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Gli imperatori nudi della Cina, di Paul Krugman (New York Times 31 luglio 2015)

 

China’s Naked Emperors

JULY 31, 2015

Paul Krugman

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Politicians who preside over economic booms often develop delusions of competence. You can see this domestically: Jeb Bush imagines that he knows the secrets of economic growth because he happened to be governor when Florida was experiencing a giant housing bubble, and he had the good luck to leave office just before it burst. We’ve seen it in many countries: I still remember the omniscience and omnipotence ascribed to Japanese bureaucrats in the 1980s, before the long stagnation set in.

This is the context in which you need to understand the strange goings-on in China’s stock market. In and of itself, the price of Chinese equities shouldn’t matter all that much. But the authorities have chosen to put their credibility on the line by trying to control that market — and are in the process of demonstrating that, China’s remarkable success over the past 25 years notwithstanding, the nation’s rulers have no idea what they’re doing.

Start with the fundamentals. China is at the end of an era — the era of superfast growth, made possible in large part by a vast migration of underemployed peasants from the countryside to coastal cities. This reserve of surplus labor is now dwindling, which means that growth must slow.

But China’s economic structure is built around the presumption of very rapid growth. Enterprises, many of them state-owned, hoard their earnings rather than return them to the public, which has stunted family incomes; at the same time, individual savings are high, in part because the social safety net is weak, so families accumulate cash just in case. As a result, Chinese spending is lopsided, with very high rates of investment but a very low share of consumer demand in gross domestic product.

This structure was workable as long as torrid economic growth offered sufficient investment opportunities. But now investment is running into rapidly decreasing returns. The result is a nasty transition problem: What happens if investment drops off but consumption doesn’t rise fast enough to fill the gap?

What China needs are reforms that spread the purchasing power — and it has, to be fair, been making efforts in that direction. But by all accounts these efforts have fallen short. For example, it has introduced what is supposed to be a national health care system, but in practice many workers fall through the cracks.

Meanwhile, China’s leaders appear to be terrified — probably for political reasons — by the prospect of even a brief recession. So they’ve been pumping up demand by, in effect, force-feeding the system with credit, including fostering a stock market boom. Such measures can work for a while, and all might have been well if the big reforms were moving fast enough. But they aren’t, and the result is a bubble that wants to burst.

China’s response has been an all-out effort to prop up stock prices. Large shareholders have been blocked from selling; state-run institutions have been told to buy shares; many companies with falling prices have been allowed to suspend trading. These are things you might do for a couple of days to contain an obviously unjustified panic, but they’re being applied on a sustained basis to a market that is still far above its level not long ago.

What do Chinese authorities think they’re doing?

In part, they may be worried about financial fallout. It seems that a number of players in China borrowed large sums with stocks as security, so that the market’s plunge could lead to defaults. This is especially troubling because China has a huge “shadow banking” sector that is essentially unregulated and could easily experience a wave of bank runs.

But it also looks as if the Chinese government, having encouraged citizens to buy stocks, now feels that it must defend stock prices to preserve its reputation. And what it’s ending up doing, of course, is shredding that reputation at record speed.

Indeed, every time you think the authorities have done everything possible to destroy their credibility, they top themselves. Lately state-run media have been assigning blame for the stock plunge to, you guessed it, a foreign conspiracy against China, which is even less plausible than you may think: China has long maintained controls that effectively shut foreigners out of its stock market, and it’s hard to sell off assets you were never allowed to own in the first place.

So what have we just learned? China’s incredible growth wasn’t a mirage, and its economy remains a productive powerhouse. The problems of transition to lower growth are obviously major, but we’ve known that for a while. The big news here isn’t about the Chinese economy; it’s about China’s leaders. Forget everything you’ve heard about their brilliance and foresightedness. Judging by their current flailing, they have no clue what they’re doing.

 

 

 

Gli imperatori nudi della Cina, di Paul Krugman

New York Times 31 luglio 2015

I politici che governano durante grandi espansioni economiche spesso sviluppano illusioni di competenza. Lo potete constatare qua in America: Jeb Bush si immagina di conoscere i segreti della crescita economica perché è successo che fosse Governatore quando la Florida faceva l’esperienza di una gigantesca bolla immobiliare, ed ebbe la buona sorte di lasciare la carica proprio prima che scoppiasse. Lo abbiamo visto in molti paesi: ricordo ancora l’onniscienza e l’onnipotenza che veniva ascritta ai burocrati giapponesi negli anni ’80, prima che prendesse piede la grande stagnazione.

È questo il contesto nel quale si deve comprendere gli strani sobbalzi del mercato azionario in Cina. Di per sé, il prezzo dei titoli cinesi non dovrebbe essere così importante. Ma le autorità hanno scelto di mettere in gioco la loro credibilità sulla linea del cercare di controllare quel mercato – e sono in procinto di dimostrare che, malgrado il considerevole successo della Cina nei passati 25 anni, i governanti della nazione non hanno idea di quello che stanno facendo.

Si cominci con i fondamentali. La Cina è alla fine di un’epoca – l’epoca della crescita superveloce, resa in larga parte possibile da una vasta migrazione di contadini sottoccupati dalle campagne alle città della costa. Questa riserva di lavoro eccedentario si sta ora riducendo, il che significa che la crescita deve rallentare.

Ma la struttura economica della Cina è costruita attorno alla presunzione di una crescita molto rapida. Le imprese, molte delle quali di proprietà statale, accumulano i loro profitti piuttosto che distribuirli al pubblico, che ha redditi familiari rachitici; nello stesso tempo, i risparmi individuali sono elevati, in parte per la debolezza delle reti di sicurezza sociale, cosicché le famiglie accumulano contanti per ogni eventualità. Il risultato è che la spesa cinese è sbilenca, con tassi di investimento molto alti ma una quota molto bassa di prodotto interno lordo in domanda di consumi.

Questa struttura poteva funzionare finché una crescita economica surriscaldata ha offerto sufficienti opportunità di investimento. Ma adesso gli investimenti stanno rapidamente scontrandosi con rendimenti decrescenti. Il risultato è un difficile problema di transizione: cosa accade se gli investimenti calano ma i consumi non crescono con una velocità sufficiente a coprire la differenza?

Quello di cui la Cina ha bisogno sono riforme che espandano il potere d’acquisto – ed essa, onestamente, sta facendo sforzi in questa direzione. Ma, a detta di tutti, questi sforzi non sono stati adeguati. Ad esempio, essa ha introdotto qualcosa che assomiglia ad un sistema di assistenza sanitaria nazionale, ma in pratica molti lavoratori si perdono nelle pieghe del sistema.

Nel frattempo, i dirigenti della Cina sembrano essere atterriti – probabilmente per ragioni politiche – dalla prospettiva di una recessione anche breve. Dunque, stanno alimentando la domanda, in sostanza attraverso una alimentazione forzata del sistema con il credito, incluso l’incoraggiamento di un boom del mercato azionario. Tali misure possono funzionare per un certo periodo, e tutto poteva essere andato a buon fine se le grandi riforme si fossero mosse con sufficiente rapidità. Ma non è così, e il risultato è una bolla che è in procinto di scoppiare.

La risposta della Cina è stata uno sforzo generalizzato per sostenere i prezzi delle azioni. Sono state bloccate le vendite da parte di un gran numero di azionisti; agli istituti gestiti dallo Stato è stato detto di acquistare partecipazioni; a molte imprese con i prezzi in calo è stato permesso di sospendere gli scambi. Queste sono cose che si possono fare per un paio di giorni allo scopo di contenere un panico evidentemente ingiustificato; ma esse vengono applicate su basi prolungate ad un mercato che è ancora molto al di sopra del suo livello di non molto tempo fa.

Cosa pensano di star facendo le autorità cinesi?

In parte, può darsi che siano preoccupate delle ricadute finanziarie. Sembra che un certo numero di operatori in Cina si siano indebitati per grandi somme utilizzando le azioni come base di sicurezza, cosicché il crollo del mercato azionario potrebbe portare a fallimenti. Questo è particolarmente preoccupante perché la Cina ha un vasto settore di “sistema bancario ombra” che è fondamentalmente non regolato e facilmente potrebbe trovarsi dinanzi ad un’ondata di assalti agli sportelli.

Ma sembra anche che il Governo cinese, avendo incoraggiato i cittadini a comprare azioni, ora senta di dover difendere i prezzi delle azioni per tutelare la propria reputazione. E quello che sta finendo col fare, ovviamente, è distruggere quella reputazione ad una velocità record.

In effetti, ogni volta che si pensa che le autorità abbiano fatto il possibile per distruggere la loro credibilità, esse riescono a far di peggio. Di recente media di proprietà statale stanno assegnando la responsabilità del crollo delle azioni (indovinate a chi?) ad una cospirazione straniera contro la Cina, la qualcosa è anche meno plausibile di quello che potete pensare: la Cina da lungo tempo si è riservata controlli che tengono fuori gli stranieri dal suo mercato azionario, ed è difficile mettere in vendita asset se anzitutto non avete avuto la possibilità di diventarne proprietari.

Che cosa, dunque, abbiamo semplicemente da imparare? L’incredibile crescita della Cina non è stata un miraggio, e la sua economia resta un colosso produttivo. I problemi della transizione ad una minore crescita sono ovviamente importanti, ma sono cose cha sappiamo da un po’ di tempo. La grande novità, in questo caso, non riguarda l’economia cinese; riguarda i dirigenti cinesi. Scordatevi quello che avete sentito sulla loro arguzia e lungimiranza. A giudicare dal modo in cui stanno attualmente annaspando, non hanno alcuna idea di quello che stanno facendo.

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