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Gli irritanti apologeti dell’euro (dal blog di Krugman, 22 luglio 2015)

 

Jul 22 11:22 am

Annoying Euro Apologetics

Are there good arguments against the proposition that the creation of the euro was an epic mistake? Maybe. But the arguments I’ve been hearing lately are really bad. And they’re also deeply annoying.

One argument I keep seeing is that economist critics like myself don’t understand that the euro was a political and strategic project, not merely a matter of economic costs and benefits. Yes, I’m a dumb uncouth economist, completely unaware of the role of politics and international strategy in policy decisions, who never heard of the European project and its origins in the effort to put Europe’s legacy of war behind it, not to mention strengthen democracy in the Cold War.

Well, actually I do know all about that. The point, however, is that while the European project has at every stage combined economic objectives with broader political goals – it’s about peace and democracy through integration and prosperity – the project can’t be expected to work unless the economic measures are a good idea in and of themselves, or at least a non-catastrophic idea. What happened in the march to the euro was that European elites, in love with the symbolism of a single currency, closed their minds to warnings that currency union – unlike the removal of trade barriers – was at best ambiguous in its economic logic, and arguably, even ex ante, a very bad idea indeed.

An alternative argument, which we’re hearing from depressed European economies like Finland, is that the short-term costs of inflexibility are outweighed by the supposedly huge gains from greater integration. But where’s the evidence for these huge gains? In this article, they’re said to be demonstrated by Finland’s strong growth before the recent crisis. But is it plausible to give credit for the Nokia boom to the single currency?

Well, the chart shows a comparison I find interesting, between Finland and its neighbor Sweden, where a referendum in 2003 rejected euro membership. (I remember that vote: Swedish friends who shared my worries about the euro phoned me in the middle of the night to celebrate.) For both countries I use 1989 as a baseline; that was the year before the great Scandinavian slump of the 1990s, brought on by runaway banks and a huge housing bubble.

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Total economy database

After that slump, Finland experienced a long stretch of solid economic growth. But so did Sweden, and it’s hard to see any real difference in their degrees of success. There’s certainly nothing there to indicate that euro membership was crucial to growth. Since 2008, on the other hand, Sweden has – despite bobbling its monetary policy – done much better.

As I said, maybe there are good arguments against the proposition that the euro was a mistake. But pointing out that politics matters, and economies grow, doesn’t cut it; these aren’t the factoids you’re looking for.

 

Gli irritanti apologeti dell’euro

Esistono buoni argomenti da opporre all’idea che la creazione dell’euro si stata un errore epico? Forse sì. Ma gli argomenti che sto ascoltando sono del tutto scadenti. E sono anche profondamente irritanti.

Un argomento che continuo a osservare è che gli economisti che, come me, avanzano critiche non capiscono che l’euro è stato un progetto politico e strategico, non una mera faccenda di costi e di vantaggi economici. Sì, io sono un economista tardivo e rozzo, del tutto inconsapevole del ruolo della politica e della strategia internazionale nelle decisioni pubbliche, che non ha mai sentito parlare del progetto europeo e delle sue origini, nello sforzo dell’Europa di mettersi alle spalle l’eredità della guerra, per non dire di rafforzare la democrazia durante la Guerra Fredda.

Ora, per la verità sono tutte cose che conosco. Il punto, tuttavia, è che mentre il progetto europeo ad ogni suo stadio ha combinato obbiettivi economici con più generali obbiettivi politici – esso riguarda la pace e la democrazia, in un percorso di integrazione e di prosperità – non ci si può aspettare che quel progetto funzioni se le misure economiche non sono per loro conto una buona idea, o almeno un’idea non catastrofica. Quello che accadde nel percorso verso l’euro fu che le classi dirigenti europee, innamorate dalla carica simbolica della valuta unica, si rifiutarono di intendere gli ammonimenti secondo i quali l’unione valutaria – diversamente dalla rimozione delle barriere commerciali – era, nella sua logica economica, nel migliore dei casi un’idea ambigua, e probabilmente, persino ex ante, davvero scorretta.

Un argomento alternativo, che ascoltiamo provenire dalle economie depresse europee come la Finlandia, è che i costi a breve termine dell’inflessibilità sono bilanciati da supposti grandi vantaggi che vengono da una maggiore integrazione [1]. Ma dove sono le prove di questi grandi vantaggi? In questo articolo, si dice che quei vantaggi sono dimostrati dalla forte crescita della Finlandia dopo la crisi recente. Ma è possibile accreditare alla moneta unica il boom della Nokia? [2]

Ebbene, il diagramma mostra un confronto che io trovo interessante, tra la Finlandia e la sua vicina Svezia, dove un referendum nel 2003 respinse la adesione all’euro (mi ricordo di quel voto: amici svedesi che condividevano le mie preoccupazioni mi telefonarono nel mezzo della notte per festeggiare il risultato). Per entrambi i paesi utilizzo il 1989 come dato di partenza; quello fu l’anno precedente al grande declino scandinavo degli anni ’90, provocato da banche che uscirono dal controllo e a una vasta bolla immobiliare.

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Banca dati di Total economy.

Dopo quel declino la Finlandia ha conosciuto un lungo periodo di solida crescita economica. Ma lo stesso accadde per la Svezia, ed è arduo vedere una qualche reale differenza nelle dimensioni del loro successo. Certamente non c’è niente che indica che la partecipazione all’euro fu cruciale per la crescita. D’altra parte, a partire dal 2008, la Svezia è andata assai meglio – nonostante le oscillazioni della sua politica monetaria.

Come ho detto, può darsi che ci siano buoni argomenti contro il concetto che l’euro fu un errore. Ma mettere l’accento sul fatto che conta la politica, e che le economie crescono, non risolve la questione; non è a questi luoghi comuni che si deve guardare.

 

 

 

 

[1] L’articolo al quale ci si riferisce nella connessione è di Neil Irwin, ed è apparso il 20 luglio sul New York Times.

[2] Nokia Oyj è una multinazionale finlandese, produttrice di apparecchiature per telecomunicazioni. Il 3 settembre 2013 viene annunciato ufficialmente un accordo dal valore di 5,44 miliardi di euro (7,17 miliardi di dollari), con il quale Microsoft si aggiudica la divisione Devices & Services di Nokia, i marchi Lumia, Asha e PureView, 8.500 brevetti permanenti, 30.000 brevetti in licenza per 10 anni e 32.000 dipendenti. (Wikipedia)

Ovviamente, gli andamenti economici di tale multinazionale hanno di recente influenzato in modo notevole le prestazioni finlandesi. Ciononostante le difficoltà sono evidenti.

 

 

 

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