July 22, 2015 11:18 am
What about Ireland? That’s what some people have been asking me; they’re under the impression that Ireland is a success story for austerity, and that this success is somehow a refutation of the broadly Keynesian account of the economy I’ve been giving. So I guess some clarification is in order.
As it happens, Simon Wren-Lewis has recently taken this very question on, and in a way I don’t have much to add. But maybe it will help to say more or less the same thing, but differently.
First of all, Ireland is a success only in a relative sense. Yes, it has done better than Greece, but it suffered a prolonged, very severe slump. It is growing again, finally — but that doesn’t undo the reality of a large price paid to get to this point.
Still, it is growing, and fairly fast at this point. Isn’t this something that wasn’t supposed to happen? Actually, no. If you apply a textbook Keynesian model – literally, the one in the best-selling international text, which happens to be Krugman, Melitz, and Obstfeld – it tells a story that looks a lot like Irish experience.
That textbook model can be described with the three equations shown, in which all variables are shown as deviations from their long-run equilibrium. First, the output gap y is determined via a multiplier effect by the structural budget balance B and the level of net exports NX. Second, net exports are determined by the real exchange rate; if we take the nominal exchange rate as given (e.g., if you’re on the euro), and also take foreign prices as given, this is determined by the domestic price level p. Finally, we have a rudimentary Phillips curve, in which the rate of inflation depends on the output gap.
Taken together, these imply the fourth equation, which shows how output self-corrects over time. In words: if the economy is depressed, it will experience deflation, perhaps absolute but in any case relative to its trading partners; this will gradually improve competitiveness, causing next exports to rise and the economy to converge back to normal. The rate of convergence will depend on three parameters: the multiplier, the sensitivity of the trade balance to the real exchange rate, and the sensitivity of inflation to the output gap.
I’ve written down some plausible guesses about these three parameters; they imply that the process of internal devaluation will, left to itself, correct 22.5 percent of an output gap over the course of a year. Alternatively, they imply that the half-life of a deviation of output from potential will be a little over three years.
But, you say, we’re more than 5 years into the euro crisis. Shouldn’t it be mostly gone? No, because austerity wasn’t put into effect all at once. Instead, countries faced several years of fiscal consolidation before there was a pause that permitted growth to resume.
The figure shows a hypothetical example that is meant as a sort of stylized Ireland. I assume that a fiscal tightening equal to 6 percent of potential GDP takes place over the course of three years; the cyclically adjusted balance then stabilizes, with no further tightening. What you see is a large economic downturn as long as the screws are being tightened, but a significant recovery once this stops. Again, this is just standard Keynesian open-economy macro: over time a depressed economy gains competitiveness, so that in the long run recovery happens. But in the long run …
I ‘tempi di dimezzamento’ degli altri (per esperti)
Che dire dell’Irlanda? È quello che alcuni mi stanno chiedendo: sono rimasti impressionati dal fatto che l’Irlanda sia una storia di successo dal punto di vista dell’austerità, e che questo successo sia in qualche modo una confutazione del generale resoconto keynesiano sull’economia che io vengo proponendo. Penso dunque sia il caso di qualche chiarimento.
Si dà il caso che Simon Wren-Lewis di recente si sia fatto carico di questa domanda [1], peraltro in termini ai quali non ho molto da aggiungere. Ma forse può essere utile dire più o meno la stessa cosa, in modi diversi.
Prima di tutto, l’Irlanda è una storia di successo solo in senso relativo. È vero, è andata meglio che in Grecia, ma essa ha patito un declino prolungato e molto serio. Sta tornando a crescere, finalmente – ma ciò non annulla la realtà del grande prezzo pagato per arrivare a questo punto.
Eppure, a questo punto sta crescendo, ad anche abbastanza velocemente. Si tratta di qualcosa che non si pensava accadesse? Per la verità, non è così. Se utilizzate un modello da un libro di testo keynesiano – precisamente il testo più diffuso a livello internazionale, che si dà il caso sia quello di Krugman, Melitz e Obstfeld – esso racconta una storia che sembra del tutto simile all’esperienza irlandese.
Quel modello da libro di testo può essere descritto con le tre equazioni sotto riprodotte, nelle quali tutte le variabili sono mostrate come deviazioni dal loro equilibrio di lungo termine. In primo luogo, il differenziale di produzione “y” è determinato attraverso un effetto di moltiplicatore dall’equilibrio strutturale di bilancio “B” e dal livello delle esportazioni nette “NX”. In secondo luogo le esportazioni nette sono determinate dal tasso di cambio reale; se assumiamo che il tasso di cambio reale è dato (ad esempio, se si fa parte dell’euro), e se anche assumiamo come dati i prezzi esteri, questo (il tasso di cambio) è determinato dal livello dei prezzi interno “p”. Infine abbiamo una rudimentale curva di Phillips [2], nella quale il tasso di inflazione dipende dal differenziale della produzione.
Prese assieme, queste equazioni ne implicano una quarta, che mostra come la produzione corregge se stessa nel corso del tempo. Esprimendolo in parole: se l’economia è depressa, essa conoscerà la deflazione, forse in termini assoluti ma comunque in relazione ai suoi partner commerciali; questo aumenterà gradualmente la sua competitività, provocando una successiva crescita delle esportazioni e una convergenza dell’economia verso la precedente normalità. Il tasso della convergenza dipenderà da tre parametri: il moltiplicatore, la sensibilità della bilancia commerciale al cambio di tasso reale, e la sensibilità dell’inflazione al differenziale della produzione.
Ho annotato alcune stime plausibili su questi tre parametri; esse implicano che il processo della svalutazione interna, lasciato a se stesso, correggerà il 22,5 per cento del differenziale della produzione nel corso di un anno. Alternativamente, esse implicano che il periodo di dimezzamento di una deviazione della produzione dal suo potenziale avverrà un poco sopra i tre anni.
Ma, direte, è 5 anni che siamo nella crisi dell’euro. Non dovrebbe (quella deviazione) essersene in gran parte andata? No, perché l’austerità non è stata messa in pratica tutta in una volta. I paesi hanno, invece, affrontato vari anni di consolidamento delle finanze pubbliche prima che ci fosse una pausa che ha consentito alla crescita di ripartire.
La figura mostra un esempio ipotetico che ha il significato di una specie di stilizzazione del caso irlandese. Considero che una restrizione della finanza pubblica pari al 6 per cento del PIL potenziale avvenga nel corso di tre anni; successivamente l’equilibrio corretto sulla base del ciclo economico si stabilizza, senza alcuna ulteriore restrizione. Quello che potete osservare è un ampio declino economico per tutto il tempo nel quale la restrizione è all’opera, ma una significativa ripresa una volta che questa si interrompe. Occorre aggiungere che questa è soltanto una normale macroeconomia keynesiana in condizioni di mercati aperti: nel corso del tempo una economia depressa guadagna competitività, cosicché nel lungo periodo si dà la ripresa. Ma nel lungo periodo ….
[1] Il riferimento è al post “Irlanda e Grecia” di Wren-Lewis del 19 luglio, tradotto su questo blog.
[2] Vedi le note sulla traduzione.
By mm
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