Jun 11 1:19 pm
Arindrajit Dube enlarges on my post about efficiency wages, pointing out that the same logic applies to firms that have monopsony power. That’s a very good point — and I think we’re circling in on an important part of the logic behind the “new view” on inequality policy, which says that policies to enhance worker bargaining power can have major effects on the distribution of market income.
What’s going on here? Maybe two schematic pictures can help.
The conventional view about the choices facing an employer looks something like this:
The employer’s choice of wage to pay is pinned firmly in place by the invisible hand. It can’t pay less than the going market wage, or it won’t be able to attract any workers; it really, really doesn’t want to pay more than the going wage, because any wage increase translates dollar for dollar into lost profits. Minimum wages or a strong union can force the wage up all the same, but it takes a lot of political or institutional power.
What Dube, I, and many others are suggesting is, however, that for quite a few employers — including large service-sector companies — the situation looks much more like this:
There isn’t a sharply defined “going wage”, either because the firm has monopsony power — it can, in effect, choose the going wage in its local labor market — or because efficiency wage considerations lead it to pay more than the minimum, so that there are normally more applicants than places. And as I’ve drawn it, the top of the hill relating the wage rate to profits is fairly flat. In particular, the firm shouldn’t mind very much paying a somewhat higher wage, because this will produce offsetting benefits — a larger supply of labor if it has monoposony power, lower turnover or higher productivity if efficiency wages are an issue, maybe all of the above.
The point is that under these circumstances it needn’t be all that hard to push up wages: the threat of union organizing or a consumer boycott, even moral suasion from the government might be enough. So the standard view that it’s very hard to change the distribution of market income, that policy must involve after-market taxes and transfers, may be quite wrong.
La mutabilità dei salari
Arindrajit Dube va oltre il mio post sui salari di efficienza, mettendo in evidenza che la stessa logica si applica a imprese che hanno il potere di monopsonio [1]. Si tratta di un ottimo argomento, e penso che stiamo perlustrando una parte importante della logica che sta dietro il “nuovo punto di vista” sulla politica relativa all’ineguaglianza, secondo il quale le politiche per rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori possono avere effetti importanti sulla distribuzione del reddito di mercato.
Di che cosa si tratta? Forse due schematici diagrammi possono essere d’aiuto.
Il punto di vista convenzionale sulle scelte dinanzi alle quali si trova un datore di lavoro lo si può esprimere in questo modo:
La scelta del salario da pagare da parte del datore di lavoro è saldamente bloccata al suo posto dalla mano invisibile. Egli non può pagare meno del normale salario di mercato, altrimenti la paga non sarà capace di attrarre alcun lavoratore; e non vuole proprio pagare di più del salario normale, perché ogni aumento salariale si traduce, dollaro per dollaro, in profitti che se ne vanno. I salari minimi oppure un forte sindacato possono costringere ed elevare tutti i salari contemporaneamente, ma ciò richiede un grande potere politico o istituzionale.
Quello che Dube, il sottoscritto e molti altri stiamo suggerendo, tuttavia, è che per un buon numero di datori di lavoro – incluse le grandi imprese nel settore dei servizi – la situazione appare molto più simile a questa:
Non c’è un “salario normale” rigidamente definito, o perché l’impresa ha un potere di monopsonio – di fatto, essa può scegliere il salario normale nel suo mercato del lavoro locale – oppure perché considerazioni sul salario di efficienza la portano a pagare più del minimo, in modo tale che ci sono normalmente più candidati che posti. E per come l’ho disegnata, la cima del colle relativa al tasso salariale rispetto ai profitti è discretamente piatta. In particolare, l’impresa non dovrebbe curarsi troppo del pagare salari un po’ più elevati, perché questo produrrebbe benefici di bilanciamento – se essa ha un potere di monopsonio una offerta di lavoro più vasta, se il tema sono i salari di efficienza un turnover più basso o una produttività più elevata, o forse entrambi.
Il punto è che in certe circostanze non è obbligatorio che sia così difficile elevare i salari: la minaccia di una organizzazione sindacale o di un boicottaggio da parte dei consumatori, persino la persuasione morale da parte di un Governo possono essere sufficienti. Dunque, il punto di vista tradizionale secondo il quale è molto difficile cambiare la distribuzione del reddito di mercato, e la politica deve riguardare le tasse ed i trasferimenti finanziari esterni al mercato, può essere piuttosto sbagliato.
[1] Il termine monopsonio designa una particolare forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori … In alcune aree, una grande azienda industriale può creare un distretto di piccole aziende che la forniscono di componenti, ma che hanno per definizione un unico e solo acquirente. In tale forma si ricreano le condizioni di monopsonio. (Wikipedia)
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"