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L’austerità e la depressione greca (dal blog di Krugman, 10 luglio 2015)

 

Jul 10 9:37 am

Austerity and the Greek Depression

Olivier Blanchard offers a defense of the IMF’s role in the Greek crisis. Basically, he argues that given the political realities, there was no alternative to requiring that Greece move into primary budget surplus, whatever the cost. This is surely true.

But how big was the cost? I’m with Brad DeLong in being highly puzzled by this assertion:

The decrease in output was indeed much larger than had been forecast. Multipliers were larger than initially assumed. But fiscal consolidation explains only a fraction of the output decline. Output above potential to start, political crises, inconsistent policies, insufficient reforms, Grexit fears, low business confidence, weak banks, all contributed to the outcome.

Where is this coming from? I look at the data prior to this year — when we have indeed seen a crisis of confidence — and Greece’s output decline looks like just about what you should have expected given the austerity imposed. The chart shows changes in the structural budget balance versus changes in output, for all eurozone countries for which the IMF provides estimates of both numbers.

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IMF

The line is the relationship between austerity and growth fitted to all eurozone countries except Greece, implying a multiplier of 1.5; I extrapolate that line down to Greece, and it’s pretty close. Obviously you could do more complicated analyses, but on the face of it Greece appears to have suffered a slump overwhelmingly because of the austerity; surely there’s no grounds for dismissing this impact as a mere fraction of the problem.

So if the austerity was necessary, so was the depression-level slump — a slump that has left Greece’s debt ratio far higher after 5 years of hell than it was when the program began.

What this tells us is that the Greek program was infeasible from the start. A very big debt haircut early in the game might not have offered much relief from the slump, but it would have at least offered a chance to avoid debt deflation. Other than that, given the political constraints, there was no way this could have worked.

So now what? A few months ago I thought that stabilizing Greece at a small primary surplus might work, in the sense that it would allow a return to growth even if it didn’t do anything to make up lost ground. But the creditors are still demanding a rising primary surplus over time, and balking at top line debt relief that might at least offer a clear marker of progress. If those are the requirements for Greece to stay in the eurozone, Grexit is inevitable.

 

L’austerità e la depressione greca

Olivier Blanchard [1] difende il ruolo del FMI nella crisi greca. Egli sostiene, fondamentalmente, che date le realtà politiche, non c’era alternativa a richiedere che la Grecia si muovesse nella direzione di un avanzo primario di bilancio, qualsiasi fosse il costo. Questo è sicuramente vero.

Ma quanto è stato grande quel costo? Come Brad DeLong sono rimasto molto sconcertato da questo giudizio:

“La diminuzione della produzione è stata in effetti molto più ampia di quanto era stato previsto. I moltiplicatori sono stati più ampi di quelli inizialmente ipotizzati. Ma il consolidamento della finanza pubblica spiega solo una parte del declino della produzione. A partire da una produzione sopra il potenziale, le crisi politiche, le azioni incoerenti, le riforme insufficienti, le paure di un’uscita della Grecia dall’euro, la bassa fiducia delle imprese, il sistema bancario debole, tutto questo ha contribuito al risultato.”

Da dove viene tutto questo? Guardo ai dati precedenti a quest’anno – quando in effetti abbiamo constatato una crisi di fiducia – e il declino della produzione greca assomiglia proprio a quello che ci si doveva aspettare, considerata l’austerità che era stata imposta. Il diagramma qua sotto mostra i mutamenti nell’equilibrio strutturale di bilancio a confronto con i mutamenti nella produzione, per tutti i paesi dell’eurozona per il quali il FMI fornisce stime per entrambi i dati:

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FMI

 

La linea indica la relazione tra austerità e crescita applicata a tutti i paesi dell’eurozona ad eccezione della Grecia, sulla base di un moltiplicatore 1,5; in basso a quella linea estrapolo il caso della Grecia, ed è abbastanza vicino. Ovviamente si dovrebbero fare analisi molto più complicate, ma a fronte di ciò la Grecia sembra aver sofferto una depressione in grandissima parte a causa dell’austerità; certamente non c’è fondamento nel ridurre questo impatto ad una banale frazione del problema [2].

Se dunque l’austerità è stata necessaria, altrettanto lo è stato un declino al livello di una depressione – un declino che ha lasciato, dopo cinque anni di inferno da quando iniziò il programma, assai più elevato di quello che era.

Quello che tutto ciò ci dice è che il programma greco era irrealizzabile sino dalla partenza. Un taglio molto grande del debito all’inizio della partita non avrebbe offerto una particolare attenuazione della caduta, ma avrebbe almeno offerto una possibilità di evitare una deflazione da debito. Oltre a ciò, dati i condizionamenti politici, non c’era modo perché questo potesse funzionare.

Dunque, a questo punto cosa fare? Alcuni mesi orsono pensavo che un modesto avanzo primario poteva funzionare, nel senso che avrebbe consentito di tornare alla crescita anche se non avesse fatto niente per recuperare il terreno perduto. Ma i creditori stanno ancora chiedendo un avanzo primario che cresca col tempo, e si tirano indietro rispetto ad un livello più elevato di riduzione del debito che potrebbe almeno offrire un chiaro indicatore di progresso. Se sono quelle le richieste perché la Grecia rimanga nell’eurozona, l’uscita della Grecia è inevitabile.

 

[1] Come è noto, Blanchard è il capo economista del FMI. Evidentemente c’è molto interesse sulla sua posizione, considerata la sua formazione di economista keynesiano di valore (peraltro Krugman ha spesso messo in evidenza come la sua formazione di studioso sia avvenuta nello stesso ambiente universitario di Bernanke, di Summers, di Draghi e di Krugman stesso) e considerata almeno l’onestà che gli è stata riconosciuta, da quando svolge tale incarico, ad esempio nel formulare una chiara autocritica sugli errori di previsione del FMI derivanti da una assunzione di un valore del ‘moltiplicatore dell’austerità’ assai inferiore alla realtà. Sembra che la sua linea di difesa consista oggi nel sostenere che un peso negativo nell’andamento dell’economia greca è anche derivato dalle debolezze strutturali di quel paese. Quanto sia una spiegazione plausibile e sufficiente, è appunto materia di questo post.

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[2] Come si vede la Grecia ha mostrato nel periodo 2009-2013 una caduta del PIL reale tra il 20 ed il 25 per cento, mentre il resto dell’eurozona si è collocata tra il meno 5 ed il più 10 per cento. Gli effetti dell’austerità, invece, che sono misurati come crescita dell’equilibrio strutturale di bilancio, sono stati entro i 5 punti per tutti i paesi e sopra i 20 punti nel solo caso della Grecia.

 

 

 

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