Monday, 6 July 2015
Simon Wren-Lewis
A lot of the commentary on Greece fails to see why the Greek No vote changes anything. This view tends to see the stance of the Eurozone group as simply expressing their own voters’ preferences which will not be changed by what happened yesterday. Here is an alternative reading.
It starts from a simple observation. The Troika will get far less of its money back (if any!) if Greece is forced out of the Eurozone. (I say forced out because Greece does not want to leave, so Greek exit is first and foremost an ECB decision: if you think otherwise read Karl Whelan and Matthew Klein and Paul De Grauwe.) That is why creditors are generally weak in negotiations of this kind. Things are different in this case only because the creditors include the ECB, and Greece wants to stay in the Eurozone. The Troika has played this for all it is worth. They were relying (you could say gambling) on the Greek people, one way or another, deciding that they would agree to the Troika’s demands because they feared Greek exit more.
So far this strategy has failed. First they pushed Tsipras further than he could possibly go, hoping perhaps that Syriza would collapse in recriminations. Tsipras’s response was a unifying referendum. They then gambled that Greece would say no, and they lost that too. Tsipras continues to offer the Troika the chance to be more reasonable. He followed the referendum not with triumphalism but by removing his finance minister. This was both a signal – I really want a deal, even though it will in all probability inflict further (unnecessary) pain on Greece – and a lifeline, because the Troika can now say that an important obstacle to a deal has been removed. (An obstacle, because Varoufakis was too open – something politicians and much of the press hate – and too honest about the other side’s lack of economics.)
Now the Troika seem to face a simple choice. Agree a deal and get a little more heat from your political opponents at home for ‘giving in’, or force Greek exit with the risk that you will get a lot more heat when Greece defaults and people realise you have lost all their money. If they are really just interested in getting as much of their money back as possible, it would seem crazy to throw away their best card by forcing Greece out of the Eurozone.
Of course rationality may not prevail, or interests may be rather different. The IMF may continue to be an unhelpful nuisance. (If you think my criticism of their role was harsh, read this from Peter Doyle.) Some within the Troika will be happy to go for Greek exit because they think nationalist sentiment can overcome any kickback from the subsequent Greek default. Others may fear a deal may encourage anti-austerity sentiment in their own indebted countries.
Unfortunately there is a third possibility, which is probably the worst possible outcome. To prevent any loss of face, the Troika may continue to gamble, waiting for days or even weeks, and watch ECB pressure, together with reluctance by Tsipras to introduce a new currency, gradually bring chaos to the Greek economy. Only then will it negotiate, allowing any deal to be portrayed as the result of desperation by the Greek government. In which case, recent European politics will have reached a new all time low.
Dopo l’Oxi, quale è la prossima mossa?
di Simon Wren-Lewis
Molti dei commenti sulla Grecia non riescono a vedere in che modo il voto per il NO possa cambiare alcunché. Questa posizione tende a considerare la posizione del gruppo dell’Eurozona come una semplice espressione delle preferenze dei propri elettori, preferenze che non saranno cambiate da quello che è successo ieri. Ecco una lettura alternativa.
Essa parte da una semplice osservazione. La Troika otterrà una restituzione dei suoi soldi molto inferiore (ammesso che accada) se la Grecia è estromessa dall’Eurozona (dico estromessa dato che la Grecia non vuole uscire, dunque l’uscita della Grecia sarebbe anzitutto e soprattutto una decisione della BCE; se la pensate diversamente leggete queste connessioni con Karl Whelan, Metthew Klein e Paul DeGrauwe [1]). Questa è la ragione per la quale i creditori sono normalmente deboli in negoziati di questa natura. Le cose in questo caso sono diverse solo perché i creditori includono la BCE, e la Grecia vuole restare nell’eurozona. La Troika ha giocato questa carta finché ha potuto. Hanno contato (per meglio dire, scommesso) sul popolo greco, sul fatto che esso, in un modo o nell’altro, decidesse che avrebbe acceduto alle richieste della Troika, perché temeva maggiormente l’uscita della Grecia.
Sino a questo punto questa strategia non ha funzionato. In primo luogo essi hanno spinto Tsipras oltre il limite che probabilmente poteva raggiungere, sperando forse che Syriza sarebbe crollata nelle recriminazioni. La risposta di Tsipras è stata un referendum unificante. Allora hanno scommesso che la Grecia avrebbe detto no, ed hanno perso anche quella scommessa. Tsipras continua ad offrire alla Troika la possibilità di essere più ragionevole. Egli non ha fatto seguire al referendum alcun trionfalismo, piuttosto ha rimosso il suo Ministro delle Finanze. Si è trattato sia di un segnale – io voglio davvero un accordo, persino se esso con tutta probabilità comporterà ulteriore (non necessaria) sofferenza alla Grecia – che di un’ancora di salvezza, perché adesso la Troika può dire che un importante ostacolo all’accordo è stato rimosso (un ostacolo, perché Varoufakis era troppo aperto – qualcosa che i politici e molta stampa disprezzano – e troppo onesto a proposito della assenza di razionalità economica dello schieramento opposto).
Ora la Troika sembra dinanzi ad una semplice scelta. Raggiungere un accordo e procurarsi un po’ più di animi riscaldati da parte dei propri oppositori politici interni per “essersi arresa”, oppure costringere la Grecia all’uscita con il rischio di riscaldare molto più gli animi quando la Grecia andrà in default e la gente realizzerà di aver perso tutti i propri soldi. Se realmente fossero solo interessati a vedersi restituire quanti più soldi possibile, sembrerebbe folle buttar via la loro carta migliore costringendo la Grecia ad uscire dall’Eurozona.
Naturalmente, la razionalità può non prevalere, o forse gli interessi possono essere abbastanza diversi. Il FMI può continuare a rappresentare un inutile fattore di disturbo (se pensate che questa mia critica sul loro ruolo sia troppo aspra, leggete questo articolo in connessione di Peter Doyle [2]). Alcuni all’interno della Troika saranno felici di scegliere l’uscita della Grecia perché pensano che il sentimento nazionalista può superare ogni colpo di coda successivo al default greco. Altri possono temere che un accordo possa incoraggiare sentimenti ostili all’austerità nei loro stessi paesi indebitati.
Sfortunatamente, c’è una terza possibilità, che sarebbe probabilmente il risultato peggiore possibile. Per fare in modo di non perdere la faccia, la Troika potrebbe continuare a scommettere, aspettando giorni o persino settimane, e stando a vedere la pressione da parte della BCE, assieme alla riluttanza di Tsipras ad introdurre una nuova valuta, portando gradualmente il caos nell’economia greca. Soltanto allora negozierebbero, aderendo ad ogni accordo che raffiguri il risultato della disperazione del Governo greco. Nel qual caso, la recente politica europea avrà raggiunto il punto più basso di tutti i tempi.
[1] L’articolo di Paul DeGrauwe è tradotto in questo blog (“La Grecia è solvibile ma illiquida”, 3 luglio 2015).
[2] Si tratta, in realtà, di un piccolo saggio dell’economista di Washington.
By mm
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