June 18, 2015 10:30 am
The path toward non-Grexit — toward Greece and its creditors reaching a deal that keeps it in the euro — is getting narrower, although it’s not yet completely closed. I’ve been reticent on the subject, for fear of adding my bit to the crisis atmosphere, and I still intend to keep it cool. But there are a few things that seem to need saying.
First, the first line of defense against euro exit has been overrun. Way back when Barry Eichengreen made an argument many of us found persuasive, namely that no country would dare even hint at leaving the euro because such a move would trigger “the mother of all financial crises” as everyone raced to pull funds out of banks. As some of us noted, however, this would become moot if the financial crisis and bank runs happened in advance, Argentine style, forcing the imposition of capital controls and other measures.
As it turned out, the Argentine scenario was headed off by the political determination of elites to stay in the euro and the success of the ECB’s “whatever it takes” declaration of willingness to act as lender of last resort. But the reprieve wasn’t permanent; in this respect, at least, Athens 2015 is Buenos Aires 2001. Financial stability is already greatly compromised, so the costs of thinking about the formerly unthinkable have fallen.
How did we get to this point? Nothing fills me with quite as much despair as the persistence of the story line that it’s all about continuing Greek fecklessness, that the Greeks haven’t done anything. In fact, Greece has imposed almost inconceivable pain on itself. Here’s a comparison between Greece and Spain, the current favorite son of the austerity camp (although the Spaniards themselves aren’t impressed):
European Commission
The problem has been that severe spending cuts in an economy with no independent monetary policy and no ability to devalue lead to severe economic contraction, which in turn means that a large part of what’s gained fiscally at the front end gets lost via reduced revenue. This isn’t the fault of the Greeks, it’s basically a design flaw in the euro itself.
So what about Grexit? At this point quite a few people on the creditor/Troika side of the negotiations seem almost to welcome the prospect. But this is bizarre in terms of their underlying interests. Yes, the lives of the officials would become easier, for a while, because they wouldn’t have to deal with Syriza. But from the point of view of the creditors, Grexit would be a pure negative. They would almost surely receive less in payments than they would under any deal that keeps Greece in, and the proof that the euro is in fact reversible would grease the rails for future crises, even if the ECB is able to contain this one.
And as Martin Wolf points out, Greece will still be there, and will still need dealing with.
The Greeks, on the other hand, should feel conflicted. There would probably be a lot of financial chaos in the immediate aftermath of euro exit. And maybe the apocalyptic warning from the Bank of Greece that devaluation would push the nation back into the Third World is right, although I’d like to know about the model and historical examples that would justify this claim. But absent that kind of implosion, a devalued currency should eventually produce an export-led recovery — I understand the cynicism one hears, but demand curves do slope downwards even in Greece.
The point is that nobody should be casual or confident here. But the creditors should actually be even more worried than the Greeks about a potential exit that has no upside for the rest of Europe.
Pensando a ciò che è anche troppo evidente
La strada per evitare l’uscita dall’euro – verso un accordo tra la Grecia e i suoi creditori che la mantenga nell’euro – sta diventando più stretta, sebbene non sia chiusa del tutto. Su questo tema sono stato reticente, per evitare di metterci un po’ anche del mio in questa atmosfera di crisi, e intendo ancora prenderla con calma. Ma ci sono alcune cose che sembra sia il caso di dire.
Anzitutto, la prima linea di difesa contro l’uscita dall’euro è stata sfondata. Nel passato Barry Eichengreen avanzò un argomento che molti di noi trovarono persuasivo, vale dire che nessun paese oserebbe neppure fare cenno a lasciare l’euro perché una mossa del genere innescherebbe “la madre di tutte le crisi finanziarie” dal momento che ognuno si sarebbe precipitato a ritirare i capitali dalle banche. Come alcuni di noi osservarono, tuttavia, questo sarebbe diventato opinabile se la crisi finanziaria e la corsa agli sportelli fosse avvenuta in anticipo, sul modello dell’Argentina, costringendo alla imposizione di controlli sui capitali e di altre misure.
Come si scoprì, lo scenario argentino era stato bloccato dalla determinazione politica dei gruppi dirigenti europei di restare nell’euro e dal successo della dichiarazione di volontà della BCE di agire come prestatore di ultima istanza (“faremo tutto quello che sarà necessario”). Ma il sollievo non era permanente; almeno sotto questo aspetto Atene del 2015 è come Buenos Aires del 2001. La stabilità finanziaria è già grandemente compromessa, cosicché i costi del pensare a quello che era in precedenza inimmaginabile sono caduti.
In che modo siamo arrivati a questo punto? Niente mi riempie di vera e propria disperazione come la prosecuzione di un racconto che si concentra tutto sulla prosecuzione della inettitudine dei greci, secondo il quale i greci non avrebbero fatto niente. Di fatto, la Grecia si è caricata di una sofferenza quasi inconcepibile. Ecco un confronto tra la Grecia e la Spagna, l’attuale figlio favorito dello schieramento dell’austerità (sebbene gli spagnoli per primi non ne siano lusingati).
Commissione Europea
Il problema è che pesanti tagli alla spesa in un paese che non ha una politica monetaria indipendente e nessuna possibilità di svalutare porta ad una grave contrazione economica, il che a sua volta significa che quello che è stato guadagnato da una parte sul piano della finanza pubblica, si perde per effetto di entrate ridotte. Questa non è la colpa dei greci, fondamentalmente è l’errore nella concezione stessa dell’euro.
Cosa dire dell’uscita della Grecia? A questo punto molti nello schieramento dei creditori della Troika sembrano quasi salutare con favore quella prospettiva. Sennonché questo è bizzarro dal punto di vista dei loro stessi interessi che sono in ballo. È vero, le vite dei dirigenti europei diventerebbero più semplici, dal momento che non dovrebbero trattare con Syriza. Ma dal punto di vista dei creditori, l’uscita della Grecia dall’euro sarebbe puramente negativa. Quasi certamente riceverebbero minori pagamenti di quelli che avrebbero con qualsiasi accordo che mantenga la Grecia al suo posto, e la prova che di fatto l’euro è reversibile agirebbe come un lubrificante sui binari che conducono a crisi ulteriori, anche mettendo in conto la capacità della BCE di contenere questo aspetto.
E come mette in evidenza Martin Woolf, la Grecia continuerà ad esistere, e con essa si dovrà continuare a negoziare.
I greci, d’altra parte, dovrebbero sentirsi in conflitto. Ci sarebbe probabilmente un bel po’ di caos finanziario come immediata conseguenza dell’uscita dall’euro. E forse l’ammonimento apocalittico della Banca di Grecia secondo il quale la svalutazione rispingerebbe la Grecia nel Terzo Mondo è giusto, sebbene mi piacerebbe conoscere qualcosa sul modello e sui precedenti storici che giustificherebbero questa pretesa. Ma in mancanza di una implosione di quel genere, una valuta svalutata dovrebbe alla fine produrre una ripresa guidata dalle esportazioni – capisco il pessimismo che si sente circolare, ma le curve della domanda inclinano verso il basso persino in Grecia.
Il punto è che su questo aspetto nessuno dovrebbe essere disinvolto o fiducioso. Piuttosto, i creditori dovrebbero essere ancora più preoccupati dei greci su una uscita potenziale che non ha alcun aspetto vantaggioso per il resto dell’Europa.
By mm
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