Wednesday, 8 July 2015
Simon Wren-Lewis
Too many people, including many in the Troika, see the Greek struggle as just about transfers from one debtor nation to lots of creditor nations. That is why they perhaps saw the Greek referendum as an unhelpful move, as just inflaming nationalist sentiment. As Dani Rodrik puts it “What the Greeks call democracy comes across in many other – equally democratic – countries as irresponsible unilateralism.”
It is, however, not just about transfers, or what economists call a zero sum game. It is also fundamentally about austerity, as Dani Rodrik, Thomas Picketty, Heiner Flassbeck, Jeffrey Sachs and I say in this letter jointly published in the Guardian, Le Monde, The Nation and Der Tagesspiegel (and thanks to Avaaz for making this happen).
I think many people believe that a debtor country must somehow inevitably suffer large scale unemployment as a result of having to pay back at least some of its debts. But this comes more from a moralistic view than thinking about the macroeconomics. In an open economy, the real exchange rate (competitiveness) will adjust to ensure ‘full employment’ is preserved, whatever primary surplus (taxes less non-interest spending) a government needs to service and pay back its debt.
Under flexible exchange rates this competitiveness adjustment could happen immediately. Things are not quite so simple in a monetary union: competitiveness cannot immediately adjust because of wage and price rigidities. A period of ‘excess unemployment’ will be required to push wages and prices down if the country is uncompetitive in relation to required primary surpluses. However the excess unemployment can be relatively modest. In fact, because of the structure of the standard Phillips curve, it is much more efficient to achieve gains in competitiveness gradually through a measured increase in unemployment than quickly through a rapid rise in unemployment, for reasons I outlined here when talking about Latvia.
To achieve this efficient outcome may well require the government to reduce its primary deficits gradually, because without this fiscal support while competitiveness adjusts output could fall rapidly. This in turn will require more government borrowing, and if the government cannot do this from the markets, the IMF or other governments should step in to ensure this efficient adjustment can take place and avoid the waste and suffering of unnecessary unemployment.
This is what failed to happen in the case of Greece. Whether this was just the result of poor Troika calculations, or a consequence of feeling that creditor bankers were more of a priority (see, for example, Mark Blyth), need not concern us here. Once the mistake became clear, perhaps creditor voter fatigue meant additional loans were not politically possible. But to demand primary surpluses (i.e. to take money out of the country) while unemployment remains so high – as the Troika continues to do – is unforgivable in my view. It clearly makes the unemployment problem worse – see here, footnote [2]. At best it indicates an impatient creditor with no concern for the welfare of the debtor, but given the responsibility the creditor has for the debtor’s current position it is far worse than that.
That is not the only reason Greece’s story is about austerity. Its problems were made worse by the austerity across the Eurozone as a whole, and the deflation which that has brought. Deflation increases the real value of nominal debts. It also makes competitiveness adjustment more difficult because of a well known non-linearity.
Even those that have a great dislike or distrust of Syriza should recognise that Syriza is also a product of acute austerity, a point which the referendum reaffirmed. As economists might say, Syriza is endogenous.
That the Greek economy now lies broken is not the inevitable result of imprudent borrowing a decade ago, or structural weaknesses, or a left wing government elected just a few months ago. It is also the result of the actions of those who effectively ran the economy from 2010 to 2014, and their imposition of draconian austerity. Greece long ago recognised the folly of its borrowing, and has made a start on addressing its structural weaknesses. The Troika has yet to acknowledge its own part in making this tragedy.
L’austerità è una parte fondamentale della tragedia greca
Troppe persone, inclusi molti della Troika, considerano la battaglia della Grecia solo come una questione di trasferimenti da una nazione debitrice a molte nazioni creditrici. Questa è la ragione per la quale hanno forse considerato il referendum greco come una mossa inutile, qualcosa che ha solo infiammato il sentimento nazionalista. Come scrive Dani Rodrik “Quello che i Greci chiamano democrazia, in molti altri paesi – egualmente democratici – viene inteso come un irresponsabile unilateralismo.”
Tuttavia, non è una faccenda di soli trasferimenti, o quello che gli economisti chiamano un gioco a somma zero. Riguarda anche fondamentalmente l’austerità, come Dani Rodrik, Thomas Picketty, Heiner Flassbeck, Jeffrey Sachs e il sottoscritto dicono in questa lettera pubblicata congiuntamente su The Guardian, Le Monde, The Nation e Der Tagesspiegel (e grazie ad Avaaz per averlo reso possibile).
Penso che molte persone credano che un paese debitore debba in qualche modo inevitabilmente soffrire una disoccupazione su larga scala a seguito del dover restituire almeno in parte i suoi debiti. Ma ciò deriva più da un punto di vista moralistico, che non da un ragionamento macroeconomico. In una economia aperta, il reale tasso di cambio (la competitività) si adegua per assicurare che la ‘piena occupazione’ sia preservata, di qualsiasi avanzo primario (le tasse meno la spesa, al netto degli interessi) un governo abbia bisogno per ottemperare e restituire il suo debito.
Con tassi di cambio flessibili questa correzione della competitività avverrebbe immediatamente. In un’unione monetaria le cose non sono così semplici: la competitività non può immediatamente essere adeguata a causa della rigidità dei salari e dei prezzi. In relazione agli avanzi primari richiesti, un periodo di ‘disoccupazione in eccesso’ sarà indispensabile per spingere in basso i salari ed i prezzi se il paese non è competitivo. Tuttavia, la disoccupazione in eccesso può essere relativamente modesta. Di fatto, data la struttura standard della curva di Phillips [1], è molto più efficace ottenere guadagni di competitività gradualmente attraverso un incremento misurato della disoccupazione, che non velocemente attraverso una crescita rapida della disoccupazione, per ragioni che ho delineato in questa connessione parlando della Lettonia.
Per ottenere questo valido risultato può essere necessario che il Governo riduca gradualmente i suoi deficit primari, perché, mentre si corregge la competitività, senza il sostegno della finanza pubblica la produzione potrebbe cadere velocemente. Questo a sua volta richiederà un maggiore indebitamento del Governo, e se il Governo non può farlo attraverso i mercati, il FMI o altre istituzioni dovrebbero farsi avanti per assicurare che questa correzione efficace possa aver luogo e per evitare lo spreco di una disoccupazione penosa e non necessaria.
Questo è quello che non ha funzionato nel caso della Grecia. Se questo sia stato soltanto il risultato di calcoli difettosi da parte della Troika, oppure la conseguenza della sensazione che i banchieri creditori fossero una priorità maggiore (si veda, ad esempio, Mark Blyth), non è il caso qua di preoccuparsi. Una volta che l’errore divenne chiaro, forse la stanchezza dell’elettore creditore comportava che prestiti aggiuntivi non fossero politicamente possibili. Ma chiedere avanzi primari (ovvero, di portare i soldi fuori dal paese) mentre la disoccupazione rimane così elevata – come la Troika continua a fare – dal mio punto di vista è imperdonabile. Esso chiaramente rende il problema della disoccupazione peggiore – vedi in questa connessione [2], nella nota a fondo pagina. Nel migliore dei casi indica l’impazienza di un creditore che non si preoccupa in alcun modo delle condizioni sociali del debitore, ma data la responsabilità che il creditore ha per la attuale condizione del debitore, è molto peggio.
Né è quella l’unica ragione per la quale il racconto della Grecia riguarda l’austerità. I suoi problemi sono stati resi peggiori dalla austerità nell’Eurozona nel suo complesso, e dalla deflazione a cui essa ha portato. La deflazione incrementa il valore reale dei debiti nominali. Essa rende anche più difficile la correzione della competitività, a causa della ben nota non-linearità.
Persino coloro che non hanno alcuna simpatia o hanno grande diffidenza verso Syriza dovrebbero riconoscere che essa è anche un prodotto di una austerità acuta, un aspetto che il referendum ha confermato. Come direbbero gli economisti, Syriza è endogeno.
Che l’economia greca ora si ritrovi a pezzi non è il risultato inevitabile di debiti imprudenti di dieci anni orsono, o di una debolezza strutturale, o di una sinistra eletta al Governo solo pochi mesi fa. È anche il risultato delle azioni di coloro che hanno gestito effettivamente l’economia dal 2010 al 2014, e della loro imposizione di una austerità draconiana. È da tempo che la Grecia ha riconosciuto la follia del suo indebitamento, ed ha cominciato ad affrontare la sua debolezza strutturale. La Troika deve ancora riconoscere la propria parte nell’aver provocato questa tragedia.
[1] Vedi le note sulla traduzione.
[2] La connessione è con il post, qua tradotto, dal titolo “La Grecia e la resa politica del FMI”. La nota a fonda pagina è la (b).
By mm
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