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La malattia finlandese (dal blog di Krugman, 1 giugno 2015)

 

Jun 1 7:38 am

The Finnish Disease

A followup to my post inspired by troubles in Finland: it’s worth emphasizing just how bad Finland’s performance has been. For Finns, the great depression they remember is the slump at the beginning of the 1990s, driven by a combination of a bursting housing bubble and the collapse of the Soviet Union next door. The result was a very nasty slump, and a delayed recovery. But this time, although the slump in per capita GDP never got quite as deep, has been far more persistent:

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OECD

Why can’t Finland recover this time? Debt is not a problem; borrowing costs are very low. But it’s all about the euro straitjacket. In 1990 the country could and did devalue, achieving a rapid gain in competitiveness. This time not, so that there is no quick way to adjust to adverse shocks:

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This shouldn’t come as a surprise; it’s the core of the classic Milton Friedman argument for flexible exchange rates, and in turn for the tradeoff at the core of optimum currency area theory. The trouble in Finland is what everyone expected to go wrong with the euro.

What’s going on in Greece represents a whole additional level of hurt, which nobody saw coming. But it’s important, I think, to realize that even countries that didn’t borrow a lot, didn’t experience large capital inflows, basically did nothing wrong by the official criteria, are nonetheless suffering in a major way.

 

La malattia finlandese

 

Un seguito al mio post ispirato dai guai della Finlandia: è il caso di sottolineare quanto sia stata negativa la prestazione finlandese. La grande depressione che i finlandesi si ricordano è il crollo agli inizi degli anni ’90, guidato dalla combinazione dell’esplosione della bolla immobiliare e del collasso dell’Unione Sovietica alla porta accanto. Il risultato fu un tremendo smottamento ed una ripresa assai lenta. Ma questa volta, sebbene il calo del PIL procapite non sia mai arrivato tanto in basso, è stato molto più persistente:

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OCSE[1]

Perché questa volta la Finlandia non si riprende? Il debito non è un problema; i costi dell’indebitamento sono molto bassi. Ma tutto dipende dalla camicia di forza dell’euro. Nel 1990 il paese poteva svalutare e svalutò, realizzando un rapido incremento di competitività. Questa volta no, e non c’è alcun modo di correggere gli impatti negativi [2]:

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Non dovrebbe essere una sorpresa; è il cuore della classica argomentazione di Milton Friedman sui di tassi di cambio flessibili, e al tempo stesso sullo scambio che è al centro della teoria dell’area valutaria ottimale. Il guaio in Finlandia è che tutti si aspettavano di finir male con l’euro.

Quello che sta accadendo in Grecia rappresenta un livello di danno del tutto aggiuntivo, del quale nessuno si era accorto. Ma è importante, credo, comprendere che persino paesi che non si erano molto indebitati, che non avevano conosciuto grandi flussi di capitali, che fondamentalmente non avevano fatto niente di sbagliato secondo i criteri ufficiali, stanno nondimeno soffrendo in modo significativo.

 

 

[1] La tabella indica l’andamento di due ben diverse ‘riprese’, quella in blu è relativa alla recessione del 1990, quella in rosso alla recessione del 2008. Il periodo che viene considerato in entrambi i casi è un periodo di 6 anni, e come si vede la crisi degli anni ’90 fu più profonda ma la ripresa rapida e netta; oggi (dati del 2014) la ripresa non si vede ancora.

[2] Il “real effective exchange rate” è il tasso di cambio nel confronto con un ‘paniere’ delle altre principali valute (dollaro statunitense, yen giapponese, euro etc.), ma corretto sulla base dell’inflazione. Se ben capisco, è questa correzione che differenzia il “real exchange rate” dal “nominal exchange rate”, giacché una valuta unica in una semplice area valutaria non comporta ovviamente una inflazione unica, cosicché non conta soltanto il nominale confronto  con le altre valute, ma anche il peso relativo dell’inflazione di un paese. Questo consente di rappresentare – sempre se capisco correttamente – in un’unica tabella un periodo storico nel quale sino al 1999 ci si riferisce al tasso di cambio del marco finlandese e successivamente all’euro, divenuto in quell’anno la moneta ufficiale della Finlandia. Il valore 1 (o 100) indica il livello al di sopra del quale la valuta utilizzata in quel paese è valutata maggiormente  delle valute del paniere, e al di sotto del quale essa è considerata di valore inferiore.

Come si nota nella tabella, la svalutazione del 1990 avvenne in modi efficaci, portando il tasso di cambio reale del marco finlandese da un valore di circa 130 ad un valore di circa 90. A partire dalla fine degli anni ’90, invece, l’adozione dell’euro non ha comportato alcuna sostanziale modifica del tasso di cambio e dunque non ha consentito alla Finlandia alcun incremento di competitività.

 

 

 

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