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La Grecia sul precipizio, di Paul Krugman (New York Times 29 giugno 2015)

 

Greece Over the Brink

JUNE 29, 2015

Paul Krugman

z 584

It has been obvious for some time that the creation of the euro was a terrible mistake. Europe never had the preconditions for a successful single currency — above all, the kind of fiscal and banking union that, for example, ensures that when a housing bubble in Florida bursts, Washington automatically protects seniors against any threat to their medical care or their bank deposits.

Leaving a currency union is, however, a much harder and more frightening decision than never entering in the first place, and until now even the Continent’s most troubled economies have repeatedly stepped back from the brink. Again and again, governments have submitted to creditors’ demands for harsh austerity, while the European Central Bank has managed to contain market panic.

But the situation in Greece has now reached what looks like a point of no return. Banks are temporarily closed and the government has imposed capital controls — limits on the movement of funds out of the country. It seems highly likely that the government will soon have to start paying pensions and wages in scrip, in effect creating a parallel currency. And next week the country will hold a referendum on whether to accept the demands of the “troika” — the institutions representing creditor interests — for yet more austerity.

Greece should vote “no,” and the Greek government should be ready, if necessary, to leave the euro.

To understand why I say this, you need to realize that most — not all, but most — of what you’ve heard about Greek profligacy and irresponsibility is false. Yes, the Greek government was spending beyond its means in the late 2000s. But since then it has repeatedly slashed spending and raised taxes. Government employment has fallen more than 25 percent, and pensions (which were indeed much too generous) have been cut sharply. If you add up all the austerity measures, they have been more than enough to eliminate the original deficit and turn it into a large surplus.

So why didn’t this happen? Because the Greek economy collapsed, largely as a result of those very austerity measures, dragging revenues down with it.

And this collapse, in turn, had a lot to do with the euro, which trapped Greece in an economic straitjacket. Cases of successful austerity, in which countries rein in deficits without bringing on a depression, typically involve large currency devaluations that make their exports more competitive. This is what happened, for example, in Canada in the 1990s, and to an important extent it’s what happened in Iceland more recently. But Greece, without its own currency, didn’t have that option.

So have I just made the case for “Grexit” — Greek exit from the euro? Not necessarily. The problem with Grexit has always been the risk of financial chaos, of a banking system disrupted by panicked withdrawals and of business hobbled both by banking troubles and by uncertainty over the legal status of debts. That’s why successive Greek governments have acceded to austerity demands, and why even Syriza, the ruling leftist coalition, was willing to accept the austerity that has already been imposed. All it asked for was, in effect, a standstill on further austerity.

But the troika was having none of it. It’s easy to get lost in the details, but the essential point now is that Greece has been presented with a take-it-or-leave-it offer that is effectively indistinguishable from the policies of the past five years.

This is, and presumably was intended to be, an offer Alexis Tsipras, the Greek prime minister, can’t accept, because it would destroy his political reason for being. The purpose must therefore be to drive him from office, which will probably happen if Greek voters fear confrontation with the troika enough to vote yes next week.

But they shouldn’t, for three reasons. First, we now know that ever-harsher austerity is a dead end: after five years Greece is in worse shape than ever. Second, much and perhaps most of the feared chaos from Grexit has already happened. With banks closed and capital controls imposed, there’s not that much more damage to be done.

Finally, acceding to the troika’s ultimatum would represent the final abandonment of any pretense of Greek independence. Don’t be taken in by claims that troika officials are just technocrats explaining to the ignorant Greeks what must be done. These supposed technocrats are in fact fantasists who have disregarded everything we know about macroeconomics, and have been wrong every step of the way. This isn’t about analysis, it’s about power — the power of the creditors to pull the plug on the Greek economy, which persists as long as euro exit is considered unthinkable.

So it’s time to put an end to this unthinkability. Otherwise Greece will face endless austerity, and a depression with no hint of an end.

 

La Grecia sul precipizio, di Paul Krugman

New York Times 29 giugno 2015

È evidente da un bel po’ che la creazione dell’euro sia stata un errore tremendo. L’Europa non ha mai avuto le precondizioni per una valuta unica destinata al successo – soprattutto, quel genere di unione della finanza pubblica e dei sistemi bancari che, ad esempio, assicura che quando scoppia una bolla immobiliare in Florida, Washington protegga i più anziani da ogni minaccia alla loro assistenza sanitaria o ai loro depositi bancari.

Lasciare una valuta unica, tuttavia, è una decisione molto più difficile e preoccupante che non aderirvi all’inizio, e sinora persino le economie più inguaiate del continente si sono ritratte dinanzi a quel ciglio. I Governi si sono sottomessi in continuazione alle richieste di una severa austerità da parte dei creditori, nel mentre la Banca Centrale Europea operava per contenere il panico sui mercati.

Ma la situazione greca ha ora raggiunto quello che sembra un punto di non ritorno. Le banche sono provvisoriamente chiuse e il Governo ha imposto il controllo dei capitali – limiti sui movimenti finanziari fuori dal paese. Sembra altamente probabile che il Governo comincerà presto a pagare le pensioni ed i salari con titoli provvisori, in sostanza creando una moneta parallela. E la prossima settimana il paese terrà un referendum sulla accettazione delle richieste della “troika” – le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori – per una austerità ancora maggiore.

La Grecia dovrebbe votare “no” e il Governo greco dovrebbe, se necessario, essere pronto a lasciare l’euro.

Per capire la ragione di questa mia affermazione, si deve comprendere che molto di quello che si è sentito dire a proposito degli sprechi e dell’irresponsabilità dei Greci – non tutto, ma la maggior parte – è falso. È vero, sulla fine degli anni 2000 il Governo greco stava spendendo oltre le sue possibilità. Ma da allora esso ha ripetutamente abbattuto la spesa pubblica e aumentato le tasse. Il pubblico impiego è caduto di più del 25 per cento, e le pensioni (che erano in effetti anche troppo generose) sono state tagliate bruscamente. Se ci aggiungete tutte le misure dell’austerità, sarebbe stato più che sufficiente per eliminare il deficit originario e trasformarlo in un ampio surplus.

Perché, dunque, non è avvenuto? Perché l’economia greca è crollata, in larga parte in conseguenza di quelle stesse misure di austerità, e con essa sono state trascinate in basso le entrate.

E questo crollo, a sua volta, è molto dipeso dall’euro, che ha intrappolato la Grecia in una camicia di forza economica. I casi di politiche di austerità che hanno successo, nelle quali i paesi mettono sotto controllo i deficit senza portare ad una depressione, riguardano tipicamente ampie svalutazioni valutarie che rendono le loro esportazioni più competitive. Questo è quanto accadde, ad esempio, in Canada negli anni ’90, e in buona misura è quello che è accaduto di recente in Islanda. Ma la Grecia, senza una valuta propria, non aveva quella possibilità.

Dunque, sto proprio perorando la causa della cosiddetta “Grexit” – l’uscita greca dall’euro? Non necessariamente. Il problema dell’uscita della Grecia dall’euro è sempre stato il rischio del caos finanziario, di un sistema bancario bloccato dai recessi prodotti dal panico e da imprese azzoppate sia dalle difficoltà delle banche che dall’incertezza sullo status legale dei debiti. Questa è la ragione per la quale i successivi Governi greci hanno acconsentito alle richieste di austerità, ed è la ragione per la quale anche Syriza, la coalizione di sinistra al governo, era disponibile ad accettare l’austerità che era già stata imposta. Tutto quello che chiedeva era, in sostanza, il blocco di una austerità ulteriore.

Ma la troika non aveva in serbo niente del genere. È facile perdersi nei dettagli, ma a questo punto la questione essenziale è che alla Grecia è stata presentata un’offerta prendere-o-lasciare che è indistinguibile dalle politiche dei cinque anni passati.

Questa è, e presumibilmente doveva essere, un’offerta che Alexis Tsipras, il Primo Ministro greco, non può accettare, giacché distruggerebbe la ragione della sua esistenza politica. Di conseguenza, lo scopo deve essere stato quello di allontanarlo dall’incarico, la qualcosa probabilmente accadrà se gli elettori greci avranno talmente paura di uno scontro con la troika, da votare “sì” al referendum della prossima settimana.

Ma non dovrebbero farlo, per tre ragioni. La prima, oggi sappiamo che una austerità persino più severa è un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia è più che mai in cattive condizioni. La seconda, molto del temuto caos derivante da un’uscita della Grecia, forse la maggior parte, è già avvenuto. Con le banche chiuse e l’imposizione dei controlli sui capitali, altro maggiore danno non può essere fatto.

Infine, accedere all’ultimatum della troika rappresenterebbe l’abbandono finale di ogni finzione di indipendenza greca. Non fatevi imbrogliare dagli argomenti secondo i quali i dirigenti della troika sono solo tecnocrati che spiegano ai greci ignoranti cosa si deve fare. Questi presunti tecnocrati sono in effetti fantasisti che non hanno tenuto in nessun conto tutto quello che si conosce della macroeconomia, ed hanno avuto torto ad ogni passo del percorso. Non è una questione che riguarda la capacità di analisi, riguarda il potere – il potere dei creditori di staccare la spina all’economia greca, un potere che permane sinché l’uscita dall’euro è considerata impensabile.

È dunque venuto il momento di smettere di considerarlo impensabile. Altrimenti la Grecia affronterà una austerità senza fine, e non ci sarà alcun cenno di fine per la depressione stessa.

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