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Grecia: metter fine ai salassi, di Paul Krugman (New York Times, 5 luglio 2015)

 

Ending Greece’s Bleeding

JULY 5, 2015

Paul Krugman

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Europe dodged a bullet on Sunday. Confounding many predictions, Greek voters strongly supported their government’s rejection of creditor demands. And even the most ardent supporters of European union should be breathing a sigh of relief.

Of course, that’s not the way the creditors would have you see it. Their story, echoed by many in the business press, is that the failure of their attempt to bully Greece into acquiescence was a triumph of irrationality and irresponsibility over sound technocratic advice.

But the campaign of bullying — the attempt to terrify Greeks by cutting off bank financing and threatening general chaos, all with the almost open goal of pushing the current leftist government out of office — was a shameful moment in a Europe that claims to believe in democratic principles. It would have set a terrible precedent if that campaign had succeeded, even if the creditors were making sense.

 

What’s more, they weren’t. The truth is that Europe’s self-styled technocrats are like medieval doctors who insisted on bleeding their patients — and when their treatment made the patients sicker, demanded even more bleeding. A “yes” vote in Greece would have condemned the country to years more of suffering under policies that haven’t worked and in fact, given the arithmetic, can’t work: austerity probably shrinks the economy faster than it reduces debt, so that all the suffering serves no purpose. The landslide victory of the “no” side offers at least a chance for an escape from this trap.

But how can such an escape be managed? Is there any way for Greece to remain in the euro? And is this desirable in any case?

The most immediate question involves Greek banks. In advance of the referendum, the European Central Bank cut off their access to additional funds, helping to precipitate panic and force the government to impose a bank holiday and capital controls. The central bank now faces an awkward choice: if it resumes normal financing it will as much as admit that the previous freeze was political, but if it doesn’t it will effectively force Greece into introducing a new currency.

Specifically, if the money doesn’t start flowing from Frankfurt (the headquarters of the central bank), Greece will have no choice but to start paying wages and pensions with i.o.u.s, which will de facto be a parallel currency — and which might soon turn into the new drachma.

Suppose, on the other hand, that the central bank does resume normal lending, and the banking crisis eases. That still leaves the question of how to restore economic growth.

In the failed negotiations that led up to Sunday’s referendum, the central sticking point was Greece’s demand for permanent debt relief, to remove the cloud hanging over its economy. The troika — the institutions representing creditor interests — refused, even though we now know that one member of the troika, the International Monetary Fund, had concluded independently that Greece’s debt cannot be paid. But will they reconsider now that the attempt to drive the governing leftist coalition from office has failed?

I have no idea — and in any case there is now a strong argument that Greek exit from the euro is the best of bad options.

Imagine, for a moment, that Greece had never adopted the euro, that it had merely fixed the value of the drachma in terms of euros. What would basic economic analysis say it should do now? The answer, overwhelmingly, would be that it should devalue — let the drachma’s value drop, both to encourage exports and to break out of the cycle of deflation.

Of course, Greece no longer has its own currency, and many analysts used to claim that adopting the euro was an irreversible move — after all, any hint of euro exit would set off devastating bank runs and a financial crisis. But at this point that financial crisis has already happened, so that the biggest costs of euro exit have been paid. Why, then, not go for the benefits?

Would Greek exit from the euro work as well as Iceland’s highly successful devaluation in 2008-09, or Argentina’s abandonment of its one-peso-one-dollar policy in 2001-02? Maybe not — but consider the alternatives. Unless Greece receives really major debt relief, and possibly even then, leaving the euro offers the only plausible escape route from its endless economic nightmare.

And let’s be clear: if Greece ends up leaving the euro, it won’t mean that the Greeks are bad Europeans. Greece’s debt problem reflected irresponsible lending as well as irresponsible borrowing, and in any case the Greeks have paid for their government’s sins many times over. If they can’t make a go of Europe’s common currency, it’s because that common currency offers no respite for countries in trouble. The important thing now is to do whatever it takes to end the bleeding.

 

Grecia: metter fine ai salassi, di Paul Krugman

5 luglio 2015

Domenica l’Europa l’ha scampata bella. Smentendo molte previsioni, gli elettori greci hanno dato un grande sostegno al loro Governo nel respingere le richieste dei creditori. Ed anche i più ardenti sostenitori dell’Unione Europea dovrebbero tirare un sospiro di sollievo.

Naturalmente, non è questa la soluzione che i creditori avrebbero voluto vedere. Il loro racconto, echeggiato in molta stampa economica, è che il fatto che sia andato a vuoto il tentativo di costringere la Grecia all’acquiescenza sia stato il trionfo dell’irrazionalità e dell’irresponsabilità sui saggi consigli della tecnocrazia.

Ma quella campagna di intimidazione – il tentativo di terrorizzare i greci tagliando i finanziamenti delle banche e minacciando il caos generale, il tutto nell’obbiettivo quasi dichiarato di metter fuori dalle sue funzioni il Governo della sinistra – è stato un episodio vergognoso in un’Europa che pretende di credere nei principi democratici. Se quella campagna avesse avuto successo, sarebbe stato un terribile precedente, persino se i creditori avessero avuto ragione.

Per di più, non l’avevano. La verità è che i sedicenti tecnocrati sono come i dottori medioevali che si ostinavano a praticare salassi sui loro pazienti – e quando la salute di costoro peggiorava a seguito di quei trattamenti, chiedevano salassi ancora maggiori. Una vittoria del ‘sì’ in Grecia avrebbe condannato il paese ad anni di maggiore sofferenza sotto politiche che non hanno funzionato e che, data la matematica, non possono funzionare; probabilmente l’austerità avrebbe ristretto l’economia più velocemente di quanto non avrebbe ridotto il debito, cosicché tutta quella sofferenza non sarebbe servita a niente. La vittoria schiacciante del fronte del ‘no’ offre almeno una possibilità per venir fuori da questa trappola.

Ma come può essere gestita una via di fuga del genere? C’è qualche modo perché la Grecia resti nell’euro? E, in ogni caso, è desiderabile?

La domanda più immediata riguarda le banche greche. Prima del referendum, la Banca Centrale Europea ha tagliato il loro accesso ai finanziamenti aggiuntivi, contribuendo a precipitare la situazione nel panico e costringendo il Governo a imporre una sospensione delle attività bancarie e il controllo dei capitali. Ora la banca centrale si trova dinanzi ad una scelta imbarazzante: se rimette in funzione i finanziamenti normali sarà come ammettere che il precedente congelamento era di natura politica, ma se non lo fa di fatto costringerà la Grecia alla introduzione di una nuova valuta.

In particolare, se i soldi non cominciano a scorrere da Francoforte (il quartier generale della banca centrale), la Grecia non avrà altra scelta se non cominciare a pagare i salari e le pensioni con delle ‘promesse di pagamento’, che saranno di fatto una moneta parallela – e che presto potrebbero trasformarsi nella nuova dracma.

Supponiamo, d’altra parte, che la banca centrale riprenda i normali prestiti e che la crisi bancaria si semplifichi. Resterebbe la domanda di come ripristinare la crescita dell’economia.

Nei negoziati falliti che avevano portato al referendum di domenica, il principale punto del contendere riguardava la richiesta della Grecia di una permanente attenuazione del debito, per rimuovere la nuvola che incombe sulla sua economia. La Troika – le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori – oppose un rifiuto, anche se oggi sappiamo che uno dei membri della Troika, il Fondo Monetario Internazionale, per suo conto è arrivato alla conclusione che quel debito non può essere restituito. Ma saranno disposti a riconsiderarlo, adesso che il tentativo di rimuovere dalle sue funzioni il Governo della coalizione di sinistra è fallito?

Non ne ho idea – e in ogni caso ora c’è un solido argomento secondo il quale l’uscita della Grecia dall’euro, tra tutte le scelte negative, è la migliore.

Si immagini per un momento che la Grecia non abbia mai adottato l’euro, che abbia semplicemente fissato il valore della dracma in termini di euro. Cosa dovrebbe fare a questo punto, secondo una analisi economica elementare? L’unanime risposta sarebbe che deve svalutare – lasciar cadere il valore della dracma, sia per incoraggiare le esportazioni che per interrompere il ciclo della deflazione.

Naturalmente, la Grecia non ha più la sua valuta, e molti analisti di solito sostengono che l’adozione dell’euro sia stata una scelta irreversibile – dopo tutto, il minimo cenno di uscita dall’euro determinerebbe una devastante corsa agli sportelli ed una crisi finanziaria. Ma a questo punto la crisi finanziaria c’è già stata, in modo tale che i maggiori costi dell’uscita dall’euro sono stati pagati. Per quale ragione, dunque, non passare ai benefici?

L’uscita greca dall’euro provocherebbe lo stesso effetto della svalutazione di grande successo dell’Islanda nel 2008-2009, o dell’abbandono da parte dell’Argentina della sua politica di parità tra il peso e il dollaro, nel 2001-2002? Forse no, ma si considerino le alternative. Se la Grecia non ottiene realmente una importante attenuazione del debito, e forse anche in quel caso, lasciare l’euro offre l’unica plausibile via di fuga dal suo incubo economico senza fine.

E siamo chiari: se la Grecia alla fine lascia l’euro, questo non significherebbe che i Greci siano cattivi europei. Il problema del debito in Grecia è stato il riflesso di un indebitamento altrettanto irresponsabile dei crediti concessi, e in ogni caso i Greci hanno pagato per i peccati dei loro Governi svariate volte. Se non possono far funzionare la valuta comune europea, è perché quella valuta comune non offre alcun respiro ai paesi in difficoltà. La cosa importante a questo punto è fare tutto quello che serve per metter fine ai salassi.

 

 

 

 

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