Il Pianeta e la politica, il nuovo libro di Naomi Klein – 11 giugno 2015
Il nuovo libro della Klein non ha per oggetto il fenomeno del cambiamento climatico, sebbene ad esso si riferisca per oltre seicento pagine. Il tema è la politica, quanto essa si sia trasformata e sia destinata a trasformarsi per effetto di quel fenomeno (il titolo nel testo inglese è più chiaro: “Questo cambia tutto. Il capitalismo contro il clima”). E lo stile dell’autrice ha il carattere della sobrietà; nel mentre ci fornisce centinaia di informazioni che sembrerebbero tutte alludere ad un bisogno di maggiore ‘concettualizzazione’, ella rifugge da eccessive astrazioni, preferisce segnalarci tutti i sintomi di un cambiamento profondo e lasciarci alle prese con il lavoro di intuirne gli sviluppi. Non ci parla di una rivoluzione ineludibile, semmai cerca di farci comprendere le ragioni per le quali una parte della politica rifiuta aggressivamente la realtà, mentre l’altra non riesce ad esprimerla per un difetto di immaginazione.
Ad esempio: il titolo del primo capitolo è provocatoriamente “La destra ha ragione”. Ci racconta episodi ed aneddoti del ‘negazionismo’ del cambiamento climatico, raccolti in vari colloqui e interviste presso una sorta di ‘santuario’ dei negazionisti: la Sesta Conferenza Internazionale organizzata dalla Fondazione della destra americana Heartland Institute nel 2011. Perché la destra ha ragione, secondo la Klein? Perché intende meglio della sinistra che l’intera faccenda del clima è una questione di vita o di morte (per il sistema economico e sociale, perché la vita e la morte delle persone in carne ed ossa appartiene ad una contabilità più sfuggente e quasi opinabile, nelle nazioni più ricche). Negli ultimi anni la ampia maggioranza della popolazione progressista statunitense, o canadese, è sempre più convinta del cambiamento climatico; ma un numero assai maggiore del passato dei conservatori americani, oggi otto su dieci, non credono alla scienza. Si nega non tanto per ragioni ideologiche precise, ma quasi quasi per un istinto di sopravvivenza. Si intuisce che quello che è in gioco sono alcune regole di fondo del sistema capitalistico e sembra che opporre un rifiuto sia la soluzione più naturale.
Ora, è evidente che negare la realtà non è una questione da poco, dal punto di vista della democrazia. In fondo, fu necessaria una guerra mondiale per uscire da una ‘negazione’ precedente. Negare le acquisizioni praticamente consensuali della scienza è come dichiarare superfluo il metodo della democrazia. Krugman talora usa ironicamente il termine “tribù”, ma si tratta proprio di una tendenziale regressione dal comune metodo democratico alla convivenza di tribù guerreggianti. La diffusione di negazionismi non è l’avvio di un’epoca postdemocratica? Si aggiunga che la Klein ci spiega come la tribù dei negazionisti non si limiti certo a rifiutare i fatti, bensì cominci seriamente ad organizzarsi per nuovi contesti climatici. Che, ad esempio, sommergerebbero molte coste e isole del mondo, ma forse renderebbero più temperato il clima in varie aree più ricche. Oppure, che distruggerebbero certamente economie povere, ma farebbero forse la fortuna delle assicurazioni su edifici di valore esposti a maggiori calamità naturali.
Dunque, il tema del libro è come il cambiamento del clima modifichi radicalmente la politica. Soprattutto se non ce ne accorgiamo. Perché l’altro protagonista, oltre alla destra che nega, è la timidezza dei progressisti. Timidezza che agisce in due sensi: non voler intendere la nuova radicalità del negazionismo altrui, e allo stesso tempo introiettare dosi moderate di negazionismo proprio. Un esempio lo potremmo aggiungere noi, sulla base della esperienza nella nostra provincia del mondo. Forse che in questi dieci anni il cambiamento climatico non ha prodotto effetti in Italia? I mari non si sono alzati (pare che il Mediterraneo non sarebbe tra i primi), ma gli scienziati ci dicono che nella misura in cui si sono riscaldati, hanno semplicemente provocato un forte incremento di eventi puntuali, talora discretamente distruttivi. Fenomeni dei quali parliamo e leggiamo quotidianamente; fenomeni che hanno cambiato le nostre cronache e che mostrano un fragilità dei nostri territori alla quale non eravamo abituati. Eppure ci guardiamo bene dall’inquadrarli nel loro contesto più generale. Ci guardiamo anche dal dedurne nuovi programmi organici di difesa del territorio; talora si comincia a ragionare anche da noi di come potenziare i sistemi assicurativi contro le calamità naturali (la qualcosa, dal punto di vista della finanza pubblica, potrebbe addirittura non essere stupida).
Sennonché, forse è proprio l’aggressività del negazionismo – ci fa capire la Klein – che ci aiuterà ad essere meno timidi. Si scopre che tra le varie idee luminose che circolano seriamente per contrastare il cambiamento senza rinunciare al carbonio, ce n’è una che di ‘luminoso’ non ha proprio niente: offuscare il Sole. “L’opzione discussa più di frequente nei circoli geoingegneristici … prevede di spruzzare nella stratosfera solfati gassosi, tramite speciali aeroplani oppure mediante un lunghissimo tubo sospeso grazie a palloni pieni di elio (alcuni hanno suggerito addirittura di ricorrere ai cannoni).” Una soluzione che ha preso il nome di “Operazione Pinatubo”, il vulcano islandese che eruttò nel 2010 e cosparse sino alla stratosfera enormi quantità di diossido di zolfo. Le goccioline di acido solforico restano nella stratosfera e “[f]ungono da minuscoli specchietti che riflettono la luce, impedendo al calore del Sole di raggiungere con tutta la sua potenza il suolo terrestre”. Il metodo funziona: l’anno successivo alla eruzione del Pinatubo le temperature scesero di mezzo grado Celsius. Tra gli inconvenienti, un foschia quasi permanente, la quasi certa impossibilità di chiare osservazioni astronomiche e la quasi inutilità dell’energia solare. Inconvenienti che non provocano nessuna impressione in Newt Gingrich, ex portavoce repubblicano americano della Camera dei Rappresentanti, che ha dichiarato: “La geoignegneria consente di occuparsi del problema del riscaldamento globale per appena un paio di miliardi di dollari all’anno”. Ovvero, come si può constatare, c’è anche di peggio del negazionismo.
E così, se intendiamo gli argomenti della Klein nel senso che ho detto, la sua radicalità un po’ alla volta finisce col sembrare del tutto ragionevole. Per mia ignoranza, non avevo mai riflettuto a sufficienza sulla definizione del nostro sistema economico come ‘estrattivista’, pur essendo in fondo una ovvietà. Mi ha aiutato molto questa dichiarazione del 2013 di un membro repubblicano del Congresso degli Stati Uniti, Steve Stockman: “La cosa migliore della Terra è che se ci fai un buco fuoriescono gas e petrolio”. Non si potrebbe esprimere meglio l’idea che siamo stati collocati in questo punto minuscolo dell’Universo non per imparare a riprodurre, ma semplicemente a fini di rapina.
By mm
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