Blog di Krugman

Perchè sono un keynesiano? (6 giugno 2015)

 

Jun 6 6:33 am

Why Am I A Keynesian?

Noah Smith sort-of approvingly quotes Russ Roberts, who views all macroeconomic positions as stalking horses for political goals, and declares in particular that

Krugman is a Keynesian because he wants bigger government. I’m an anti-Keynesian because I want smaller government.

OK, I’m not going to clutch my pearls and ask for the smelling salts. Politics can shape our views, in ways we may not recognize. But I’m aware of that risk, and make a regular practice of asking myself whether I’m letting that kind of bias slip in. In fact, I lean against studies that seem too much in tune with my political preferences. For example, I’ve been aggressively skeptical of studies that seem to show a negative relationship between inequality and growth, precisely because that result is so convenient for my political tribe (which doesn’t mean that it’s wrong.)

So, am I a Keynesian because I want bigger government? If I were, shouldn’t I be advocating permanent expansion rather than temporary measures? Shouldn’t I be for stimulus all the time, not only when we’re at the zero lower bound? When I do call for bigger government — universal health care, higher Social Security benefits — shouldn’t I be pushing these things as job-creation measures? (I don’t think I ever have). I think if you look at the record, I’ve always argued for temporary fiscal expansion, and only when monetary policy is constrained. Meanwhile, my advocacy of an expanded welfare state has always been made on its own grounds, not in terms of alleged business cycle benefits.

In other words, I’ve been making policy arguments the way one would if one sincerely believed that fiscal policy helps fight unemployment under certain conditions, and not at all in the way one would if trying to use the slump as an excuse for permanently bigger government.

But in that case, why am I a Keynesian? Maybe because of convincing evidence?

First of all, the case for viewing most recessions — and the Great Recession in particular — as failures of aggregate demand is overwhelming.

Now, this could be a case for using monetary rather than fiscal policy — and that actually is the policy I advocate in response to garden-variety slumps. But when the slump pushes rates down to zero, and that’s still not enough, any simple model I can think of says that fiscal expansion can be a useful supplement, while fiscal austerity makes a bad situation worse.

And while it’s true that there was limited direct evidence on the effects of fiscal policy 6 or 7 years ago, there’s now a lot, and it’s very supportive of a Keynesian view.

The point is that while it’s definitely OK to scrutinize economists’ motives — to ask whether they’re responding to logic and evidence, or just talking their political book — assertions that it’s all politics deserve the same scrutiny. Is my behavior consistent with claims that my views are purely a reflection of my political preference? And if it isn’t — which I don’t think it is — what’s driving such claims? Might it be … politics, deployed on behalf of economic doctrines that have lost the substantive debate?

 

Perchè sono un keynesiano?

Noah Smith cita, in qualche modo approvandolo, Russ Roberts, che considera le varie posizioni macroeconomiche come sotterfugi per obbiettivi politici, e dichiara in particolare:

“Krugman è un keynesiano perché vuole uno Stato più ampio. Io sono anti keynesiano perché lo voglio più ristretto.”

Va bene, non mi sgomento per questo e non chiederò i sali per rinvenire[1]. La politica può condizionare i nostri punti di vista in modi che possiamo non riconoscere. Ma sono consapevole di questo rischio, e con regolarità sono abituato a chiedermi se non sto rischiando che quel genere di inclinazione si introduca di soppiatto. Riconosco di appoggiarmi a studi che sembrano troppo in consonanza con le mie preferenze politiche. Così, ad esempio, io sono stato aggressivamente scettico su studi che sembrano mostrare una relazione tra l’ineguaglianza e la crescita, proprio perché quel risultato sarebbe molto conveniente per la mia parte politica (il che non significa che siano sbagliati) [2].

Dunque, sono un keynesiano perché voglio uno Stato più forte? Se lo fossi, non dovrei sostenere misure di espansione permanenti anziché temporanee? Non dovrei essere a favore di misure di sostegno in ogni epoca, e non solo quando siamo al limite inferiore dello zero nei tassi di interesse? Quando mi pronuncio per uno Stato più forte – per l’assistenza sanitaria universale, per sussidi della Previdenza Sociale più elevati – non dovrei spingere queste soluzioni in quanto misure che creano posti di lavoro (non penso di averlo mai fatto)? Penso, se guardate alla mia documentazione, di essermi sempre espresso per una espansione temporanea della finanza pubblica, e soltanto quando la politica monetaria ha dei limiti. Al contempo, il mio sostegno ad uno stato assistenziale più vasto è sempre stato fatto su quelle basi, non in termini di pretesi benefici per il ciclo economico.

In altre parole, io sto usando argomenti politici nel modo in cui dovrebbe fare chi crede che la politica della finanza pubblica solo a certe condizioni può contribuire a combattere la disoccupazione, e niente affatto nel modo in cui farebbe qualcuno che cercasse di usare la recessione come una scusa per uno Stato permanentemente più forte.

Ma allora, perché sono un keynesiano? Forse sulla base di testimonianze convincenti?

Prima di tutto, c’è l’argomento schiacciante che deriva dal considerare che gran parte delle recessioni – e della Grande Recessione in particolare – sono cadute della domanda aggregata.

Ora, questo potrebbe essere un argomento per utilizzare la politica monetaria anziché quella della finanza pubblica – e quella è effettivamente la politica che io sostengo in risposta a recessioni ordinarie. Ma quando la crisi spinge i tassi di interesse allo zero, e quello ancora non basta, ogni semplice modello al quale mi posso riferire dice che l’espansione della finanza pubblica può essere un contributo utile, mentre l’austerità della finanza pubblica rende la situazione peggiore.

E mentre è vero che c’erano limitate testimonianze dirette sugli effetti della politica della finanza pubblica 6 o 7 anni orsono, adesso ce ne sono molte, e sono di grande sostegno al punto di vista keynesiano.

Il punto è che mentre è senz’altro giusto esaminare in dettaglio i motivi degli economisti – per chiedere se essi stanno rispondendo alla logica ed alle prove, oppure se stanno solo esprimendo le loro scommesse politiche – anche le affermazioni per le quali ‘tutto è politica’ meritano la stessa analisi scrupolosa. Il mio comportamento è coerente con le affermazioni secondo le quali i miei punti di vista sono un puro riflesso delle mie preferenze politiche? E se non lo è – come io penso – cos’è che guida tali affermazioni? Potrebbe darsi che sia …. la politica, che scende in campo nell’interesse di dottrine economiche che hanno perso sul terreno sostanziale del confronto?

 

[1] “Clutch my pearls” è una espressione idiomatica, letteralmente “afferrare, portar le mani alle perle (alla propria collana di perle)”, e indica la sensazione di paura che deriva dalla impressione di aver subito il furto di quell’oggetto di valore. I “sali” sono effettivamente i sali che servono a far rinvenire una persona che sta per svenire.

[2] Suppongo che qua Krugman intenda riferirsi ad un giudizio critico che aveva inizialmente espresso su un posizione di Stiglitz in ordine al rapporto appunto tra ineguaglianza e scarsa crescita, e che poi aveva in parte almeno sottoposto a revisione, ammettendo di essere stato, diciamo così, troppo ‘scrupoloso’. Si veda, per un ricostruzione di tali posizioni, la mia nota del 2 gennaio 2014 dal titolo “Diseguaglianze: l’evoluzione della riflessione di Krugman”, che ricostruisce tali prese di posizione.

 

 

 

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