Blog di Krugman

L’induzione retroattiva e Brad DeLong (per esperti) (dal blog di Krugman, 3 giugno 2015)

 

Backward Induction and Brad DeLong (Wonkish)

June 3, 2015 5:58 am

Brad DeLong is, unusually, unhappy with my analysis in a discussion of the inflationista puzzle — the mystery of why so many economists failed to grasp the implications of a liquidity trap, and still fail to grasp those implications despite 6 years of being wrong. Brad sorta-kinda defends the inflationistas on the basis of backward induction; I find myself somewhat baffled by that defense.

Actually, I find myself baffled both theoretically and empirically.

It’s true that the Hicksian framework I usually use to explain the liquidity trap is both short-run and quasi-static, and you might worry that its conclusions won’t hold up when you take expectations about the future into account. In fact, I did worry about that way back when. My work on the liquidity trap began as an attempt to show that IS-LM was wrong, that once you thought in terms of forward-looking behavior in a model that dotted all the intertemporal eyes and crossed all the teas it would turn out that expanding the monetary base was always effective.

But what I found was that the liquidity trap was still very real in a stripped-down New Keynesian model. And the reason was that the proposition that an expansion in the monetary base always raises the equilibrium price level in proportion only actually applies to a permanent rise; if the monetary expansion is perceived as temporary, it will have no effect at the zero lower bound. Hence my call for the Bank of Japan to “credibly promise to be irresponsible” — to make the expansion of the base permanent, by committing to a relatively high inflation target. That was the main point of my 1998 paper!

It’s true that some economists reading this didn’t believe it — basically because they believed that markets would regard any large increase in the monetary base as likely to become permanent. In his discussion of the 1998 paper, Ken Rogoff declared that

No one should seriously believe that the BOJ would face any significant technical problems in inflating if it puts it mind to the matter, liquidity trap or no. For example, one can feel quite confident that if the BOJ were to issue a 25 percent increase in the current supply and use it to buy back 4 percent of government nominal debt, inflationary expectations would rise.

But even in 1998 we had good reason not to believe this claim; here’s US monetary base and prices during the 1930s:

z 749

 

 

 

 

 

 

 

And a few years after I published that paper, the BoJ put it to the test with an 80 percent rise in the monetary base that utterly failed to move inflation expectations. In general, Japanese experience gave us plenty of reason to realize that macroeconomics changes at the zero bound. So it’s still a puzzle that so many macroeconomists tried to apply non-liquidity-trap logic in 2009 — and just embarrassing that they’re still doing it.

One more thing: Brad says that we came into the crisis expecting business cycles and possible liquidity-trap phases to be short. What do you mean we, white man? Again, we had the example of Japan — and even aside from Rheinhart-Rogoff, it was obvious that Postmodern business cycles were different, with prolonged jobless recoveries.

In the end, while the post-2008 slump has gone on much longer than even I expected (thanks in part to terrible fiscal policy), and the downward stickiness of wages and prices has been more marked than I imagined, overall the model those of us who paid attention to Japan deployed has done pretty well — and it’s kind of shocking how few of those who got everything wrong are willing to learn from their failure and our success.

 

L’induzione retroattiva e Brad DeLong (per esperti)

Brad DeLong è scontento, in modo inconsueto, per la mia analisi in un dibattito sul mistero dei patiti dell’inflazione – il mistero del perché tanti economisti non sono riusciti a comprendere le implicazioni di una trappola di liquidità, ed ancora non riescono ad afferrare tali implicazioni, nonostante abbiano avuto torto per sei anni. Brad in qualche modo difende i patiti dell’inflazione sulla base dell’induzione retroattiva [1]; ed io sono stupefatto da una tale difesa.

In effetti, mi ritrovo stupefatto sia in termini teorici che empirici.

È vero che lo schema hicksiano è normalmente utilizzato per spiegare come la trappola di liquidità sia di breve periodo e quasi statica, e ci si potrebbe preoccupare che le sue conclusioni non reggano allorché si mettano nel conto le aspettative sul futuro. Di fatto, a quei tempi io mi preoccupavo di questo. Il mio lavoro sulla trappola di liquidità cominciò con un tentativo di spiegare che lo IS-LM era sbagliato, che un volta che si ragionava nei termini di una condotta che guarda in avanti entro un modello scrupoloso di tutte le caratteristiche intertemporali e di tutti gli specialismi [2], si sarebbe scoperto che l’espansione della base monetaria era sempre efficace.

Ma quello che io trovai era che la trappola di liquidità era ancora del tutto vera, in un modello neokeynesiano ridotto all’osso. E la ragione era che il concetto secondo il quale una espansione della base monetaria innalza sempre in proporzione il livello dei prezzi in equilibrio in effetti si applica ad una crescita permanente; se l’espansione monetaria è percepita come temporanea, essa non avrà effetto al limite inferiore dello zero dei tassi di interesse. Da lì venne il mio invito alla Banca del Giappone di “promettere in modo credibile di essere irresponsabile” – di rendere permanente la espansione della base monetaria, impegnandosi per un obbiettivo di inflazione relativamente elevato. Questo era il punto principale del mio saggio del 1998!

È vero che, nel leggere questa affermazione, alcuni economisti non ci credettero – fondamentalmente perché ritenevano che i mercati avrebbero considerato probabile che ogni ampio incremento della base monetaria divenisse permanente. Nella espressione del suo parere sul saggio del 1998, Ken Rogoff affermò che:

“Nessuno dovrebbe credere sul serio che la Banca del Giappone si troverebbe dinanzi a problemi tecnici di un qualche rilievo nell’inflazionare (la base monetaria), a seguito di riflessioni sulla possibilità o meno di una trappola di liquidità . Ad esempio, si può essere abbastanza persuasi che se la Banca del Giappone dovesse stabilire un aumento del 25 per cento nell’offerta di liquidità ed utilizzarne un 4 per cento per rimborsare il debito pubblico nominale, le aspettative inflazionistiche aumenterebbero.”

Sennonché, anche nel 1998 avevamo una buona ragione per non credere a questa affermazione; ecco l’andamento della base monetaria e dei prezzi durante gli anni ’30:

z 749

 

 

 

 

 

 

 

E pochi anni dopo la pubblicazione di quello studio, la Banca del Giappone lo mise alla prova con un aumento dell’80 per cento della base monetaria, che non riuscì affatto a spostare le aspettative di inflazione. In generale, l’esperienza giapponese ci offrì una gran quantità di ragioni per comprendere che la macroeconomia cambia al limite dello zero. È dunque ancora un mistero come molti macroeconomisti cercarono di applicare nel 2009 una logica diversa dalla trappola di liquidità – ed è semplicemente imbarazzante che continuino a farlo.

Una cosa ancora: Brad dice che entrammo in crisi perché ci aspettavamo che i cicli economici e le possibili fasi della trappola di liquidità fossero brevi. Cosa intendi ‘uomo bianco’? [3] Ancora una volta, avevamo l’esempio del Giappone – e persino a non voler considerare Reinhart-Rogoff [4], era evidente che i cicli economici post-moderni erano diversi, con prolungate riprese senza crescita dei posti di lavoro.

Infine, se la crisi successiva al 2008 è stata molto più lunga di quello che mi aspettavo (in parte grazie ad una tremenda politica della finanza pubblica), e la rigidità verso il basso dei salari e dei prezzi è stata più marcata di quello che immaginavo, in generale il modello che coloro tra noi che avevano prestato attenzione al Giappone avevano messo in circolazione ha funzionato abbastanza bene – ed è in certo qual modo stupefacente quanto pochi, tra coloro che hanno capito tutto in modo sbagliato, abbiano voglia di imparare dai loro fallimenti e dai nostri successi.

 

 

[1] Ovvero (Wikipedia in inglese) “il processo di un ragionamento che risale indietro nel tempo, dall’esito di un problema o di una situazione, per definire una sequenza di azioni ottimali. Esso consiste anzitutto nel determinare l’ultimo momento nel quale si poteva prendere una decisione e scegliere cosa fare, a quel tempo, in una qualsiasi situazione. Utilizzando questa informazione, si può determinare cosa si poteva fare nel passaggio immediatamente successivo all’ultimo. Il processo prosegue retroattivamente sinché non si individua la migliore azione per ogni possibile situazione …”.

[2] Se non sbaglio, dovrebbe trattarsi di un triplo idioma.

Il primo è classico – “dot the i’s and cross the t’s” significa “mettere i puntini sulle ‘i’ e tagliare le ‘t’”, ovvero fare le cose con molto scrupolo.

Ma c’è qua anche un secondo idioma krugmaniano: le ‘i’ sono diventati le ‘intertemporal eyes” e le ‘t’ sono diventati i “teas”. Dovrebbe essere una assonanza, nella quale le ‘i’ diventano “osservazioni intertemporali” (il limite del modello IS-LM essendo sempre stato supposto nel suo essere un modello statico, che non tiene sufficientemente di conto dei fattori intertemporali).

Quanto alle “teas” – che sostituiscono le ‘t’ – si può scartare l’ipotesi che possa trattarsi di ‘tazze di tè’. Ma si può ricordare che l’espressione “cup of tea” ha il significato idiomatico di “la specialità di qualcuno”.

Naturalmente è tutto molto arrischiato e chi ha idee migliori può segnalarle.

[3] È un buffa espressione americana, forse di origine afroamericana e prima ancora derivante dall’epopea ‘indiana’, con la quale si vuole alludere alla completa estraneità di tali etnie con la mentalità degli uomini bianchi. Dunque, la si usa ironicamente per significare di non aver niente a che fare con la mentalità del proprio interlocutore.

[4] Ovvero, a non voler considerare lo studio sulla durata delle recessioni a cura degli economisti suddetti, che in questo caso sono citati come un riferimento analitico positivo.

 

 

 

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