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Il sogno impossibile dell’Europa, di Paul Krugman (New York Times 20 luglio 2015)

Europe’s Impossible Dream

JULY 20, 2015

Paul Krugman

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There’s a bit of a lull in the news from Europe, but the underlying situation is as terrible as ever. Greece is experiencing a slump worse than the Great Depression, and nothing happening now offers hope of recovery. Spain has been hailed as a success story, because its economy is finally growing — but it still has 22 percent unemployment. And there is an arc of stagnation across the continent’s top: Finland is experiencing a depression comparable to that in southern Europe, and Denmark and the Netherlands are also doing very badly.

How did things go so wrong? The answer is that this is what happens when self-indulgent politicians ignore arithmetic and the lessons of history. And no, I’m not talking about leftists in Greece or elsewhere; I’m talking about ultra-respectable men in Berlin, Paris, and Brussels, who have spent a quarter-century trying to run Europe on the basis of fantasy economics.

To someone who didn’t know much economics, or chose to ignore awkward questions, establishing a unified European currency sounded like a great idea. It would make doing business across national borders easier, while serving as a powerful symbol of unity. Who could have foreseen the huge problems the euro would eventually cause?

Actually, lots of people. In January 2010 two European economists published an article titled “It Can’t Happen, It’s a Bad Idea, It Won’t Last,” mocking American economists who had warned that the euro would cause big problems. As it turned out, the article was an accidental classic: at the very moment it was being written, all those dire warnings were in the process of being vindicated. And the article’s intended hall of shame — the long list of economists it cites for wrongheaded pessimism — has instead become a sort of honor roll, a who’s who of those who got it more or less right.

The only big mistake of the euroskeptics was underestimating just how much damage the single currency would do.

The point is that it wasn’t at all hard to see, right from the beginning, that currency union without political union was a very dubious project. So why did Europe go ahead with it?

Mainly, I’d say, because the idea of the euro sounded so good. That is, it sounded forward-looking, European-minded, exactly the kind of thing that appeals to the kind of people who give speeches at Davos. Such people didn’t want nerdy economists telling them that their glamorous vision was a bad idea.

Indeed, within Europe’s elite it quickly became very hard to raise objections to the currency project. I remember the atmosphere of the early 1990s very well: anyone who questioned the desirability of the euro was effectively shut out of the discussion. Furthermore, if you were an American expressing doubts you were invariably accused of ulterior motives — of being hostile to Europe, or wanting to preserve the dollar’s “exorbitant privilege.”

And the euro came. For a decade after its introduction a huge financial bubble masked its underlying problems. But now, as I said, all of the skeptics’ fears have been vindicated.

Furthermore, the story doesn’t end there. When the predicted and predictable strains on the euro began, Europe’s policy response was to impose draconian austerity on debtor nations — and to deny the simple logic and historical evidence indicating that such policies would inflict terrible economic damage while failing to achieve the promised debt reduction.

It’s astonishing even now how blithely top European officials dismissed warnings that slashing government spending and raising taxes would cause deep recessions, how they insisted that all would be well because fiscal discipline would inspire confidence. (It didn’t.) The truth is that trying to deal with large debts through austerity alone — in particular, while simultaneously pursuing a hard-money policy — has never worked. It didn’t work for Britain after World War I, despite immense sacrifices; why would anyone expect it to work for Greece?

What should Europe do now? There are no good answers — but the reason there are no good answers is because the euro has turned into a Roach Motel, a trap that’s hard to escape. If Greece still had its own currency, the case for devaluing that currency, improving Greek competitiveness and ending deflation, would be overwhelming.

The fact that Greece no longer has a currency, that it would have to create one from scratch, vastly raises the stakes. My guess is that euro exit will still prove necessary. And in any case it will be essential to write down much of Greece’s debt.

But we’re not having a clear discussion of these options, because European discourse is still dominated by ideas the continent’s elite would like to be true, but aren’t. And Europe is paying a terrible price for this monstrous self-indulgence.

 

Il sogno impossibile dell’Europa, di Paul Krugman

New York Times 20 luglio 2015

C’è un po’ di calma nelle notizie dall’Europa, ma sotto la calma la situazione è terribile come sempre. La Grecia sta conoscendo un declino peggiore della Grande Depressione, e niente di quello che avviene in questo momento offre speranze di ripresa. La Spagna è stata salutata come una storia di successo, perché la sua economia alla fine sta crescendo – ma ha ancora una disoccupazione al 22 per cento. E c’è un arco di paesi in stagnazione nella zona alta del continente: la Finlandia è dinanzi ad una depressione paragonabile all’Europa meridionale, anche la Danimarca e i Paesi Bassi stanno andando molto male.

Come è possibile che le cose siano finite in tal modo? La risposta è che questo accade quando politici che si auto ingannano ignorano la matematica e le lezioni della storia. E non sto parlando dei radicali di sinistra in Grecia o altrove; sto parlando di persone ultra rispettabili a Berlino, Parigi e Bruxelles, che hanno speso un quarto di secolo a cercare di governare l’Europa sulla base di fantasie economiche.

Per qualcuno che non sapeva granché di economia, o preferiva ignorare le domande difficili, realizzare una valuta comune europea parve una grande idea. Avrebbe reso più semplice fare affari da una parte all’altra dei confini nazionali, nel mentre avrebbe costituito un simbolo potente di unità. Chi avrebbe potuto prevedere gli immensi problemi che alla fine l’euro avrebbe provocato?

Per la verità, un sacco di gente. Nel 2010 due economisti europei pubblicarono un articolo dal titolo “Non può succedere, è una cattiva idea, non durerà”, ironizzando sugli economisti americani che avevano messo in guardia sui grandi problemi che sarebbero stati provocati dall’euro. Come risultò, l’articolo era destinato a diventare un involontario classico: proprio nel momento in cui veniva scritto, tutti quei terribili ammonimenti erano in procinto di essere confermati. E l’intenzionale corridoio della vergogna dell’articolo – il lungo elenco che esso citava di economisti fuorviati dal pessimismo – è invece diventato una sorta di lista dei migliori, il Gotha di coloro che avevano capito le cose più o meno giustamente.

L’unico grande errore degli euroscettici fu il sottostimare quanto sarebbe stato grande il danno provocato dalla moneta unica.

Il punto è che, proprio sin dall’inizio, non era così difficile comprendere che l’unione monetaria senza un’unione politica era un progetto altamente improbabile. Perché, dunque, l’Europa andò avanti con esso?

Principalmente, direi, perché l’idea dell’euro appariva semplicemente positiva. Ovvero, sembrava guardare in avanti, con una mentalità europea, esattamente il genere di cosa che attrae le persone che fanno discorsi a Davos. Tali individui non vogliono ascoltare economisti supponenti che dicono che le loro entusiasmanti visioni sono state una cattiva idea.

In effetti, all’interno delle classi dirigenti europee diventò rapidamente molto difficile sollevare obiezioni al progetto valutario. Ricordo benissimo l’atmosfera agli inizi degli anni ’90: chiunque avanzasse dubbi sulla desiderabilità dell’euro era sostanzialmente messo fuori dalla discussione. Inoltre, se ad avanzare dubbi erano americani, essi erano invariabilmente accusati di motivi reconditi – di essere ostili all’Europa, o di voler preservare l’ “esorbitante privilegio” del dollaro.

E poi venne l’euro. Per un decennio, dopo l’introduzione, una ampia bolla finanziaria mascherò i suoi problemi sottostanti. Ma adesso, come ho detto, tutti i timori degli scettici sono stati risarciti.

Si deve aggiungere che la storia non finisce a quel punto. Quando cominciarono le previste e prevedibili tensioni sull’euro, la risposta della politica europea fu quella di imporre una austerità draconiana sulle nazioni debitrici – e di negare la semplice logica e le prove storiche che mostrano cha tali politiche provocano un danno economico terribile nel mentre non riescono ad ottenere la promessa restituzione del debito.

È ancora oggi stupefacente con quanta incoscienza i massimi dirigenti europei liquidarono gli ammonimenti secondo i quali abbattere la spesa pubblica ed elevare le tasse avrebbe provocato profonde recessioni, il modo in cui essi continuarono a sostenere che tutto sarebbe andato ottimamente perché la disciplina della finanza pubblica avrebbe ispirato fiducia (il che non avvenne). La verità è che cercare di fare i conti con ampi debiti solo attraverso l’austerità – in particolare mentre contemporaneamente si persegue una politica di restrizione monetaria – non ha mai funzionato. Non funzionò in Inghilterra dopo la Prima Guerra Mondiale; perché ci si dovrebbe aspettare che funzioni in Grecia?

Cosa dovrebbe fare adesso l’Europa? Non ci sono risposte facili – ma la ragione per la quale non ci sono risposte facili è che l’euro è diventato una specie di Roach Motel [1], una trappola dalla quale è difficile venir fuori. Se la Grecia avesse ancora la sua moneta, non ci sarebbe obiezione alcuna alla svalutazione di quella moneta, migliorando la competitività greca e ponendo fine alla deflazione.

Il fatto che la Grecia non abbia più la sua valuta, che dovrebbe creare partendo da zero, aumenta grandemente la posta in gioco. La mia opinione è che l’uscita dall’euro si confermerà necessaria. E in ogni caso sarà necessario abbattere buona parte del debito greco.

Ma non è in atto una discussione chiara su queste opzioni, perché il dibattito europeo è ancora dominato dalle idee che alle classi dirigenti del continente piacerebbe fossero vere, mentre non lo sono. E l’Europa sta pagando un prezzo tremendo per questa mostruosa auto indulgenza.

 

 

 

[1] Niente a che fare con una struttura alberghiera. È il nome commerciale di una trappola per scarafaggi, che funziona attraverso sostanze odorigene dalle quali gli animaletti non sanno sottrarsi.

 

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