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La Grecia e la resa politica del FMI, di Simon Wren-Lewis (da Mainly Macro, 4 luglio 2015)

Saturday, 4 July 2015

Greece and the political capture of the IMF

Simon Wren-Lewis

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When governments borrow too much, and cannot repay, it generally falls to the IMF to sort things out. In playing this role, the IMF should be pretty tough on creditors. As Interfluidity so lucidly points out, this is where real moral hazard lies.

 

So what went wrong with Greece? Remember the Troika made a huge mistake in using their citizens’ money to lend to Greece so Greece could partially repay these private sector creditors – that is where most of the Troika’s rescue package went. The IMF’s own internal analysis was deeply flawed (being predictably wrong in how austerity would impact on the Greek economy), and even then the deal failed its own tests, so special dispensation had to be made.

 

The IMF should have been very worried about motivations here. After all, many of these creditors were banks from European countries, so the motivations of those bailing out these creditors were conflicted to say the least. They were nevertheless persuaded to go along because of fears of contagion. If the worry was contagion to other countries governments that was an obvious mistake, because it happened anyway but could have been solved ‘at a stroke’ by the ECB (as it eventually was). If the worry was a collapse in the European banking system, then that was the responsibility of the governments concerned, and not the Greek people.

 

To the present, and the negotiations that failed. Forget all the fluff you read in most papers about this. What is quite clear is the following. A deal could have been done if the Troika had allowed debt restructuring to be part of the package. The IMF agrees that debt needs to be restructured, as do most economists. It has made no secret of this, yet it has consistently soft pedalled when it came to dealing with the rest of the Troika. So it was allowed to be kept off the table in the current negotiations by the Troika: vague promises to look at this after a deal had been agreed would never be enough for Syriza to sell the deal. There are two reasons why Germany might have wanted it to remain off the table. One is that it never wanted a deal; the other is that to include it would have been politically embarrassing for German politicians.

 

What seems abundantly clear is that the IMF should have had no truck with either concern. It has to be tough on creditors, and in this case the creditors were the European institutions. It clearly had the political power to face down European governments on this issue, and if it had done so a deal could have been achieved. The only conclusion I can come to is that the IMF on this occasion has been captured by the rest of the Troika. [1] [2] [3] As Ashoka Mody puts it, it has become trapped by the priorities of [selective] shareholders, including in recent years the U.K. and Germany.

 

The following are not really true footnotes – they are too important for that – but I wanted to keep the main text crystal clear.

 

[1] Peter Doyle has also noted how dubious the IMF’s interventions on essential ‘reforms’ are both in economic and political terms. (If this report is true, it is even worse.) While other parts of the IMF seem to understand multipliers (see [2] below), those in charge of the negotiations seem to take a more German view. [Postscript: Ashoka Mody’s verdict on this IMF analysis is restrained but blunt.]

 

[2] One of the reasons that it is part of the IMF’s job to be tough on creditors is that creditors have no concern for social welfare, by which I mean the aggregate welfare of both creditors and debtors combined. (Although, as Interfluidity says, you might have hoped differently on this occasion.) As this point is hardly ever made in the media let me set it out here (the numbers are based on a FT piece by Martin Sandbu). To achieve a primary surplus of 1% of GDP to transfer to the Troika, the Greek government needs to undertake austerity that will reduce Greek GDP by 3% (assuming a multiplier of 1.5, and a tax/transfer loss from lower GDP of a third). That reduction in GDP is a social loss (the loss to the Greek economy is 3% plus the 1% transfer) – at best pure waste, and probably for some the cause of much suffering.

[3] Here is the former head of the IMF’s European department, on the need for both debt restructuring and the dangers of demanding larger primary surpluses.

 

La Grecia e la resa politica del FMI

di Simon Wren-Lewis

Quando i Governi si indebitano troppo e non possono restituire il debito, in genere rientra tra le competenze del FMI il rimettere le cose in ordine. Nel giocare il suo ruolo, il FMI dovrebbe essere abbastanza duro con i creditori. Come il blog Interfluidity [1] sottolinea in modo così lucido, è lì dove risiede il vero azzardo morale.

Dunque, cos’è che è andato storto nel caso della Grecia? Si ricordi che la Troika fece un grande errore nell’utilizzare i soldi dei suoi cittadini per fare prestiti alla Grecia in modo tale che essa potesse in parte ripagare questi creditori del settore privato – è lì che andò gran parte del pacchetto di salvataggio della Troika. La stessa analisi all’interno del FMI fu profondamente difettosa (sbagliando in un modo che era prevedibile su come l’austerità avrebbe impattato sull’economia greca), ed anche allora l’accordo venne meno alle sue stesse verifiche, cosicché si dovettero applicare speciali dispense.

In quel caso, il FMI avrebbe dovuto essere molto preoccupato delle motivazioni. Dopo tutto, molti dei suoi creditori erano banche dei paesi europei, dunque le ragioni del salvare quei creditori erano, per dire il minimo, in conflitto. Ciononostante, essi furono convinti a procedere per le paure di contagio. Se il timore era quello di un contagio verso gli altri Governi, quello era un errore evidente, perché accadde comunque ma poteva essere risolto dalla BCE “in un lampo” (come alla fine accadde). Se le paure erano un contagio nel sistema bancario europeo, allora questo era nella responsabilità dei Governi interessati, e non del popolo greco.

Veniamo all’oggi, ed ai negoziati che sono falliti. A questo proposito, scordatevi molte sciocchezze che avete letto su gran parte delle pubblicazioni. Quello che è abbastanza chiaro sono le cose seguenti. Si poteva fare un accordo se la Troika avesse consentito che la ristrutturazione del debito facesse parte del pacchetto. Come molti economisti, il FMI concorda che il debito debba essere ristrutturato. Non ha fatto segreti su questo punto, tuttavia l’ha regolarmente messo in sordina allorché si arrivava all’accordo con il resto della Troika. Dunque ha permesso che esso fosse tenuto dalla Troika fuori dal tavolo degli attuali negoziati: le vaghe promesse di tornare su questo punto dopo che un accordo fosse stato raggiunto non sarebbero mai state sufficienti per fare accettare l’accordo a Syriza. C’erano due ragioni perché la Germania potesse volere che il tema restasse fuor dal tavolo. Una è che essa non ha mai voluto un accordo; l’altra è che includerlo sarebbe stato politicamente imbarazzante per i politici tedeschi.

Quello che sembra del tutto chiaro è che il FMI non avrebbe dovuto avere alcuna relazione con entrambe le preoccupazioni. Esso deve essere duro con i creditori, e in questo caso i creditori sono le istituzioni europee. Chiaramente esso aveva il potere per fronteggiare i Governi europei su questo tema, e se lo avesse fatto un accordo sarebbe stato ottenuto. L’unica conclusione alla quale posso pervenire è che il FMI in questa occasione è stato catturato dal resto della Troika. [a] [b] [c] Come si esprime Ashoka Mody, esso è rimasto intrappolato dalle priorità dei (selettivi) azionisti, inclusi negli anni recenti il Regno Unito e la Germania.

 

Quelle che seguono non sono vere e proprie note a margine – per quello scopo sono troppo importanti – ma intendevo mantenere il testo principale del tutto chiaro.

 

[a] Peter Doyle ha anche notato quanto siano dubbi gli interventi del FMI su riforme “essenziali” sia in termini economici che politici (se questo resoconto fosse vero [2], sarebbe anche peggio). Mentre altre componenti del FMI sembrano comprendere i moltiplicatori (vedi la nota successiva), quelli che sono impegnati nei negoziati sembrano assumere un punto di vista più tedesco. (Post scritto: il giudizio finale di Ashoka Mody su questa analisi del FMI è contenuto ma netto).

 

[b] Una delle ragioni per le quali fa parte del lavoro del FMI essere duro con i creditori, è che i creditori non hanno alcuna preoccupazione per lo stato assistenziale, con il quale termine mi riferisco agli stati assistenziali sia dei creditori che dei debitori (sebbene, come afferma Interfluidity, si poteva in questa occasione sperare in qualcosa di diverso). Dato che questo aspetto difficilmente viene mai trattato sui media, consentitemi qua di esporlo (i dati sono basati su un articolo di Martin Sandbu sul Financial Times). Per ottenere un avanzo primario dell’1% del PIL da trasferire alla Troika, il Governo greco ha bisogno di impegnarsi in una austerità che ridurrà il PIL greco del 3% (assumendo un moltiplicatore pari a 1,5 ed una perdita da tasse e trasferimenti derivante da un PIL più basso pari ad un terzo). Quella riduzione del PIL è una perdita sociale (la perdita per l’economia greca è un 3%, al quale si aggiunge un 1% di trasferimenti) – nel migliore dei casi uno spreco puro, e per molti la causa di grande sofferenza.

 

[c] In questa connessione il giudizio del precedente responsabile del Dipartimento Europeo del FMI [3], sia sul tema della necessità della ristrutturazione del debito che su quello dei pericoli delle richieste di più ampi avanzi primari.

 

[1] È il blog curato dall’economista Steve Randy Waldman.

[2] In connessione nel testo inglese un articolo di Daniel Marans sul blog Politics, che contiene l’informazione secondo la quale l’Europa aveva offerto alla Grecia un accordo per venire incontro alle sue obbligazioni attraverso tagli alla spesa militare, ma proprio il FMI si sarebbe rifiutato.

[3] L’articolo, dal titolo “Dimezzare il debito greco e tenere l’Europa unita” è sul Financial Times.

 

 

 

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