell’economia – non avevo proprio compreso con quanta determinazione i gruppi dirigenti dell’area euro avrebbero imposto grandi sofferenze nel nome di una prosecuzione dell’esperienza. Allo stesso modo, non avevo compreso quanto sarebbe stato facile manipolare una modesta crescita come un successo, dopo anni di esperienze tremende.
4 – Gli effetti della liquidità sui debiti sovrani: infine, mi spiace riconoscere che avevo completamente trascurato l’importanza della liquidità e delle scarsità di cassa nel guidare i prezzi dei bond nell’area euro. Solo quando DeGrauwe intervenne su quell’aspetto compresi quanta differenza avrebbe fatto la BCE se fosse intervenuta come prestatore di ultima istanza; se l’euro sopravvive, una gran parte del credito dovrebbe andare a DeGrauwe – e a quel soggetto che risponde al nome di Mario Draghi, che ha messo le sue idee in pratica.
Probabilmente mi sono scordato qualcosa, sebbene penso che sia proprio interessante che molti miei critici sentano il bisogno di attaccare le mie prestazioni inventandosi previsioni ed argomenti che non ho mai avanzato. Eppure penso che queste siano le cose principali, e sebbene mi sia sicuramente dimostrato fallibile, penso di aver fatto bene il mio lavoro – principalmente perché non ho mai consentito che le preoccupazioni alla moda mi facessero deviare dalla teoria macroeconomica di base, ed ho sempre cercato di applicare le lezioni della storia.
[1] Con “Sand States” – gli ‘Stati della sabbia’ – si intende riferirsi a quattro Stati della “Cintura del Sole” (ovvero della parte meridionale degli Stati Uniti, da un oceano all’altro) – che sono: Arizona, California, Florida e Nevada. Il nome semplicemente indica la grande abbondanza sia di deserti che di spiagge.
La tabella mostra, con la linea blu, un andamento di un quindicennio dei prezzi delle abitazioni in quegli Stati assai più impressionante che non nella media degli altri Stati (linea grigia).
[2] Si intende ‘spiazzamento degli investimenti privati, in conseguenza di un incremento della spesa pubblica’.
[3] Questo è il nomignolo che Krugman diede sin dal 2010 alla spiegazione ‘magica’ che veniva avanzata per le politiche dell’austerità: ridurre i deficit avrebbe comportato una maggiore fiducia degli operatori, ovvero sarebbe entrata in gioco la ‘fata della fiducia’.
[4] Per moltiplicatore si intende l’effetto ‘allargato’ sulla domanda aggregata sia di un aumento della spesa pubblica che di una sua riduzione. Se con politiche di austerità la spesa pubblica si contrae, l’effetto è più ampio della sola contrazione, perché la riduzione deve essere ‘moltiplicata’ per un determinato fattore che estende il fenomeno della riduzione stessa (se si licenziano dipendenti pubblici, ci sono conseguenze in tutti quei settori che prima operavano in parte sulla base dei redditi di quei dipendenti). Sulla stima di quel moltiplicatore avvennero varie sottovalutazioni, a partire da quella estrema di non considerarlo (ovvero di stimare un effetto semplicemente pari a 1). In Grecia, ad esempio, questo errore di valutazione incise notevolmente nel sottostimare l’effetto recessivo dell’austerità, la qual cosa – a cose fatte – venne poi ammessa, almeno dal FMI.
[5] Ovvero, un collasso finanziario derivante dal fatto che le persone giovani e in salute non si sarebbero iscritte al sistema assicurativo e il numero eccessivo di anziani ed ammalati lo avrebbe messo in una crescente difficoltà.
By mm
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