Jun 8 8:08 am
I’ve been using the case of research on inequality and growth as an example of an issue where liberals need to be careful not to let wishful thinking drive their conclusions; it would fit perfectly with our world view if inequality were not just a bad thing but also bad for the economy, which is a reason to bend over backwards to avoid accepting that conclusion too easily. But what do we really know?
Well, there have been a number of studies that seem to find a negative relationship, all based on some kind of international cross-section approach (some with time-series aspects too). So what is my problem? In general, I have doubts about the whole growth regression methodology, which has lots of problems in identifying causation (remember, that’s the methodology behind the Reinhart-Rogoff debt-threshold paper). Beyond that, there just isn’t a striking, simple relationship between inequality and growth; all the results depend on doing fairly elaborate data massaging, which might be right but might also be teasing out a relationship that isn’t really there.
Let me give you a picture showing what I think we know. It compares inequality with growth; I’ve made some data choices that others may wish to do differently, so let me explain those details. First, instead of raw Ginis I use the new Gornick-Milanovic numbers for households without members over 60. Second, I measure growth in real GDP per working-age adult (15-64), because raw GDP per capita is significantly affected by demographic divergence. Third, I look at the period 1985-2007 — essentially, the Great Moderation — because I’m not talking about macroeconomic policy. Oh, and finally I exclude both transition economies (which went from Communist to very poor capitalist circa 1990, and have very different stories) and Ireland, which grew so fast that it’s hard to see anything else.
Here’s what I get:
Growth in GDP per working-age adult, 1985-2007 OECD, LIS
If you squint, maybe you see a very slight negative relationship here (R-squared of 0.02, if you care), but it’s not much. Basically, there isn’t much difference in growth rates overall; the low-inequality northern Europeans have a range of outcomes not noticeably different from the high-inequality Anglo-Saxons.
I might also note that low inequality is no protection against financial crisis — the Nordics had some major ones in the early 1990s. Also Denmark and the Netherlands have very high levels of household debt.
It’s important to realize that the absence of any clear relationship is a big win for progressives: right-wingers always claim that any attempt to reduce inequality will hurt the feelings of job creators and kill growth, but there’s not a hint of that problem in the data. But not much evidence that failure to reduce inequality kills growth, either. And I personally am making an effort not to be greedy — not to claim that a drive against inequality, which I view as crucially important for social and political reasons, is also the cure for lots of other things.
Riflessioni su ineguaglianza e crescita
È un po’ che utilizzo il caso della ricerca sull’ineguaglianza e sulla crescita come un esempio di un tema nel quale i progressisti dovrebbero non permettersi di arrivare alle loro conclusioni per effetto di un modo di ragionare ottimistico; se l’ineguaglianza non fosse soltanto una cosa sbagliata, ma fosse anche negativa per l’economia, ciò si attaglierebbe perfettamente alla nostra concezione del mondo, ma questa è una ragione per fare il possibile per non accettare quella conclusione troppo facilmente. Ma quanto ne sappiamo, in realtà?
Ebbene, ci sono stati un certo numero di studi che sembrano scoprire una relazione negativa, basati tutti su un genere di approccio che attraversa trasversalmente vari paesi del mondo (alcuni anche con aspetti relativi alle serie temporali). Quale è dunque il mio problema? In termini generali, io ho dubbi sull’intera metodologia delle regressioni in materia di crescita, che presenta molti problemi nella individuazione delle cause (si ricordi, è la metodologia che stava dietro lo studio di Reinhart-Rogoff sulla cosiddetta soglia del debito). Oltre a ciò, tra ineguaglianza e crescita non c’è affatto una relazione straordinaria e semplice; tutti i risultati dipendono da manipolazioni dei dati abbastanza elaborate, la qual cosa potrebbe essere giusta ma potrebbe anche far emergere una relazione che in realtà non esiste.
Consentitemi di mostrarvi una immagine che illustra quello che io penso che sappiamo. Esso confronta l’ineguaglianza con la crescita; ho fatto alcune scelte di dati che altri potrebbero voler fare diversamente, dunque fatemi spiegare quei dettagli. Anzitutto, invece dei semplici indici Gini [1], utilizzo i nuovi dati di Gornick-Milanovic sulle famiglie che non hanno componenti ultra sessantenni. Inoltre, misuro la crescita del PIL procapite per ogni adulto in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni), giacché il semplice PIL procapite è influenzato in modo significativo dalla divergenza demografica. In terzo luogo, mi riferisco al periodo 1985-2007 – essenzialmente l’epoca della Grande Moderazione – perché non sto parlando di politica macroeconomica [2]. Infine, escludo sia le economie in transizione (che sono passate dal comunismo ad un capitalismo molto povero attorno al 1990, e che hanno storie molto diverse), sia l’Irlanda, che è cresciuta in modo talmente rapido che è difficile affermare niente altro.
Ecco quello che ottengo [3]:
Crescita del PIL per adulti in età di lavoro, 1985-2007. OCSE, LIS [4]
Se strizzate gli occhi potete osservare in questo caso una relazione assai leggermente negativa (se vi interessa, il coefficiente di determinazione [5] è pari a 0,02), ma non è gran cosa. Fondamentalmente, non c’è molta differenza in generale nei tassi di crescita; la bassa ineguaglianza dei nord europei ha una gamma di risultati non apprezzabilmente diversa dall’alta ineguaglianza degli anglosassoni [6].
Potrei anche osservare che la bassa ineguaglianza non è una protezione contro le crisi finanziarie – i paesi nordici ne hanno avute alcune importanti nei primi anni ’90. Inoltre, la Danimarca e l’Olanda hanno livelli molto elevati di debito delle famiglie.
È importante comprendere che la assenza di una chiara relazione è un grande successo per i progressisti: la destra sostiene in continuazione che ogni tentativo di ridurre l’ineguaglianza è destinato a ferire i sentimenti di coloro che creano posti di lavoro e a spengere la crescita, ma nei dati non c’è alcun cenno di quel problema. Ma non ci sono neanche molte prove che il non riuscire a ridurre l’ineguaglianza spenge la crescita. Ed io personalmente sto facendo uno sforzo per non essere ingordo – ovvero per non sostenere che una spinta contro l’ineguaglianza, che io considero importante in modo così fondamentale per ragioni sociali e politiche, sia anche la cura per una quantità di altre cose.
[1] Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo. Si può incontrare la notazione con indice di Gini espresso in percentuale (0% – 100%), ovvero anche tra 0 e 100.(Wikipedia)
[2] Ovvero, suppongo, perché gli è più utile riferirsi ad un periodo più omogeneo, piuttosto che includere annualità con marcate caratteristiche derivanti dal ciclo economico.
[3] La tabella mostra l’andamento dei vari paesi in quei 22 anni, sulla linea verticale indicano il tasso di crescita del PIL procapite della popolazione in età di lavoro, su quella orizzontale l’indice Gini.
[4] Una Fondazione di ricerche economiche con sede in Lussemburgo.
[5] La proporzione tra la variabilità dei dati e la correttezza del modello statistico utilizzato.
[6] Se posso, per così dire, ‘intromettermi’, si può però anche considerare che forse non è del tutto casuale che i paesi europei in crisi (Spagna, Grecia ed Italia) – che pure ebbero in quel periodo andamenti del PIL diversi tra di loro – mostrano tutti coefficienti di disuguaglianza vicini alle punte più elevate dei paesi anglosassoni (Regno Unito, USA ed Australia), e distanti dai paesi del nord Europa ed anche da Germania e Francia.
By mm
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