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Aritmetica dell’austerità (dal blog di Krugman, 5 luglio 2015)

 

Jul 5 1:21 pm

Austerity Arithmetic

The betting markets now believe that Greece will vote “no”, but nobody really knows even now. So let me take some time to do a calculation that I should have done a while ago. Here’s the question: Even if you ignore everything else, can austerity policies really improve the debt position of a country in Greece’s situation? If so, how long will that take?

Suppose, to be concrete, that we talk about permanently raising the primary surplus by one percent of GDP. As I’ve written before, and as Simon Wren-Lewis notes, given the lack of an independent monetary policy achieving a primary surplus requires a lot more than one-for-one austerity. In fact, a good guess is that you’d have to slash spending by 2 percent of GDP, because austerity shrinks the economy and reduces tax receipts. This in turn means that you’d shrink the economy by around 3 percent. So, a 3 percent hit to GDP to raise the primary surplus by 1.

But a smaller economy means that the debt/GDP ratio goes up initially. In fact, given Greece’s starting point, with debt at 170 percent of GDP, the adverse effects of austerity mean that trying to raise the primary surplus by 1 point quickly causes the debt-GDP ratio to rise by 5 points (.03*170). So this might suggest that it would take 5 years of austerity just to get the debt ratio back to where it would have been in the absence of austerity.

But wait, there’s more. Let’s bring Irving Fisher into the discussion. A weaker economy will mean lower inflation (or faster deflation), which also tends to raise the debt/GDP ratio. The chart shows a scatterplot of Greece’s output gap (as estimated by the IMF — a dubious measure, but stay with it) versus the rate of change of the GDP deflator.

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IMF

Yes, it’s a crude Phillips curve, but it sort of works. And it suggests that a 1 point rise in the primary surplus, which requires austerity that causes a 3-point fall in real GDP, will reduce inflation by about 0.7 percentage points (3*0.23). And if you start with debt of 170 percent of GDP, this raises the debt ratio by more than a percentage point each year. That is, the attempt to reduce debt by slashing spending actually raises the ratio of debt to GDP, not just in the short run, but indefinitely.

OK, we can soften this result by bringing in the effect of falling Greek prices on exports, which should boost economic growth. I’m still working this one out, but at best it makes austerity successful at reducing the debt ratio in the very long run — think decades, not years. Austerity for a country in Greece’s position appears to be an unworkable solution even if debt is all you care about.

And just to be clear, I’m basically doing textbook macroeconomics here, nothing exotic. It’s the austerians who are inventing new economic doctrines on the fly to justify their policies, which appear to imply not temporary sacrifice but permanent failure.

 

Aritmetica dell’austerità

Dalle scommesse dei mercati ora sembra che si creda che la Grecia voterà ‘no’, ma sino a questo punto nessuno lo sa. Datemi dunque il tempo di fare un calcolo che avrei dovuto fare un po’ di tempo fa. Ecco la domanda: persino nell’ignoranza di tutto il resto, le politiche di austerità possono realmente migliorare la condizione del debito in un paese nella situazione della Grecia? E se così fosse, quanto tempo ci vorrebbe?

Supponiamo, per essere concreti, di parlare di una crescita permanente dell’avanzo primario dell’1 per cento del PIL. Come ho scritto in precedenza, e come anche Simon Wren-Lewis nota, data la mancanza di una politica monetaria indipendente, realizzare un avanzo primario richiede molto di più che una austerità nel rapporto di uno ad uno. Di fatto, una buona ipotesi è che si dovrebbe abbattere la spesa per un 2 per cento del PIL, giacché l’austerità contrae l’economia e riduce le entrate fiscali. A sua volta questo significa che si dovrebbe contrarre l’economia per circa un 3 per cento. Dunque, un colpo al PIL del 3 per cento per elevare l’avanzo primario di un 1 per cento.

Ma una economia ridotta comporta che il rapporto debito/PIL, all’inizio, salga. Di fatto, considerato il punto di partenza di un debito che, nel caso della Grecia, è al 170 per cento del PIL, gli effetti negativi dell’austerità comportano che cercare di far crescere l’avanzo primario di un 1 per cento, provochi rapidamente un aumento del rapporto debito/PIL di cinque punti (.03*170). Dunque, questo suggerirebbe che occorrerebbero 5 anni soltanto per riportare il tasso del debito al punto in cui sarebbe stato in assenza dell’austerità.

Ma aspettate, c’è di più. Inseriamo Irving Fisher dentro la nostra discussione. Un’economia più debole comporterà una inflazione più bassa (o una deflazione più veloce), la qualcosa anch’essa tende ad elevare il rapporto debito/PIL. La tabella sotto mostra un diagramma a diffusione del differenziale di produzione della Grecia (così come viene stimata dal FMI – un calcolo dubbio, ma atteniamoci ad esso) rispetto al tasso di mutamento del deflatore del PIL.

 

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FMI

 

È vero, si tratta di una primitiva curva di Phillips, ma è qualcosa che funziona (1). Ed indica che un punto di crescita nell’avanzo primario, che richiede una austerità che provochi una caduta di 3 punti nel PIL reale, ridurrà l’inflazione di circa 0,7 punti percentuali (3*0,23). E se si parte con un debito pari al 170 per cento del PIL, questo aumenta il rapporto del debito per circa un punto percentuale ogni anno. Vale a dire, il tentativo di ridurre il debito abbattendo la spesa pubblica aumenta il rapporto del debito sul PIL, non solo nel breve periodo, ma in un tempo indefinito.

Va bene, si può attenuare questo risultato mettendo nel conto la caduta dei prezzi greci all’esportazione, che dovrebbe incoraggiare la crescita economica. Sto ancora lavorando su questo aspetto, ma al massimo esso rende efficace l’austerità nel ridurre il tasso del debito nel lunghissimo periodo – si ragiona di decenni, non di anni. L’austerità per un paese nella condizione della Grecia sembra una soluzione che non può funzionare neppure se ci si preoccupa soltanto del debito.

E, solo per chiarezza, in questo caso sto fondamentalmente applicando una macroeconomia da libro di testo, niente di esotico. Sono i patiti dell’austerità che si stanno inventando dal nulla nuove dottrine economiche per giustificare le loro politiche, la qualcosa non pare comportare sacrifici temporanei, bensì un fallimento permanente.

 

 

 

(1)

Nelle note sulla traduzione si può trovare una spiegazione relativa alla curva di Phillips, un economista neozelandese scomparso nel 1975 che per primo studiò la relazione tra i livelli della disoccupazione e la crescita dei salari.

Nella tabella sopra la relazione viene estesa al rapporto tra inflazione e produzione. In sostanza, comunque, la riduzione dell’inflazione che deriverebbe da ulteriore austerità/indebolimento dell’economia avrebbe un effetto aggiuntivo sul PIL e dunque sul rapporto debito/PIL.

 

 

 

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