Blog di Krugman

Uber e la nuova identità progressista (25 luglio 2015)

 

Jul 25 9:17 am

Uber and the New Liberal Consensus

You might not have thought that a taxi service would move onto center stage in our great political debates. But Uber actually is looking like a surprisingly important political issue. Why?

Well, Uber actually brings two things to the taxi market. One is the smartphone revolution, letting you tap a screen instead of standing out in the rain waving your arm, and cursing the guy who darts out half a block from you and snags the cab you were trying to hail.

The other is the company whose workers supposedly are free contractors, not employees, exempting the company from most of the regulations designed to protect employee interests. And it’s the second aspect that brings us into divisive politics.

On one side, Republicans are eager to dismantle as many worker protections as they can. So from their point of view Uber’s not-our-problem approach to workers would be desirable independent of the technology.

On the other side, we’re recently seen the emergence of the “new liberal consensus“, which argues (based on a lot of evidence) that wages are much less rigidly determined by supply and demand than previously thought, and that public policy can and should nudge employers into paying more. If that’s your policy plan, you really don’t want to see employers undermine it by declaring that they aren’t really employers.

It’s surely possible to separate these two issues, to promote the use of new technology without prejudicing the interests of workers. But progressives need to work on doing that, and not let themselves get painted as enemies of innovation.

 

Uber e la nuova identità progressista

Chi poteva immaginare che un servizio di taxi si sarebbe portato nella posizione centrale dei nostri grandi dibattiti politici? Eppure effettivamente Uber appare come un tema politico sorprendentemente importante. Perché?

Ebbene, Uber effettivamente porta due novità sul mercato dei taxi. Una è la rivoluzione degli smartphone, che vi consente di dare un colpetto sullo schermo invece di starvene sotto la pioggia gesticolando col braccio, e imprecando contro un tizio che si lancia a mezzo isolato da voi e acchiappa il taxi che stavate cercando di chiamare.

L’altra è la società i cui lavoratori si suppone che siano liberi professionisti, non dipendenti, esentando la società stessa da gran parte delle regole rivolte alla protezione degli interessi degli occupati. Ed è questo secondo aspetto che ci porta alle contrapposizioni politiche.

Da una parte, i repubblicani che sono ansiosi si smantellare tutte le protezioni dei lavoratori che possono. Dunque, dal loro punto di vista, l’approccio di Uber, secondo il quale i lavoratori ‘non-sono-un-nostro-problema’ sarebbe desiderabile, indipendentemente dalla tecnologia.

Dall’altra parte, abbiamo di recente osservato l’emergere di una “nuova identità progressista” che sostiene (basandosi su molte prove) che i salari sono molto meno rigidamente determinati dall’offerta e dalla domanda di quanto si pensasse in precedenza, e che la politica pubblica può e dovrebbe esortare i datori di lavoro a pagare di più. Se è quello il vostro programma politico, davvero non vorrete vedere i datori di lavoro mandarlo all’aria dichiarando che essi non sono realmente datori di lavoro.

È certamente possibile tenere separati questi due temi, per promuovere l’uso di nuove tecnologie senza pregiudicare gli interessi dei lavoratori. Ma i progressisti devono impegnarsi a farlo, e non consentire di essere rappresentati come i nemici dell’innovazione.

 

 

 

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