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Macroeconomia di seconda scelta (dal blog di Krugman, 28 luglio 2015)

 

Second-best Macroeconomics

July 28, 2015 2:51 pm

There’s a paradox about economic policy since the Great Recession, one that is often acknowledged implicitly but rarely stated directly. On one side, the economic problems facing both the United States and Europe have been quite straightforward and comprehensible. On the other side, the debate over actual policy has been tortured and confused, with a general sense even among aficionados that the tools being deployed are inadequate and come with troubling side effects.

Specifically, the whole western world has spent years suffering from a severe shortfall of aggregate demand; in Europe a severe misalignment of national costs and prices has been overlaid on this aggregate problem. These aren’t hard problems to diagnose, and simple macroeconomic models — which have worked very well, although nobody believes it — tell us how to solve them. Conventional monetary policy is unavailable thanks to the zero lower bound, but fiscal policy is still on tap, as is the possibility of raising the inflation target. As for misaligned costs, that’s where exchange rate adjustments come in. So no worries: just hit the big macroeconomic That Was Easy button, and soon the troubles will be over.

Except that all the natural answers to our problems have been ruled out politically. Austerians not only block the use of fiscal policy, they drive it in the wrong direction; a rise in the inflation target is impossible given both central-banker prejudices and the power of the goldbug right. Exchange rate adjustment is blocked by the disappearance of European national currencies, plus extreme fear over technical difficulties in reintroducing them.

As a result, we’re stuck with highly problematic second-best policies like quantitative easing and internal devaluation.

In case you don’t know, “second best” is an economic term of art. It comes from a classic 1956 paper by Lipsey and Lancaster, which showed that policies which might seem to distort markets may nonetheless help the economy if markets are already distorted by other factors. For example, suppose that a developing country’s poorly functioning capital markets are failing to channel savings into manufacturing, even though it’s a highly profitable sector. Then tariffs that protect manufacturing from foreign competition, raise profits, and therefore make more investment possible can improve economic welfare.

The problems with second best as a policy rationale are familiar. For one thing, it’s always better to address existing distortions directly, if you can — second best policies generally have undesirable side effects (e.g., protecting manufacturing from foreign competition discourages consumption of industrial goods, may reduce effective domestic competition, and so on). There’s also a political economy concern, which is that in a complicated world you can come up with a second best rationale for practically anything. Somewhere the Chicago economist Harry Johnson wrote (this is from memory) that in practice “second best policies are always devised by third-best economists working for fourth-best politicians” — harsh, but you can see his point.

But here we are, with anything resembling first-best macroeconomic policy ruled out by political prejudice, and the distortions we’re trying to correct are huge — one global depression can ruin your whole day. So we have quantitative easing, which is of uncertain effectiveness, probably distorts financial markets at least a bit, and gets trashed all the time by people stressing its real or presumed faults; someone like me is then put in the position of having to defend a policy I would never have chosen if there seemed to be a viable alternative.

In a deep sense, I think the same thing is involved in trying to come up with less terrible policies in the euro area. The deal that Greece and its creditors should have reached — large-scale debt relief, primary surpluses kept small and not ramped up over time — is a far cry from what Greece should and probably would have done if it still had the drachma: big devaluation now. The only way to defend the kind of thing that was actually on the table was as the least-worst option given that the right response was ruled out.

Which makes me ask myself the question: Do people like me spend too much time being limited by what is presumed to be politically practical? Should we devote more time to trying to widen the range of options, to pointing out that we really would be much better off if we threw off the fetters of conventional deficit fears, the 2 percent inflation target, and the extremely ill-advised euro project?

 

Macroeconomia di seconda scelta

A partire dalla Grande Recessione, c’è un paradosso sulla politica economica, del genere di quelli che vengono implicitamente riconosciuti ma raramente espressi in modo diretto. Da una parte, i problemi economici dinanzi ai quali si trovano sia gli Stati Uniti che l’Europa sono apparsi abbastanza chiari e comprensibili. Dall’altra parte, il dibattito sulla politica effettiva è stato distorto e confuso, con la generale sensazione anche tra gli addetti ai lavori che gli strumenti che venivano messi in campo erano inadeguati e operavano con problematici effetti collaterali.

In particolare, l’intero mondo occidentale ha speso anni nel soffrire una seria deficienza di domanda aggregata; in Europa un grave disallineamento dei costi e dei prezzi nazionali si è sovrapposto su questo problema generale. Non sono problemi difficili da diagnosticare, e dei semplici modelli macroeconomici – che hanno funzionato ottimamente, sebbene nessuno ci creda – ci dicono come risolverli. La politica monetaria convenzionale è inutilizzabile per effetto del limite inferiore di zero (nei tassi di interesse), ma è sempre disponibile la politica della finanza pubblica, così come è possibile elevare gli obbiettivi di inflazione. Lo stesso per il disallineamento dei costi, laddove intervengono le correzioni dei tassi di cambio. Dunque non c’è da preoccuparsi: basta pigiare il tasto economico giusto [1], e presto i guai saranno alle spalle.

Sennonché tutte le risposte naturali ai nostri problemi sono state escluse in sede politica. I ‘filo austeri’ non solo hanno bloccato l’uso della politica della finanza pubblica, l’hanno portata nella direzione opposta; una crescita nell’obbiettivo di inflazione è stata impossibile sia in conseguenza dei pregiudizi dei banchieri centrali, sia in conseguenza del potere della destra fanatica della parità aurea. La correzione del tasso di cambio è stata impedita dalla scomparsa delle monete nazionali europee, in aggiunta alla paura estrema per le difficoltà tecniche a reintrodurle.

Di conseguenza, siamo rimasti impantanati con politiche molto problematiche di seconda scelta, quali la facilitazione quantitativa e la svalutazione interna.

Nel caso non lo sappiate, “seconda scelta” è un termine del gergo economico. Deriva da un classico studio del 1956 di Lipsey e Lancaster, che dimostrò che le politiche che potrebbe sembrare distorcano i mercati possono nondimeno aiutare l’economia se i mercati sono già distorti per altri fattori. Per esempio, supponiamo i mercati dei capitali malamente funzionanti di un paese in via di sviluppo non siano capaci di incanalare i risparmi nel settore manifatturiero, pur essendo un settore con alti profitti. Allora tariffe che proteggano il settore manifatturiero dalla competizione estera accrescono i profitti, e di conseguenza rendono possibile che maggiori investimenti migliorino il benessere economico.

I problemi della ‘seconda scelta’ come logica politica sono noti. Per un aspetto, è sempre meglio affrontare direttamente le distorsioni esistenti, se si può – le politiche della seconda scelta generalmente hanno effetti collaterali indesiderabili (ad esempio, proteggere le manifatture dalla competizione straniera scoraggia il consumo di beni industriali, può ridurre l’effettiva competizione nazionale, e così via). C’è anche una preoccupazione politica, che consiste nel fatto che in un mondo complicato si può venir fuori con logiche di seconda scelta praticamente su tutto. Da qualche parte l’economista di Chicago Harry Johnson scrisse (vado a memoria) che in pratica “le politiche della seconda scelta sono sempre concepite da economisti terza scelta che lavorano per politici di quarta scelta” – parole dure, ma capite il senso.

Ma siamo a questo punto, con ogni cosa che assomigli ad una politica macroeconomica di prima scelta che è stata esclusa dai pregiudizi della politica, e con le distorsioni che cerchiamo di correggere che sono ampie – una depressione globale può rovinare tutto il lavoro. Dunque abbiamo la facilitazione quantitativa, che è di efficacia incerta, probabilmente almeno un po’ distorce i mercati finanziari, ed è un tormento continuo da parte di individui che mettono in risalto le sue colpe reali o presunte; a quel punto qualcuno come me finisce nella posizione di dover difendere una politica che non avrebbe mai scelto se fossero sembrate esistere alternative percorribili.

Penso che, in senso profondo, una cosa del genere sia implicita nei tentativi di venir fuori con politiche meno terribili nell’area euro. L’accordo che la Grecia e i suoi creditori avrebbero dovuto raggiungere – riduzione su ampia scala del debito, avanzi primari che diventano modesti e non accelerano col tempo – è tutt’altra cosa da quello che la Grecia avrebbe dovuto fare e probabilmente avrebbe fatto se avesse ancora avuto la dracma: una grande istantanea svalutazione. L’unico modo per difendere il tipo di soluzione che era effettivamente sul tavolo, è stato che essa era la meno peggiore soluzione, una volta che la risposta giusta era stata esclusa.

Il che mi spinge a pormi una domanda: non spendono le persone come me troppo tempo, essendo limitate da ciò che si suppone sia politicamente fattibile? Non dovremmo cercare di dedicare più tempo a cercar di allargare la gamma delle opzioni, per mettere in evidenza che staremmo per davvero meglio se ci liberassimo delle catene delle paure del deficit, dell’obbiettivo del 2 per cento di inflazione, e dell’estremamente mal consigliato progetto dell’euro?

 

[1] Letteralmente, “il tasto Era Facile”, suppongo perché è anche il titolo di una canzone.

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